«Vedi che non mi capisci? Non vogliono uccidere me, ma Riace.
Vorrebbero cancellarne la storia e farla scomparire dentro la sua geografia, in fondo alla montagna calabrese. Ma sta succedendo il contrario. Tutti capiscono che Riace non era mai stata così viva».
Ti è vietata la dimora. Puoi andare dappertutto tranne al tuo paese, dove, comunque, non sei più sindaco perché sei stato sospeso. Quanto ci soffri a vagare come Ulisse, non confinato ma sconfinato?
«Ulisse dici? Vedi, mi infliggono una sofferenza che ha dignità di poesia».
Gli avvocati sono poeti?
«Per favore, scrivi che Antonio Mazzone e Andrea Daqua mi difendono gratis. Mi pagano anche le marche da bollo».
Siamo nella cucina di un appartamento di Caulonia — «me l’hanno prestato per l’esilio» — a dieci minuti d’auto da Itaca, la pietrosa, aspra e dirupata Riace, e Mimì Lucano è circondato da tanti mimìlucanisti. Mi fa l’occhiolino: «Sei finito dentro la storia». È Riace che lo viene a trovare: «Io sono il vecchio complice, il palo della banda» dice con allegria il pittore Tonino Petrolo. C’è l’assessora Maria Spanò che sa come aiutarlo perché «Mimì si confonde nei concetti come prima si confondeva nelle procedure». E poi Kashai, pelle nera e barba bianca, e Bairam Akar, curdo con i verbi all’infinito: «Essere tu il rifugiato politico, tu finalmente riuscire a diventare curdo». Sul tavolo c’è una tovaglia di plastica con un tappeto di molliche recenti.
Mimì parla e straparla con le mani, che alza per disegnare il mondo: «“Coraggio, sindaco”, mi ha detto il pm. Ma ci vuole coraggio quando arriva la paura, e io di cosa potrei avere paura? Della solidarietà che mi arriva da Firenze e da Zurigo, da Napoli e da Parigi, da Vienna e da Palermo, dalla Germania e da Milano?».
È vero che due imprenditori milanesi vorrebbero finanziare Riace, cominciando con il comprare la tua famosa carta moneta?
«Non è il momento di fare nomi, ma ci sono Fondazioni private che offrono aiuto e soldi. Più la colpiscono e più rendono mitica Riace. Come la città di Troia. Riace è il nome di una fiaba, come Cenerentola».
La fiaba degli immigrati che arrivano dal mare e resuscitano un paese morto?
«Dovrebbero riprodurre questo modello nelle terre abbandonate del sud, nelle campagne desertificate della Sicilia, e ci vorrebbe un’altra riforma agraria.
Dicono che noi abbiamo “distratto” i soldi dell’assistenza. Lo stato versa 35 euro al giorno a immigrato. Hai visto cosa ne fanno nelle periferie di tutta Italia?».
Ho visto a Roma gli immigrati chiusi in palazzoni grigi con il cemento scrostato.
«Li tengono lì dentro a spiare e a farsi spiare dalle finestre. Ogni tanto portano le buste di plastica con il cibo. Li nutrono come si fa con i maiali. Se ci vai, capisci subito come si diventa razzisti e come nasce l’intolleranza dalla povertà, dalla tracimazione rancorosa della “generosità” di ghetto».
Trentacinque euro di odio?
[/DOMANDA]«Con gli stessi 35 euro noi a Riace abbiamo creato il frantoio, i laboratori artigiani, vetro, ricamo, carta, gli aquiloni di Her?t, i vasi di Kabul... e un asilo nido plurietnico, una scuola, presidi medici, un ristorante, le borse-lavoro. E il paese diventa albergo diffuso per accogliere il turismo equosolidale. In una casa ha vissuto Wim Wenders, in un’altra Fiorello... Questa è distrazione o impiego di fondi?
Davvero è un sistema criminogeno?».
A Riace gli immigrati non commettono reati?
«Mai successo».
E i tuoi reati?
Mimì mostra i palmi: «Ma quali reati?». Si tocca il cuore, e poi la tasca: «Ci vuole un interesse criminale per commettere reati».
Agita gli indici e i pollici a L: «Ma se non ho niente!». E conta con le dita tutte le cose che non ha: «Trecento euro in banca, la macchina pignorata da Equitalia, niente casa, persino il telefono è rotto. Toccalo, diventa caldo caldo come un diavolo. Il tecnico mi ha detto: mettilo in frigorifero».
Niente errori?
