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 2019  aprile 04 Giovedì calendario

Eddi Marcucci, l’italiana che ha combattuto in Siria

È una delle cinque persone che rischiano la sorveglianza speciale perché, dopo essere stata a combattere nel nord della Siria al fianco dei curdi contro l’Isis, più esattamente con l’Unità di protezione delle donne (Ypj), la Procura di Torino e la Questura la ritengono socialmente pericolosa. Maria Edgarda Marcucci, per gli amici Eddi, ha 27 anni, è nata a Roma e si è trasferita a Torino per studiare Filosofia. Qui ha cominciato a frequentare il centro sociale Askatasuna, e nel settembre 2017 è partita per la Siria: “Il primo mese e mezzo ho girato nei territori della federazione – ricorda –. Ogni giorno visitavamo qualcuno: le case delle donne, i centri per i giovani, le cooperative agricole e tessili, le famiglie dei martiri, le case dei feriti. Ogni notte eravamo ospiti di una famiglia diversa”.
Poi ha deciso di fermarsi nove mesi. Perché?
Un mese non era sufficiente per vivere e comprendere una realtà che ha tanto da raccontare a tutti i popoli del mondo. La mia idea iniziale era di fare da ponte per questa esperienza e ho pensato di viverla pienamente. La scelta di entrare nello Ypj è stata dettata dalla convinzione che quella fosse anche la nostra battaglia.
Cosa l’ha convinta?
La libertà delle donne. Il movimento rivoluzionario ha fatto un’analisi molto accurata delle origini delle disuguaglianza della società, in particolare quella capitalistica e quella patriarcale da cui ne derivano altre. Se si vuole fare una rivoluzione e cambiare la mentalità costruita in questi secoli, bisogna attaccare alla radice. Affinché tutti i rapporti cambino devono emanciparsi le donne.
Perché si è arruolata?
Volevo dare il mio contributo alla difesa dei valori in cui credo. Oltre a me c’erano molti europei, come Anna Campbell, una ragazza inglese caduta nel marzo 2018 sul fronte di Afrin per un bombardamento turco, e anche statunitensi. È un’esperienza sociale che parla a tutto il mondo.
Come eravate equipaggiati nello Ypj?
Come tutti gli eserciti c’è chi utilizzava armi pesanti, chi più quelle più leggere, chi fa le bonifiche delle mine e chi è specializzato coi fucili di precisione, ma le Forze siriane democratiche hanno un armamento non all’altezza dell’impresa che ha compiuto e il fatto che nonostante ciò siano vittoriose deve farci riflettere. Ricordiamo che l’Italia vende elicotteri alla Turchia e non alle Forze siriane democratiche, e la coalizione internazionale ha mandato avanti le truppe curde con una copertura aerea, che è importante, ma esigua rispetto alla disponibilità di armi. Si potevano risparmiare molte vite dei civili e dei combattenti.
Come sono state le sue giornate al fronte?
Sono stata impiegata su un fronte, ad Afrin, che subiva un attacco aereo in corso, dove anche la seconda, la terza linea e i civili erano in costante pericolo.
Dopo nove mesi è tornata. Perché?
Perché penso che parlare di questa rivoluzione e di cosa sta accadendo sia una responsabilità grossa verso chi non c’è più e di chi verrà.
Cosa ha trovato al suo ritorno?
Un attacco alla società che non è portato avanti con la guerra, quindi non è paragonabile alla sofferenza inflitta a quei popoli. Ma la sofferenza rimane e c’è anche tanto lavoro da fare. Adesso l’unico movimento di massa in Italia è “Non una di meno” con la lotta per la libertà delle donne. Dobbiamo conquistare quello che ancora non c’è.
La Procura teme che possiate utilizzare quanto appreso in Italia.
Si è spinta oltre. Ha detto che siamo andati lì per imparare a usare le armi. Non si rende conto della portata storica della rivoluzione che sta avvenendo. È sbagliato paragonare una situazione bellica a una dialettica sociale, anche di conflitto.
Come ha vissuto l’udienza?
Ascoltavo molto bene ciò che veniva detto. Provavo dolore e rabbia nel sentire la pm parlare dei martiri, non solo Lorenzo Orsetti, Giovanni Asperti o Anna Campbell, ma quelle migliaia di giovani donne e uomini di cui non conosceremo mai il nome. Dovremmo tutti mostrare rispetto e gratitudine. Non saremo mai in grado di restituire quanto ci hanno dato.
Si sente “socialmente pericolosa”?
Chi crea odio è chi fa propaganda contro l’Islam o contro i migranti. Quelli sono comportamenti pericolosi.
Le capita mai di fare incubi sulla guerra?
È una domanda pornografica. La guerra è un’esperienza devastante per i civili e per i combattenti. È solo sofferenza. Dove possiamo risparmiare questa sofferenza dobbiamo lottare per farlo.