Tra queste pareti candide l’aristocrazia delle lettere ha vissuto i suoi fasti. Entriamo nella magnifica sala in cui ad ottobre si tiene la cerimonia che annuncia il Nobel. Poi nella segreta stanza del conclave, dove ogni giovedì gli accademici si riuniscono per discutere di letteratura. È raro avere il permesso di vederla. Al centro c’è un enorme tavolo, intorno 18 sedie, quelle dei membri dell’Accademia, dopo lo scandalo in gran parte riassegnate a nuovi giurati. Le ultime arrivate sono Anne Swärd e Ellen Mattson, romanziere apprezzate ma non così note. Rimane un solo posto vacante.
L’uomo da cui lo scandalo è partito, il fotografo Jean-Claude Arnault, è stato condannato per stupro. Davvero non sapevate?
«C’erano chiacchiere su di lui, certo. Si diceva che gli piacevano le donne, ma poteva bastare per criminalizzarlo? La moglie, la nostra collega Katarina Frostenson, aveva sempre negato. Non immaginavamo reati di questa portata».
Però c’era già stata, nel 1996, una lettera indirizzata all’Accademia in cui una donna, Ann-Karin Bylund, denunciava le molestie.
«Il segretario di allora Sture Allén, non l’ha presa sul serio, sbagliando. A quella donna lo scorso aprile, quando ho preso il ruolo di segretario, ho scritto per chiedere scusa».
Dunque niente rimorsi?
«Abbiamo fatto molti errori, a cominciare dal conflitto di interessi. Non dovevamo finanziare il centro culturale di Arnault, il club Forum. La commissione interna incaricata di indagare ha però confermato che Arnault non ha mai influito sul nostro lavoro».
La moglie continua a difenderlo.
«Credo lo faccia per amore. Non ha mai voluto parlare con noi. Anzi colgo l’occasione per chiederle di venirci a raccontare finalmente la sua versione dei fatti. Stiamo ancora aspettando. Dopo lo scandalo è andata in Francia per due mesi. Abbiamo provato ad invitarla all’Accademia per ascoltarla ma niente».
È vero che le avete pagato una buonuscita perché lasciasse l’Accademia?
«Abbiamo raggiunto un accordo grazie a un avvocato. Riceverà 12 mila corone svedesi mensili (intorno ai 1200 euro, ndr) per permetterle di pagare l’affitto di un appartamento e continuare a svolgere il suo lavoro di poetessa. Una delle novità introdotte dallo scandalo è l’aver incluso un legale, Eric M. Runesson, tra i nostri membri per aiutarci a dirimere le situazioni controverse. Grazie a lui abbiamo potuto liquidare anche Sara Danius, l’ex segretaria».
Sembra soddisfatto. Aveva molti nemici qui dentro?
«Non dialogava più con il resto dell’Accademia. Ha pensato solo alla sua immagine pubblica. Era giusto mandarla via».
Eppure Sara Danius nei giorni dello scandalo era diventata un’icona sociale, era l’accusatrice numero uno di Arnault. Le donne scendevano in piazza in suo nome.
«Non è stata in grado di fare la leader. Intorno a lei sull’onda del movimento # MeToo si era costruita una specie di idolatria».
Cosa c’è di male?
«Non era interessata al futuro dell’Accademia, ma solo a dare di sé l’immagine dell’eroina. Assurdo, ha messo sé stessa al centro di tutto. Mi domando: ma si rende conto di quello che ha fatto? Era sincera?
Nessuno qui dentro avrebbe voluto che lei rimanesse».
Si parla di un nuovo Comitato del Nobel che includerà cinque membri esterni all’Accademia. Ha l’aria di un commissariamento. Lo ha voluto la Fondazione Nobel?
«Sì, è stata la Fondazione a chiederlo, era molto preoccupata. Abbiamo già scelto chi ne farà parte. Tutti scrittori e critici letterari, di età miste, per raggiungere i lettori più giovani ed essere più equilibrati: Gun-Britt Sundström, Mikaela Blomqvist, Rebecka Kärde, Kristoffer Leandoer (ndr, il Comitato Nobel ha il compito di selezionare la lista dei candidati al premio). In tutto ci saranno nove persone, dei vecchi membri rimarrà fuori Horace Engdahl».
La stampa ha attaccato Engdahl per per aver difeso Arnault. Paga per le sue posizioni?
«Diciamo che ha avuto problemi di ego. Incredibile che potesse fare ancora parte del comitato dopo quello che aveva detto in giro. Lo abbiamo spinto a mollare, lui ha capito. È stato un sollievo per tutti».
Dopo aver cancellato il Nobel dello scorso anno, ad ottobre vi accingete a consegnarne due. A che punto siete con le candidature?
«Abbiamo deciso di azzerare tutto il lavoro del precedente comitato. Ma siamo a buon punto, c’è già una lista di 170 candidati».
Progetti futuri?
«Essere più aperti, comunicare francamente col mondo esterno, trasformare la crisi in una chance».
E per quanto la riguarda?
«Sto per compiere 70 anni, l’età massima fissata dallo Statuto per un segretario. Non mi dispiace andarmene. Non sono mai stato un leader, sono un poeta (sorride)».
Olsson va a prendere un suo libretto di haiku. Lo ha dedicato alla figlia, Vera Maria: «Ho voglia di tornare a scrivere e a meditare. La cosa meravigliosa della meditazione giapponese è che ti pulisce la mente. Nessun problema, nessuna immagine, solo il vuoto».