«Certo che ne ho fatti. Ti ha detto Maria che mi confondo. Ma alla fine tutto torna perché non è vero che sono mezzo cavaliere e mezzo bandito. E i miei pensieri non sono strampalati come vorrebbero i tuoi colleghi che vanno a caccia di pittoresco calabrese. Ti sembro un ignorante? Non sono Pico della Mirandola, ma ho fatto il perito chimico, ho vinto un concorso per insegnare e ho insegnato a Torino.
Ho dato 16 materie a Medicina. Mio padre è stato maestro di scuola. Mio fratello è medico. Non mi vesto in sartoria, non ho staff né segretarie, parlo col cuore e a volte mi si affollano i pensieri, perché ne ho tanti. Sono difetti? C’è da riderne?».
Ce l’hai con i giornalisti?
«Questa te la devo dire bene: il Lucano raccontato non esiste, mi chiamo Mimì e non Mimmo e hanno scritto che sono primitivo e naïf. Si infilano nel luogo comune: Lucano è iperbolico e cafone perché un calabrese è sempre un calabrese».
E non è vero?
«Certo, ha un’identità forte: va sino in fondo, ha passioni, esaltazioni individualistiche, accese solitudini, e coltiva l’intelligenza libertaria sin dai tempi di Telesio e di Campanella... Ma hanno identità forti anche i siciliani, i sardi, i toscani, i genovesi, i romani, i napoletani. Solo agli indomiti e ostinati calabresi è riservato il pittoresco? Stasera vado da Fazio: in tv è anche peggio».
E la famosa compagna etiope?
«Mi hanno attribuito figli sbagliati e hanno stabilito che ho una compagna: ma che ne sapete? Io sono separato e vivo da solo, ma sono ancora un uomo. Ho tre figli: con Pina ci siamo sposati giovanissimi. Scrivi che è meravigliosa, anche se, per colpa mia, ci siamo separati. Ora vive a Siena con Eliana, la più fragile, la più sensibile. Poi c’è Martina che studia psicologia e vive con il fratello, Roberto, il grande, che è laureato in Ingegneria informatica e che...».
...non ti ha votato.
«Organizzò il movimento “Scheda bianca per Riace”. E al mio comizio di chiusura intervenne contro di me. Ora è diventato 5 stelle ed è, con me, politicamente severo. Una volta era di sinistra anche lui».
Ma c’era bisogno di inventarsi una moneta con la faccia di Che Guevara?
[/DOMANDA]«Intanto non è una moneta. Si tratta di bonus, di voucher. Se funziona, perché non farlo?».
Anche D’Annunzio a Fiume stampò moneta.
«Il modello di Riace è di sinistra. E su questo non si scherza. Quando arrivò il primo barcone con i curdi noi abbiamo ristrutturato una casa per farne un ristorante. Il proprietario ci disse: compratevelo. Gli rispondemmo: non ci interessa la proprietà privata. Oggi non vuole più vendere e noi gli paghiamo un affitto di 5.000 euro all’anno».
Sei contro la proprietà privata?
«A Riace non serve. È una città libertaria. Il modello è quello delle comuni degli anarchici francesi “Longo Maï”, pacifisti e agricoltori, che vennero qui molti anni fa».
Chi sono i tuoi buoni maestri?
«Bakunin, Proudhon, il pensiero libertario, e poi Pasolini del “Vangelo secondo Matteo”, Franco Basaglia, Peppino Impastato, padre Puglisi, Camillo Torres, i curdi del Pkk, i cristiani della teologia della liberazione. Pedro Casaldáliga Plá diceva: “Il socialismo può essere cristiano, il capitalismo e il neoliberismo no” ».
Credi in Dio?
«A volte sì, a volte no».
E i tuoi cattivi maestri?
«Quelli che concretamente mi hanno portato sulla cattiva strada sono l’ex vescovo di Locri, monsignor Bregantini, l’ex sindaco comunista di Rosarno Peppino Lavorato e, prima ancora, Natale Bianchi, un ex prete sospeso a divinis, che fu mio insegnate di religione e ha tutt’oggi una vita travagliata. E poi Tonino Perna, il nostro “amico intelligente”. Insegna Sociologia Economica a Messina e a lui devo l’embrione del modello Riace. Fu suo il primo esperimento, a Badolato, nel 1997: un fallimento che ci servì da lezione. Poi, da presidente del Parco dell’Aspromonte, nel 2003 Tonino fece stampare una moneta cartacea. Lo abbiamo imitato: sono pezzi di carta risolutivi quando i ritardi di pagamento ti farebbero fallire. Nel mondo ci sono già 5.000 monete locali».
