il Fatto Quotidiano, 4 aprile 2019
Gianrico Carofiglio: I nostri gialli? Le vere indagini sono molto diverse
Gianrico Carofiglio, scrittore, è nato a Bari.
La hit di mesti mesi, anzi anni, recita: i gialli e i noir sono da perenne top ten, migliaia e migliaia di copie in un mercato oramai fragile; eppure La versione di Fenoglio, ultimo romanzo di Gianrico Carofiglio, è da cinque settimane in vetta, poi non manca l’assidua presenza di Antonio Manzini e il suo Rocco Schiavone, oltre a Maurizio Di Giovanni in poliedriche forme (da I Bastardi al commissario Ricciardi). Dominano, quindi. E la storia non parte da oggi, neanche da ieri, bensì da almeno novant’anni tondi tondi, così come il cerchio “indagatore” che dal 1929 delinea il celebre “giallo Mondadori” (tanti auguri).
Carofiglio ne La versione di Fenoglio attraverso il personaggio (un maresciallo di origini torinesi), tratteggia, o meglio delinea quali sono i confini, le regole, gli errori più comuni, le supposizioni false e i falsi credo, all’interno di un’indagine reale, e in quella letteraria.
Dialogo nel romanzo. “A volte mi sono chiesto quanto ci sia di vero nei romanzi e nei film polizieschi”. Risposta di Fenoglio: “Poco, di sicuro pochissimo in quelli italiani”.
È così, a parte qualche eccezione, hanno problemi di plausibilità, indipendentemente dalla qualità delle storie e della scrittura.
Un esempio.
Nei romanzi i funzionari di polizia vengono chiamati “commissario”, mentre nella realtà nessuno usa quell’espressione. Il termine usato nel mondo reale è “dottore”. Sembra un dettaglio ma sottrae il lettore dalla “sospensione dell’incredulità”.
Come mai avviene soprattutto in Italia?
Forse perché lo vedo da vicino, perché so quali sono i passaggi investigativi, le varie procedure nel nostro Paese.
Chi apprezza tra gli autori americani?
Lawrence Block: di lui ne ho letti sei o sette, e lo consiglio; i suoi libri sono credibili, ben scritti e drammatici.
Azzerare la “sospensione” è come scoprire l’assassino prima del tempo.
Passa la voglia di proseguire nella lettura; in alcuni casi gli errori toccano magari le date e i contesti, e altro ancora.
Abbandona il libro?
Sì.
Chi le piace in Italia?
Carlo Lucarelli: le sue storie sono scritte e costruite bene.
Fenoglio: “L’errore e il dubbio sono strumenti di lavoro”.
Il bravo investigatore ne è consapevole.
Da magistrato, quando lo ha capito?
Ricordo una sera, ci chiamano per un omicidio dentro una pizzeria, e dai primi riscontri appariva come una chiara vendetta mafiosa: la vittima era il cugino di un pentito, e fuori dal locale tre agenti non in servizio, avevano riconosciuto una persona di un clan colpito proprio da quel pentito.
Perfetto.
Fermiamo il sospettato, tutto liscio, fino a quando un ispettore anziano si presenta ed esprime un dubbio: “Dottore, non sono convinto…”.
Su quali basi?
Non gli tornava la dinamica. Risultato: dopo venti giorni scarceriamo il sospettato, e viene pure ucciso in un regolamento di conti per un’altra vicenda. Ripartiamo dal principio con le indagini.
Un giallo in piena regola.
Alla fine prendiamo il responsabile e la sparatoria in pizzeria era il punto finale di un banale litigio: l’assassino quella sera girava armato per gambizzare, poi ha trovato la vittima, è nata una discussione, ed è finita con lo sparo.
Puntualizza Fenoglio: “Le persone non valgono molto come testimoni”.
È fondamentale conoscere le tecniche per parlare con i soggetti interessati, i ricordi e i racconti dei testimoni vanno sempre valutati con attenzione; anche di quelli in buona fede perché gli errori di memoria e di percezione sono sempre in agguato.
“L’investigazione è l’arte di guardarsi attorno”.
Dico “arte” perché non esiste un algoritmo, ma la creatività personale, l’enorme esperienza, la capacità di interrogare la propria percezione.
Leggeva i Gialli Mondadori?
Quando ero ragazzo li acquistava mia nonna, poi mio padre, anche se lui amava molto Segretissimo; ricordo le pagine iniziali, con tutti i personaggi spiegati, quasi come un elemento pedagogico.
Torniamo a Fenoglio: “Ogni vero scrittore è seduto su una catasta di libri altrui”.
In genere uno deve aver letto disordinatamente, con curiosità, guidato dal e piacere di aprire un libro.
Per alcuni nuovi autori, non è necessario aver “masticato” i classici.
Non amo le affermazioni categoriche, credo solo che per scrivere è necessario aver letto molto.
Nei suoi romanzi spesso cita altri autori.
Il libro è come un grande palazzo con tante porte che si affacciano in stanze inattese. Scrivere e leggere sono una conversazione collettiva.
Rispetto a molti suoi colleghi, l’amore, i sentimenti, i rapporti restano sullo sfondo, o sfocati.
Mi piace lasciare intuire al lettore, lasciare in sospeso.
Perché?
Credo che certe cose delicate vengano meglio se ci si limita ad abbozzarle.
C’è molto di lei in questo lavoro, più di altre volte.
E in tutti e due i personaggi, quindi sia nel ragazzo che nel maresciallo 58enne.
Quanti libri legge l’anno?
Più o meno 200. Per favore non mi domandi se li ricordo tutti…
No, in questo caso resta il giallo.