Corriere della Sera, 5 aprile 2019
Estonia, dove tutto è internet
Viimsi, prima periferia di Tallinn, Estonia. Strade innevate si incrociano in un’atmosfera da thriller nordico in riva a scure e silenziose acque del Baltico. Taavi Kotka ci ha dato appuntamento in una villetta moderna immersa nel buio. Si presenta sulla soglia di casa con una t-shirt azzurra. Fuori il termometro segna -3.
Kotka è il simbolo della digital transformation dell’Estonia. A 41 anni è già andato in pensione due volte, come ammette lui stesso sorridendo. «Avevo 33 anni quando me ne andai dalla Nortal, la società che avevo fondato sette anni prima; 39 quando lasciai l’incarico di chief information officer al Ministero dell’Innovazione», dice mentre filtra un caffè americano. In mezzo ci sono una serie di innovazioni e decisioni che hanno contribuito a rendere l’Estonia – un Paese grande come Lombardia e Veneto messi insieme in cui vivono 1,3 milioni di persone (per la precisione, 1.304.590, anche se la cifra esatta cambia di ora in ora, ovviamente) – uno dei leader nel digitale nel mondo.
Il Grande Fratello (con garanzie) «Nel 1991 partivamo da zero – continua —. Per un po’ abbiamo copiato, poi abbiamo cominciato a inventare». Estonian mafia, la chiamano gli americani della Silicon Valley. Perché non trovano un altro modo per spiegare quello che gli estoni sono capaci di fare quando decidono di lavorare insieme. Un Paese dalla storia tormentata, «col suo ferocissimo amore di libertà, col suo sanguinoso destino di schiavitù», scriveva Indro Montanelli nel 1937 su l’Illustrazione italiana, durante il suo esilio a Tartu. «Un’Estonia svedese, un’Estonia russa, un’Estonia tedesca, ma dovunque un’Estonia». Capace di conservare la sua lingua e di sviluppare una sua cultura. Che oggi è digitale.
Sono oltre 4mila i servizi pubblici cui i cittadini possono accedere tramite una carta elettronica introdotta nel 2002. Solo tre cose non si possono fare online: sposarsi, divorziare e vendere o comprare casa. Un «miracolo» reso possibile da X-Road, un sistema che permette agli uffici pubblici ed alcuni privati, se autorizzati, di accedere ai propri database in modo automatico e sicuro. Di fatto, una volta immessa un’informazione nel sistema, tocca alla pubblica amministrazione ricordarsi quanti figli hai, di quale malattia soffri, quanto guadagni e di quali agevolazioni hai diritto. Il risultato: 2,8 milioni di ore di lavoro risparmiate solo nel 2018. Una specie di Grande Fratello garantito dalla legge: famoso è rimasto il caso del poliziotto che, senza averne diritto, ha guardato la cartella clinica di un sospetto finendo così tre anni in prigione.
Il progetto più ambizioso di Kotka è la e-residency. Una cittadinanza virtuale, nata nel 2014, che permette a chiunque di diventare un residente digitale, e di aprire una società. «Bastano pochi minuti, pochi euro e pochi clic», sintetizza Adriano D’Ambrosio, salernitano, classe 1982, uno degli oltre 50mila e-residents – 2500 sono italiani. «Quando ho deciso di aprire ViviCity è stata la cosa che mi ha sorpreso di più. Se non generi redditi, o se reinvesti gli utili, non ci sono tasse. È così semplice che non ho nemmeno il commercialista».
Niente burocrazia, niente tasse, nessuna residenza obbligatoria. È la formula dello Stato digitale. «Non è solo una questione di tecnologia, scalabile anche in un Paese più grande e complicato come l’Italia, ma di quel particolare rapporto di fiducia che deve esistere tra il cittadino e lo Stato», dice Filippo Formica, ambasciatore italiano in Estonia. «Quel rapporto insomma che in Italia spesso manca. Per esempio quando si parla di voto elettronico».
L’e-vote qui non è una novità. Il primo esperimento risale al 2004 e alle ultime elezioni politiche, lo scorso marzo, oltre 350mila persone hanno scelto di votare così. Oltre il 40% della popolazione.
I primati della flessibilità «Siamo piccoli e flessibili: possiamo sperimentare e fallire. Vale per il voto ma anche per tutto il resto», dice Kaja Kallas, 41 anni, segretaria del Partito Riformatore. «Grazie alla digitalizzazione e al sostegno dell’Europa, stiamo meglio ora rispetto a dieci anni fa. Quello che abbiamo nel settore pubblico, dobbiamo ora trasferirlo al settore privato. Abbiamo molte microimprese da accompagnare».
Seduta su un divanetto blu della sede del suo partito, fresca trionfatrice delle ultime elezioni con il 34% dei voti, Kallas potrebbe diventare in questi giorni la prima premier donna del Paese. «Ma non governerò, se mi obbligano all’accordo con l’estrema destra. Abbiamo valori troppo diversi», spiega scuotendo la testa di fronte alla possibilità di mettersi insieme agli euroscettici di Ekkre, che alle scorse elezioni ha triplicato i voti ottenendo il 19%. «L’Estonia deve molto all’Europa. È un Paese europeo».