Per partire con il modello Riace dove avete preso il danaro?
«Ottenemmo un prestito di cento milioni di lire dalla Banca Etica perché in consiglio d’amministrazione c’era appunto Tonino Perna. Con il tempo li restituimmo tutti».
Da sindaco ti sei mai fatto prendere la mano?
«Ho sbagliato ad allargare troppo il modello, ad esportarlo fuori dal centro storico attirando così qualche speculatore. Perna mi aveva consigliato la prudenza, ma c’era il prefetto Morcone, proprio quello che ora dice che io deliravo, che da un lato mi copriva pubblicamente di lodi e dall’altro mi “allattava” il cuore per piazzare gli immigrati che nessuno voleva: “Prendili, ti prego”, e non c’era tempo per niente. Ora mi rimproverano di avere assegnato, senza gara, la raccolta dei rifiuti alla sola cooperativa che aveva un asino: le strade sono strette e le auto non passano. La gente legge “appalto per i rifiuti” e pensa alle grandi discariche, non al mio asinello spazzino».
Cosa succeederà?
«Immagino che revochino questo provvedimento sadico che non mi permette di tornare a casa mia».
Ti senti vittima del clima politico?
«Non mi ha certo arrestato Salvini, non ha questo potere. Ma anche la giustizia, si sa, è figlia del suo tempo, dei suoi pregiudizi, della sua politica. E Riace era, anzi è, uno scandalo troppo di sinistra nella brutta Italia di destra che stanno costruendo».
***
IL POST 2/10/2018 -
Il sindaco di Riace Domenico Lucano, il cui modello di accoglienza dei migranti è stato spesso raccontato come un’eccezione positiva in Italia, è stato arrestato dalla Guardia di Finanza. Repubblica dice che le accuse contro Lucano sono favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e illeciti nell’affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti. Per Lucano è stata emessa un’ordinanza di custodia cautelare dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Locri: il sindaco si trova dunque agli arresti domiciliari. Per la sua compagna, Tesfahun Lemlem, è stato invece stabilito il divieto di dimora. L’ordinanza di custodia non riguarda la gestione dei fondi dati al comune per la gestione dei richiedenti asilo, anche se l’indagine iniziale aveva quell’obiettivo.
L’operazione in cui Lucano è stato coinvolto si chiama “Xenia” e la misura cautelare, si dice nel comunicato stampa della procura della Repubblica del tribunale di Locri, «rappresenta l’epilogo di approfondite indagini (…) svolte in merito alla gestione dei finanziamenti erogati dal ministero dell’Interno e dalla prefettura di Reggio Calabria al comune di Riace per l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo politico». In corso di indagine è emerso che Lucano, si dice nel comunicato, avrebbe organizzato dei “matrimoni di convenienza” tra cittadini italiani e donne straniere per consentire la permanenza di queste ultime sul territorio: sono state infatti raccolte delle prove che hanno permesso di dimostrare come il sindaco e la compagna «avessero architettato degli espedienti criminosi, tanto semplici quanto efficaci, volti ad aggirare la disciplina prevista dalle norme nazionali per ottenere l’ingresso in Italia».
Nel comunicato si riportano anche alcune intercettazioni che coinvolgono Lucano. Il sindaco, si dice poi, avrebbe affidato direttamente e senza gara di appalto – come invece previsto dal Codice dei contratti pubblici – il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti di Riace a due cooperative sociali, Ecoriace e L’Aquilone, che non avrebbero però i requisiti di legge richiesti per fornire quel servizio.
Nell’ultima pagina del comunicato si fanno comunque delle precisazioni importanti: l’inchiesta della Guardia di Finanza aveva l’obiettivo di verificare l’utilizzo dei fondi dati al comune per la gestione dell’accoglienza e ha portato a scoprire «diffuse e gravi irregolarità» sulla gestione di questi soldi pubblici. Il GIP, dopo un anno d’indagine, ha però negato la sussistenza di quelle contestazioni contro Lucano «rilevando che, ferme restando le valutazioni espresse in ordine alla tutt’altro che trasparente gestione, da parte del Comune di Riace e dei vari enti attuatori, delle risorse erogate per l’esecuzione dei progetti SPRAR e CAS, ed acclarato quindi che tutti i protagonisti dell’attività investigativa conformavano i propri comportamenti ad estrema superficialità, il diffuso malcostume emerso nel corso delle indagini non si è tradotto in alcuna delle ipotesi delittuose ipotizzate». Il GIP non ha insomma emesso alcuna misura cautelare nei confronti di Lucano sulle contestazioni che hanno a che fare con l’utilizzo dei fondi per la gestione dell’accoglienza dei migranti.
