Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  aprile 04 Giovedì calendario

Vita e segreti di Mia Canestrini

 Forse il primo ad allontanarci da Cappuccetto Rosso e a farci amare la natura lupesca è stato Jack London, chi non ha pianto per Zanna Bianca, chi non si è commosso per Il richiamo della foresta? Nei decenni perfino la Disney si è ravveduta, passando dal perfido e ignorante Ezechiele Lupo a Baldo, che tutti i bambini adorarono perché di un grande cane non ci si può non innamorare. Più di recente se ne è impadronita Clarissa Pinkola Estés, che con il libro culto Donne che corrono coi lupi, della natura “primitiva”, naturale anzi ancestrale della donna e del lupo, fu il paradigma del femminismo anni Novanta. E ancora, la storia di Marcos Rodriguez Pantoja, lo spagnolo che passò sette anni della sua vita, dai 12 ai 19 anni, sulle montagne della Sierra Morena, esclusivamente insieme con i lupi: a 72 anni, continua a dire che gli uomini «sono ipocriti, non mi sono mai piaciuti, i miei ultimi ricordi felici sono con i lupi». Il lupo, insomma, non passa mai di moda, e tanto meglio se è toccato da uno sguardo scientifico e femminile: parliamo di Mia Canestrini: classe 1982, laureata in Scienza Naturali a Bologna, dove è nata, specializzata in Conservazione della Biodiversità animale, ha passato dieci anni di vita nel parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano a contatto con i lupi. E ha pubblicato, per Piemme, La ragazza dei lupi (17,50 euro, 221 pagine). Che cosa ha cambiato il lupo nella sua vita? «È come se a vent’anni la vita mi avesse afferrata per il bordo della manica tirandomi in direzioni ben precise, che altrimenti non avrei mai intrapreso. Da un certo punto di vista l’esistenza del lupo nella mia vita mi ha portata a compiere un percorso tortuoso, lunghissimo per poi tornare al punto di partenza, ma con un bagaglio d’esperienza enorme». Com’è la vita quotidiana di una “lupologa”? «Non esiste un vero quotidiano. Il lupo è un animale complesso: vive a basse densità, è notturno. A seconda del periodo dell’anno, vanno utilizzate tecniche diverse per monitorarne i numeri, la riproduzione, l’alimentazione, il tasso di sopravvivenza o l’incidenza dell’ibridazione. L’unica costante del quotidiano è l’isolamento: si vive in aree remote, lontane dai centri urbani». Al contrario delle fiabe dove il lupo rappresenta sempre il male, ci racconta invece come il lupo è, a suo modo, un educatore? «È uno degli animali più simili all’uomo. Vive organizzato in famiglie all’interno delle quali l’ordine è mantenuto dai due esemplari riproduttivi (i genitori) e i legami di appartenenza sono molto forti. I più grandi si prendono cura dei più piccoli e tutti si prendono cura dei più deboli, che non vengono abbandonati ma soccorsi e tenuti in vita. Difende la propria casa dagli sconosciuti, alleva i piccoli, guida i più giovani nell’apprendimento, è un animale culturale oltre che sociale». Qual è il percorso che l’ha portata a scrivere un libro? «A otto anni ho iniziato a “rubare” la macchina per scrivere a mia madre e a buttare giù i primi racconti. Ho sempre scritto, e questo libro è arrivato a chiudere un ciclo della mia vita e ad aprirne uno nuovo». Che cosa ne pensa del nuovo “Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia”? Non c’è più il paragrafo sugli abbattimenti controllati e gli allevatori, soprattutto in Veneto, hanno cominciato a protestare. I danni, circa duecentomila euro all’anno, non sono ingentissimi, e vengono poi sempre compensati… «Il paragrafo è stato giustamente eliminato, non aveva molto senso. E il Veneto è tra le regioni che sostenevano l’abbattimento: ora ovviamente protesta. La verità è che abbattere i lupi, per di più in percentuali insignificanti (dal punto di vista gestionale, non etico, sia chiaro) come quelle riportate nel piano, non serve a contenere i danni agli allevamenti. Per ridurre drasticamente i danni sarebbe necessario abbattere un numero di lupi vicino allo sterminio, il che è impensabile, antiscientifico, non etico e antidemocratico, poiché la maggioranza dell’opinione pubblica e le politiche europee in materia ambientale sono favorevoli alla conservazione a lungo termine dei grandi predatori. La vera soluzione al problema dei danni è l’adozione di sistemi di difesa dagli attacch: recinzioni, cani da protezione, strategie gestionali. I danni vengono compensati, ma è un approccio che non può essere considerato risolutivo, né sostenibile a lungo termine. Meglio investire quelle cifre nel finanziare misure di prevenzione. Tutto il resto è pura strumentalizzazione politica». Com’è possibile prevenire l’ibridazione tra cane e lupo? E in che cosa differisce l’animale ibrido? «Innanzitutto migliorando la gestione dei cani. L’ibridazione di fatto non coinvolge lupi e cani puramente randagi ma anche cani di proprietà lasciati vagare indisturbati. La riduzione del randagio, la sterilizzazione dei cani, sia maschi che femmine, e il monitoraggio costante del fenomeno, possono davvero fare la differenza nel limitare i focolai di ibridazione. In Italia è in corso un progetto, il progetto LIFE MIRCO – lupo, che affronta da quattro anni questo tema delicato. Un lupo ibrido è ecologicamente simile a un lupo puro, non rappresenta un pericolo per l’uomo maggiore, ma rappresenta un pericolo per se stesso: reincrociandosi con i lupi puri continua a diffondere all’interno della popolazione selvatica varianti geniche di origine domestica, restituendoci lupi dai mantelli variopinti, pelo lungo, arti più corti, denti più piccoli, orecchie più grandi e non sappiamo quali altri aspetti fentoipici difformi da quelli che la selezione naturale ha plasmato nell’arco di milioni di anni». Sulle Alpi, si avvista la presenza del lupo in “forme” diverse: in branco, in coppia ma anche come individuo solitario. È una differenza comportamentale dell’animale o dipende da fattori esterni? «I soggetti solitari sono giovani in dispersione, cioè in cerca di un compagno o compagna con cui formare un nuovo branco, oppure individui anziani o bistrattati dagli altri membri del branco che quindi si muovono soli ai margini del loro territorio. Le coppie sono probabilmente coppie giovani, in procinto di riprodursi e i branchi famiglie che occupano stabilmente un territorio nel quale si riproducono». Nella sua intervista al Resto del Carlino, parla del mestiere del “lupologo” come un “ambiente prettamente maschile”. È perché, come molti ambiti, soprattutto quelli scientifici, si sta lentamente aprendo al mondo femminile o perché è un mestiere di fatica, a tempo pieno, che mal si concilia con la vita familiare? «In ambito scientifico purtroppo la figura della donna continua a vivere una realtà limitata e marginale, questo a quanto pare non solo in ambito zoologico ma in tutti gli ambiti di applicazione. E sicuramente il senso del dovere delle donne verso la famiglia e la casa condiziona negativamente il loro successo lavorativo poiché a lungo termine può diventare motivo di esclusione da alcune mansioni lavorative, magari le più prestigiose o gratificanti, se non motivo di licenziamento, anche volontario».