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 2019  aprile 05 Venerdì calendario

Il quindicenne di Torre Maura che ha contestato quelli di Casa Pound

Cappuccio alzato, Simone scende dall’auto grigia di papà. D’un fiato dice: «Ho fatto un casino, lo so, ho fatto un casino». Si ferma, Simone, Simoncino per tutti in verità: «Però non mi pento, lo rifarei». Allunga il passo in cortile, suona al citofono. Mamma apre, la casa ora lo protegge. Simone, 15 anni, figlio di disoccupato e maestra elementare, iscritto al primo anno del liceo linguistico, un fratello di 19, tifoso della Roma, consumatore di rap che prova a replicare in camera con la chitarra, mercoledì scorso alle 18 è andato in mezzo a quelli che avevano calpestato il pane. A Torre Maura, alle case Isveur. In mezzo a quelli che avrebbero alzato le braccia tese dopo aver messo in fuga gli zingari dal centro di Codirossoni. A loro, a due di CasaPound e a un terzo adulto aggressivo che gli ha messo le mani sulle spalle, gli ha dato schiaffetti sulle guance, Simone ha risposto: «Io sono di Torre Maura e non sono d’accordo». Aveva la loro inflessione, ma parlava un’altra lingua: «So’ nato a Villa Irma e quello che sta a fa’ lei», e lei era Mauro Antonini, già candidato per Casapound alla Regione Lazio, «è una leva sulla rabbia della gente». Ha detto così Simone, “leva”. Poi dirà “stereotipo”. «A me ‘sto fatto che bisogna andare sempre contro la minoranza non sta bene. Nun me sta bene che no. Siamo sessanta milioni e non ci possono creare problemi settanta zingari», ora rivolto a Giuseppe Silvestre, militante neofascista che aveva scavallato dal quinto al sesto municipio per soffiare sul fuoco del Quadrante Est di Roma. «Secondo me nessuno deve essere lasciato dietro. Né italiani, né rom, né africani, né qualsiasi tipo di persona. Io non ho nessuna fazione politica dietro. Io so’ di Torre Maura e ragiono con la testa mia. Sarò pure uno su cento, come dite, ma da voi non mi faccio spingere. Ragiono di testa mia, mia madre mi aveva detto di non venire alla manifestazione». Non ha arretrato di un passo, il quindicenne nato a Villa Irma – oggi Policlinico Casilino –. Ha zittito tre adulti e dopo dieci minuti è stato silenziato da una mamma anti-zingari che, vista la difficoltà dei camerati, lo ha portato via dicendo: «Non potete riprenderlo, è un minore». La madre di Simone, comasca, dal 1997 vive a Roma, dal 2003 nel quartiere. Ora è nel salotto spoglio a un piano terra della Torre Maura residenziale. Un passo dall’oratorio, povertà decorosa. La povertà delle case Isveur, purtroppo, è invece disperata. Racconta la madre: «Il primo giorno, quello dei panini per terra, Simone ha guardato la diretta Facebook di Casapound. Non riusciva a staccarsi. Lui, e il fratello Walter, hanno radici profonde a Torre Maura. La difendono. Io avrei voluto tornare al Nord tante volte, i miei figli me lo hanno impedito, sono romani dentro. Simone non poteva sopportare tutta questa strumentalizzazione. «A’ mamma», mi ha detto, «bisogna dire qualcosa, non si può stare zitti di fronte a questi che vengono a speculare sulla povera gente per raccattare quattro voti. Ci stanno distruggendo il nostro quartiere». La notte non ci ha dormito, Simone. La mattina successiva è andato a scuola, il liceo all’Anagnina, e a metà pomeriggio – mercoledì – è andato alle case Isveur. Con la metropolitana e un gruppo di amici. Conosce la zona. E in diretta, di fronte al centro che ancora ospita i rom, ha preso parola: «Se ‘sto quartiere è una m... non è certo colpa degli zingari». È venuta giù Torre Maura, Simone è stato inondato di messaggi. Sul telefonino, su Facebook: «Portali a casa tua gli zingari. Ti ha mandato avanti la sinistra, che a Torre Maura non può metterci la faccia». Al portone arriva anche il padre, finalmente ha parcheggiato. «Ho sempre e soltanto spiegato ai miei figli che un solo bambino che rischia la vita su un barcone giustifica l’intera accoglienza ai migranti. Sono orgoglioso che questi miei pensieri siano arrivati a destinazione». Ha lavorato per sedici anni ad Almaviva, tecnologia dell’informazione, ed è stato licenziato «grazie al Jobs Act della sinistra riformista». Ha un passato in organizzazioni marxiste-leniniste, ha pudore a parlarne: «Simone ha fatto tutto da solo, è andato alla manifestazione perché è intelligente, profondo e ha vissuto i comizi dei fascisti come un’intrusione, un’invasione. C’erano ex compagni d’asilo del fratello a calpestare il pane, Simone sentiva l’urgenza di parlare. L’oratoria l’ha sempre avuta. Io mi sono preoccupato, il giorno dopo, di proteggerlo. L’ho preso a scuola e l’ho portato a Romics, la fiera del fumetto. Oggi lo ha chiamato un rapper per invitarlo sul palco. Amici gli hanno detto: “Vai in politica”. Ma se un ragazzo di quindici anni viene vissuto come fosse il sindaco di Riace vuol dire che a sinistra c’è rimasto solo il deserto». Simone ama lo spagnolo, andrà all’università. Il suo miglior amico a sera dice: «Lui sa parlare, ma quelle cose non doveva dirle. Gli zingari non piacciono a nessuno».