Nel comunicato si dice infine che la Procura procederà nei prossimi giorni ad approfondire «ogni opportuno aspetto per presentare l’eventuale, apposito ricorso presso il Tribunale della Libertà di Reggio Calabria, fermo restando che dalle indagini è comunque emersa una pluralità di situazioni che, nell’immediatezza, impone la trasmissione degli atti alla Procura regionale della Corte dei Conti ai fini dell’accertamento del connesso danno erariale». Il tribunale della libertà, oggi chiamato tribunale del riesame, controlla la legittimità e il merito dei provvedimenti restrittivi della libertà personale.
L’esperienza di Riace, in Calabria, è stata raccontata negli scorsi mesi da diversi giornali internazionali e nazionali. A Riace, che era un paese ormai semideserto, nelle case abbandonate del centro oggi vivono stabilmente centinaia di rifugiati in una specie di sistema di accoglienza diffuso. Per avviare il progetto Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), ricorda il Sole 24 Ore, «sono stati utilizzati immobili abbandonati, costruiti tra agli anni ‘30 e ’60, recuperati con fondi dell’Unione europea e progetti della Regione Calabria». Attorno ai richiedenti sono nati anche posti di lavoro che hanno riqualificato il paese: botteghe artigiane e ristoranti hanno riaperto, sono stati avviati asili, scuole multilingue, orti biologici; le case sono state ristrutturate ed è stato rifatto, tra le altre cose, tutto l’impianto di illuminazione del paese.
Negli ultimi tempi però c’è stato uno scontro con il ministero degli Interni, che per due anni ha bloccato i finanziamenti destinati ai progetti di accoglienza di Riace sulla base di problemi rilevati dalla prefettura nella rendicontazione dei finanziamenti stessi, e quindi all’uso dei fondi dello Stato: alcuni giornali, mesi fa, hanno parlato di spese non giustificate, di rimborsi non chiari e di affidamenti diretti del sindaco a enti gestori senza gara pubblica. Circa un anno fa contro Lucano – che aveva iniziato uno sciopero della fame e che si era scontrato direttamente con l’attuale ministro dell’interno Matteo Salvini – era partita un’indagine della magistratura per «anomalie nel funzionamento del sistema». Lucano era stato iscritto nel registro degli indagati con le ipotesi di concussione e truffa: in quell’occasione, la procura gli contestava il sistema dei bonus e delle borse lavoro, due strumenti con cui a Riace si utilizzavano in modo diverso i 35 euro giornalieri concessi dallo Stato per la gestione dei richiedenti asilo. Sulla questione del blocco dei finanziamenti erano intervenuti vari personaggi pubblici, compreso Roberto Saviano che aveva chiesto che il modello Riace tornasse a essere sostenuto.
Alla fine di agosto Lucano aveva detto che le varie mobilitazioni erano andate a buon fine: «Pare che qualcuno al ministero dell’Interno si sia reso conto che non solo devono ripristinare i finanziamenti, ma anche restituire i crediti pregressi. Da Roma ci hanno detto che la situazione si sta normalizzando, perché i rilievi sulla rendicontazione dei finanziamenti, fatti dalla prefettura, si sono rivelati infondati. Il processo è in itinere, ma a quanto pare dovranno restituirci anche i fondi che nel 2017 ci hanno negato». Dal ministero degli Interni però avevano fatto sapere che il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione stava semplicemente valutando le note trasmesse dal sindaco, e che era «un passaggio necessario, dopo l’accertamento di molte, gravi e diffuse criticità per spese che non risulterebbero ammissibili».
L’operazione in cui Lucano è stato coinvolto si chiama “Xenia” e la misura cautelare, si dice nel comunicato stampa della procura della Repubblica del tribunale di Locri, «rappresenta l’epilogo di approfondite indagini (…) svolte in merito alla gestione dei finanziamenti erogati dal ministero dell’Interno e dalla prefettura di Reggio Calabria al comune di Riace per l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo politico». In corso di indagine è emerso che Lucano, si dice nel comunicato, avrebbe organizzato dei “matrimoni di convenienza” tra cittadini italiani e donne straniere per consentire la permanenza di queste ultime sul territorio: sono state infatti raccolte delle prove che hanno permesso di dimostrare come il sindaco e la compagna «avessero architettato degli espedienti criminosi, tanto semplici quanto efficaci, volti ad aggirare la disciplina prevista dalle norme nazionali per ottenere l’ingresso in Italia».