C’è un senso di orgoglio nel rivendicarlo. E dall’Europa, guarda oltre. L’Estonia è prima al mondo nella classifica sull’imprenditoria del World Economic Forum. Prima per libertà di Internet, secondo Freedom House. Prima per startup pro capite, secondo l’Index Venture: sono 550 in totale, 42 ogni 100mila abitanti (in Europa la media è di 5 ogni 100mila persone).
I quattro unicorni «Vivo qui da cinque settimane e in cinque settimane l’azienda per cui lavoro ha una nuova sede, un nuovo team leader e un nuovo nome», dice il 25enne belga Dubois Kenty. Gli occhi azzurri, lo sguardo timido. Era gennaio quando si è trasferito qui ed è entrato a far parte del call center di Taxify, oggi Bolt. «Siamo simili a Uber, ma in più abbiamo anche gli scooter elettrici».
Un’idea capace di superare il miliardo di capitalizzazione, diventando uno dei 4 unicorni estoni: la cupola dell’#estonianmafia. Nata con Skype, che ha ancora sede a Tallinn ma di cui si parla malvolentieri da quando è passata sotto il controllo di Microsoft, proseguita con Playtech (specializzata nello sviluppo di software per gioco d’azzardo online) e Transferwise, regina nei trasferimenti di capitale. «Qui c’è tutto quello che ci serve per lavorare bene», ci spiega Lars Trunin, 29 anni, Head of product della Gran Bretagna, mentre ci accompagna nei corridoi dell’enorme quartiere generale di Transferwise, un open space di quattro piani in cui si respira un’atmosfera da Silicon Valley. «Noi però abbiamo anche la sauna».
È quasi sera a Tallinn. Il termometro di una farmacia poco lontano dalla TallTech, una delle università più importanti del Paese, è fisso sotto lo zero ma per le stradine di questo curatissimo campus ci sono studenti in bicicletta. «Gomme chiodate, questo è il segreto», spiega sorridendo Gert Jervan, 45 anni, rettore della scuola di informatica e supertifoso del Cagliari e del suo difensore (estone) Ragnar Klavan. «Attrarre talenti significa puntare sull’educazione, che qua è di primo livello, in inglese e gratis dalle elementari al master», spiega seduto su una seggiola del suo studio al sesto piano, con una vista spettacolare sulla città. «Abbiamo 3mila studenti e il 20% sono stranieri. Abbiamo bisogno di persone e idee. Il tasso di disoccupazione è sostanzialmente zero, anche grazie alle competenze informatiche che i ragazzi iniziano ad acquisire a scuola». Poi si ferma. «Guardate lì», dice. Giù in strada sta passando un robottino bianco a sei ruote. Va veloce, poi si blocca di fronte a un cumulo di neve ammucchiata vicino a un semaforo. Un passante gli dà un calcetto e lui riparte. «Dentro c’è la spesa di un cliente della Starship Technologies, una startup nata qui vicino che promette di migliorare i tempi e le modalità della spesa online», dice Gert. «Partono da un supermercato laggiù», aggiunge indicando un edificio con la mano. Un altro passo verso l’automazione. «Volete vedere la nostra creatura?», chiede incamminandosi verso il piano -1.
Nel garage del futuro Alla fine di un corridoio su cui si affacciano decine di stanze con studenti chini su pc e macchinari, c’è un enorme garage. Dentro, Iseauto, un minivan a guida autonoma grigio, grande poco più di un Ducato, messo in piedi da 30 studenti under 30 in circa un anno di lavoro. «È programmato per fare un percorso entro un raggio di due chilometri», spiega Jervan. «Non ha lo scopo di trasformare il trasporto pubblico, ma di completarlo», aggiunge serio Leier Mairo, 36 anni, uno dei coordinatori. «Per esempio, potrebbe aiutare chi vive in periferia ad andare a casa dalla stazione ferroviaria più vicina. O potrebbe essere utile per accompagnare i più anziani in ospedale dalle fermate del bus».
È ancora così, è sempre così. Lo Stato individua un servizio al cittadino migliorabile attraverso il digitale. Mette insieme università, cervelli e soldi, non necessariamente autoctoni. Prova, fallisce, cambia strada, fino a raggiungere il risultato. Dopodiché lascia che siano i privati ad andare avanti mentre si passa a un altro progetto. Per esempio, per il 2019 lo Stato sta completando lo sviluppo di un giudice robot guidato dall’Intelligenza Artificiale in grado di emettere sentenze per sfoltire i tribunali per i contenziosi sotto i 7mila euro. Ecco il lavoro di squadra, ecco il segreto dell’#estonianmafia. Una squadra di 1.304.590 persone.