Nel comunicato si riportano anche alcune intercettazioni che coinvolgono Lucano. Il sindaco, si dice poi, avrebbe affidato direttamente e senza gara di appalto – come invece previsto dal Codice dei contratti pubblici – il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti di Riace a due cooperative sociali, Ecoriace e L’Aquilone, che non avrebbero però i requisiti di legge richiesti per fornire quel servizio.
Nell’ultima pagina del comunicato si fanno comunque delle precisazioni importanti: l’inchiesta della Guardia di Finanza aveva l’obiettivo di verificare l’utilizzo dei fondi dati al comune per la gestione dell’accoglienza e ha portato a scoprire «diffuse e gravi irregolarità» sulla gestione di questi soldi pubblici. Il GIP, dopo un anno d’indagine, ha però negato la sussistenza di quelle contestazioni contro Lucano «rilevando che, ferme restando le valutazioni espresse in ordine alla tutt’altro che trasparente gestione, da parte del Comune di Riace e dei vari enti attuatori, delle risorse erogate per l’esecuzione dei progetti SPRAR e CAS, ed acclarato quindi che tutti i protagonisti dell’attività investigativa conformavano i propri comportamenti ad estrema superficialità, il diffuso malcostume emerso nel corso delle indagini non si è tradotto in alcuna delle ipotesi delittuose ipotizzate». Il GIP non ha insomma emesso alcuna misura cautelare nei confronti di Lucano sulle contestazioni che hanno a che fare con l’utilizzo dei fondi per la gestione dell’accoglienza dei migranti.
Nel comunicato si dice infine che la Procura procederà nei prossimi giorni ad approfondire «ogni opportuno aspetto per presentare l’eventuale, apposito ricorso presso il Tribunale della Libertà di Reggio Calabria, fermo restando che dalle indagini è comunque emersa una pluralità di situazioni che, nell’immediatezza, impone la trasmissione degli atti alla Procura regionale della Corte dei Conti ai fini dell’accertamento del connesso danno erariale». Il tribunale della libertà, oggi chiamato tribunale del riesame, controlla la legittimità e il merito dei provvedimenti restrittivi della libertà personale.
L’esperienza di Riace, in Calabria, è stata raccontata negli scorsi mesi da diversi giornali internazionali e nazionali. A Riace, che era un paese ormai semideserto, nelle case abbandonate del centro oggi vivono stabilmente centinaia di rifugiati in una specie di sistema di accoglienza diffuso. Per avviare il progetto Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), ricorda il Sole 24 Ore, «sono stati utilizzati immobili abbandonati, costruiti tra agli anni ‘30 e ’60, recuperati con fondi dell’Unione europea e progetti della Regione Calabria». Attorno ai richiedenti sono nati anche posti di lavoro che hanno riqualificato il paese: botteghe artigiane e ristoranti hanno riaperto, sono stati avviati asili, scuole multilingue, orti biologici; le case sono state ristrutturate ed è stato rifatto, tra le altre cose, tutto l’impianto di illuminazione del paese.
Negli ultimi tempi però c’è stato uno scontro con il ministero degli Interni, che per due anni ha bloccato i finanziamenti destinati ai progetti di accoglienza di Riace sulla base di problemi rilevati dalla prefettura nella rendicontazione dei finanziamenti stessi, e quindi all’uso dei fondi dello Stato: alcuni giornali, mesi fa, hanno parlato di spese non giustificate, di rimborsi non chiari e di affidamenti diretti del sindaco a enti gestori senza gara pubblica. Circa un anno fa contro Lucano – che aveva iniziato uno sciopero della fame e che si era scontrato direttamente con l’attuale ministro dell’interno Matteo Salvini – era partita un’indagine della magistratura per «anomalie nel funzionamento del sistema». Lucano era stato iscritto nel registro degli indagati con le ipotesi di concussione e truffa: in quell’occasione, la procura gli contestava il sistema dei bonus e delle borse lavoro, due strumenti con cui a Riace si utilizzavano in modo diverso i 35 euro giornalieri concessi dallo Stato per la gestione dei richiedenti asilo. Sulla questione del blocco dei finanziamenti erano intervenuti vari personaggi pubblici, compreso Roberto Saviano che aveva chiesto che il modello Riace tornasse a essere sostenuto.
Alla fine di agosto Lucano aveva detto che le varie mobilitazioni erano andate a buon fine: «Pare che qualcuno al ministero dell’Interno si sia reso conto che non solo devono ripristinare i finanziamenti, ma anche restituire i crediti pregressi. Da Roma ci hanno detto che la situazione si sta normalizzando, perché i rilievi sulla rendicontazione dei finanziamenti, fatti dalla prefettura, si sono rivelati infondati. Il processo è in itinere, ma a quanto pare dovranno restituirci anche i fondi che nel 2017 ci hanno negato». Dal ministero degli Interni però avevano fatto sapere che il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione stava semplicemente valutando le note trasmesse dal sindaco, e che era «un passaggio necessario, dopo l’accertamento di molte, gravi e diffuse criticità per spese che non risulterebbero ammissibili».
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FILIPPO FACCI, LIBERO 9/10/2018 -
Se garantismo significa rispetto delle regole, il caso di Domenico «Mimmo» Lucano sarebbe un caso di garantismo all’incontrario, inchinato alla morale del «non dovete toccarlo perché piace a noi». Non solo: è un caso in cui un indagato ha disinvoltamente compiuto dei reati sapendo di compierli (di questo c’è fonte di prova e l’ammissione del pur rigoroso giudice) al punto che molti dei personaggi che lo difendono non ne reclamano l’innocenza, ma il diritto a una sorta di «disobbedienza civile» che però non paghi pegno. Come se voi pretendeste di non pagare il fisco senza che accada nulla. «Per disattendere queste leggi balorde, vado contro la legge» ammette Lucano in un’intercettazione telefonica. «Disobbedienza civile: questa è l’unica arma che abbiamo per difendere non solo i diritti degli immigrati, ma i diritti di tutti» ha detto per esempio Roberto Saviano. Ma l’inventore della disobbedienza, il filosofo Henry David Thoreau che rifiutò di pagare le tasse per la guerra, fu arrestato. Il padre di tutti i disobbedienti, Ghandi, fu arrestato. Danilo Dolci, soprannominato il «Gandhi italiano» perché durante il fascismo strappava i volantini del regime, fu arrestato. I disobbedienti civili, come i Radicali, fanno ampissima pubblicità ai loro gesti e alle loro conseguenze penali, e spesso vengono arrestati. Lucano invece si vantava genericamente: ma non esplicitava. Ma che volete che sappiano, di questo e delle carte, i vari lobotomizzati e i grandi nomi che firmano manifesti a orecchio.
I FATTI Proviamo, ergo, a ri-raccontarla da capo, attenendoci all’ipotesi che Lucano sia un cittadino come gli altri. Più di due anni fa una commissione prefettizia denunciò che a Riace c’erano delle irregolarità che strutturavano un sistema studiato per andare oltre l’accoglienza di breve periodo. Al tempo c’era un altro governo e sicuramente non c’era questo, tantomeno c’era Matteo Salvini al ministero dell’Interno: lo precisiamo perché Domenico Lucano, tempo fa, ha fatto uno sciopero della fame contro Salvini perché non riceveva più soldi dal 2016. L’indagine della magistratura comunque deriva dalla citata relazione prefettizia, ma la prima azione che coinvolge direttamente Lucano è di meno di un anno fa: lo indagano per truffa, concussione e abuso d’ufficio. Perquisiscono il Comune e casa sua. Ma non lo arrestano. Anche perché la magistratura di Locri, nei confronti di Lucano, ha avuto solo comportamenti proceduralmente esemplari, e parte della magistratura associata l’ha anche sostenuto: Magistratura democratica propose addirittura «di riconoscere Riace come patrimonio culturale immateriale dell’umanità». Dopodiché l’indagine è di un paio d’anni fa (si chiama «Xenia») durante i quali, con molta calma, lo stesso sistema giudiziario non ha fatto arresti, ma ha smontato autonomamente le accuse più gravi sostenute dai pubblici ministeri e dalla Guardia di Finanza: cioè l’associazione per delinquere, la truffa aggravata e la concussione.
MOLTE OMBRE Il giudice, però, nelle sue 132 pagine, aveva ammesso e intravisto che nel «sistema Lucano» c’erano una «tutt’altro che trasparente gestione», «estrema superficialità e diffuso malcostume», «gestione quantomeno opaca e discutibile dei fondi destinati all’accoglienza dei cittadini extracomunitari», Lucano, sì, «soggetto avvezzo a muoversi sul confine tra lecito e illecito, pacificamente superato nelle vicende relative all’affidamento diretto dei servizi di pulizia della spiaggia di Riace e al matrimonio fittizio». Ma niente che l’abbia indotto ad arrestarlo. E giustamente. Però l’indagine è proseguita, sinché Lucano, molto tempo dopo, cioè la settimana scorsa, è stato accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di illeciti nell’affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti. E il 2 ottobre è stato messo agli arresti (lo prevede la Legge) ma colle modalità più blande possibili: ai domiciliari, ma con piena libertà di comunicare col mondo e di fare, per dire, dirette televisive di 25 ininterrotti minuti come ha fatto domenica sera su La7, parlando del suo caso senza contraddittorio. Unica cosa che sembra cattiva: siccome parte dei reati li avrebbe compiuti con la compagna, il gip ha deciso che lui non deve stare in domicilio coatto con lei, ma è normale. Domanda da garantista: ma, anche se blandi e anche se domiciliari, gli arresti erano proprio necessari’ La risposta la fornisce il giudice: Lucano «creava una fitta rete di contatti personali che ne agevolavano, chi più chi meno consapevolmente, le perpetrazioni sopra indicate, e sulla quale tuttora potrebbe fare affidamento per tornare a delinquere [...] è ancora fertile il retroterra sfruttato dall’indagato (a oggi sindaco di Riace) per porre in essere comportamenti penalmente stigmatizzabili [...] l’incarico attualmente ricoperto e la copiosa presenza di stranieri sul territorio potrebbe costituire occasione propizie per l’adozione di atti amministrativi volutamente viziati o per la proposizione a soggetti extracomunitari di facili e illegali scappatoie per ottenere l’ingresso in Italia». Vero? Falso? Motivato, diciamo.
TUTTO È PERMESSO Dalle carte comunque emerge che Lucano avrebbe organizzato dei matrimoni di convenienza tra cittadini italiani ed extracomunitarie per farle rimanere nel Paese: e di questo ci sono già fonti di prova, intercettazioni comprese. Secondo il gip – stessa figura che in passato aveva escluso altre accuse – il sindaco e la sua compagna avevano «architettato degli espedienti criminosi, tanto semplici quanto efficaci, volti ad aggirare la disciplina prevista dalle norme nazionali per ottenere l’ingresso in Italia». La seconda accusa – aver violato il Codice dei contratti pubblici affidando senza gara due contratti pubblici a cooperative che non ne avevano i requisiti – è materia più cavillosa. Tre dipendenti del Comune, ritenuti attendibili dal giudice, accusano il sindaco di irregolarità per gli anni 2014, 2015, 2016 e 2017. Dicono che l’avevano avvertito, ma che lui ha tirato dritto. È anche il giudice ad ammettere che Lucano faceva reati sapendo di farli: «Il Lucano, che già sapeva di essere indagato, non faceva mistero neanche di fronte a persone estranee al suo entourage di trasgredire intenzionalmente quelle norme civili e amministrative delle quali proprio lui era in realtà tenuto per primo a garantire il rispetto». Lo sapeva lui, e tra gli amici lo sapevano tutti: e se tu fai questo, e poi la rivista Fortune (2016) ti inserisce ridicolmente tra le «50 personalità più influenti al mondo», forse qualche megalomania comincia ad ombreggiare. Tipo: essere al di sopra della legge, in missione e per conto dell’umanità.
***
MASSIMO GRAMELLINI, CORRIERE DELLA SERA 7/10/2017 –
Ancora una volta il sospetto cala su un sogno. Hanno indagato il sindaco di Riace, Mimmo Lucano. Quello che la rivista Fortune aveva inserito come unico italiano nella lista delle cinquanta persone più influenti della Terra. Quello a cui Beppe Fiorello presterà il volto nella prossima fiction Rai. Quello che, invece di mangiare sui migranti, ha costruito un sistema in grado di farli mangiare, e non a sbafo. Il modello Riace. Il contrario dell’assistenzialismo che arricchisce i maneggioni della falsa carità. I soldi pubblici non più precipitati dentro un calderone opaco, ma usati per rivitalizzare le botteghe abbandonate del centro storico. Nessun parassita, tutti sul pezzo a imparare un mestiere. La formula dell’integrazione perfetta, studiata in ogni parte del mondo e adesso anche dai nostri magistrati, che sostengono di avervi visto cose poco chiare: fatture non giustificate, fondi non rendicontati.
Comunque vada, si masticherà amaro. Se Lucano risulterà colpevole, saremo stati traditi da un politico per l’ennesima volta. Ma anche se ne uscisse fuori immacolato – o responsabile soltanto di quei vizi formali con cui spesso in Italia si azzoppano gli slanci innovativi —, la sua disavventura giudiziaria avrà fornito un ottimo pretesto ai timorosi per non arrischiarsi a inventare qualcosa di nuovo e ai professionisti del cinismo per dire che i buoni non esistono e che quindi, poiché tutti fanno schifo, tanto vale che continuino tutti a farlo da impuniti. Non resta che aspettare: considerati i tempi snelli della giustizia, non più di trecentododici anni. Nel frattempo non svegliatemi.
Comunque vada, si masticherà amaro. Se Lucano risulterà colpevole, saremo stati traditi da un politico per l’ennesima volta. Ma anche se ne uscisse fuori immacolato – o responsabile soltanto di quei vizi formali con cui spesso in Italia si azzoppano gli slanci innovativi —, la sua disavventura giudiziaria avrà fornito un ottimo pretesto ai timorosi per non arrischiarsi a inventare qualcosa di nuovo e ai professionisti del cinismo per dire che i buoni non esistono e che quindi, poiché tutti fanno schifo, tanto vale che continuino tutti a farlo da impuniti. Non resta che aspettare: considerati i tempi snelli della giustizia, non più di trecentododici anni. Nel frattempo non svegliatemi.
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MAURIZIO MAUGERI, IL SOLE 11/10/2009 –
Ramadullah è un bambino afgano di nove anni con due occhi neri che corre per i viottoli di Riace con le braccia aperte, un aeroplanino in carne e ossa che fende l’aria carica di ossigeno di questo paesino ionico. Otto giorni al buio dentro un container con l’acqua razionata e un po’ di biscotti, Ramadullah scappa verso l’Italia con uno "zio" conosciuto durante il lungo viaggio, una di quelle parentele acquisite che i fuggiaschi sanciscono istintivamente in nome della sopravvivenza reciproca: i genitori di Ramadullah sono seppelliti in uno dei tanti cimiteri afgani e il figlio sopravvissuto mostra a chiunque glielo chieda la cicatrice sul fianco, il ricordo di una scheggia che avrebbe potuto spedire anche lui al Creatore. A Riace, un pezzo di Calabria ionica con le case ipnotizzate dal mare viola dei greci e le morbide colline di argilla che s’inseguono fino in cima al paese, ci sono 17 bambini come Ramadullah. Mohamed, Moustafà, Ann, Sabir e tanti altri: sono etiopi, curdi, afgani, serbi, somali, palestinesi, eritrei. I primi 300 curdi irakeni e del Turkistan sbucarono dal mare una mattina del primo luglio del 1998. Quel giorno gli occhi di Mimmo Lucano, da sei anni sindaco di Riace e allora professore di chimica all’istituto tecnico di Roccella jonica, furono abbagliati da uno spettacolo che gli avrebbe cambiato la vita: «Sembravano pesci in una stiva. Le donne, con i loro bambini in braccio, erano avvolte in coloratissimi abiti verdi, gialli e rossi, gli stessi della bandiera curda». La prima destinazione temporanea è la Casa del pellegrino che sorge accanto al santuario di San Cosimo e Damiano, due chilometri da Riace, il luogo dove ogni fine settembre si riuniscono i rom di Calabria e Sicilia. Una festa che da decenni lega i Rom agli abitanti di Riace, che in quei giorni aprono le loro case agli zingari e, in nome di un comune destino segnato dall’emigrazione, ci si scambia i prodotti delle due diverse culture: i rom l’artigianato in ferro, la gente di Riace l’olio, i pomodori, le conserve.
Mimmo Lucano passa l’estate del 1998 facendo la spola tra casa sua e il santuario. Diventa così amico dei migranti che da allora lo chiamano "Mimmo il curdo". così immerso nella loro cultura che dopo qualche settimana riesce a distinguere dall’odore un curdo irakeno da uno del kurdistan. «In loro riconosco l’antropologia di noi calabresi:dal mare arrivano i miei antenati, i fondatori della Magna Grecia, dal mare arrivano i bronzi e dal mare arrivano i migranti. Mio fratello è emigrato in America, un altro a Santena, nella cintura di Torino, dove ci sono più riacesi che a Riace. Noi e i migranti siamo la stessa identica cosa. Cacciarli sarebbe un gesto inutilmente crudele, un po’ come cacciare noi stessi». Il mare, insomma, come portatore di ricchezza.
Asad, un giornalista iraniano che parla spagnolo diventa amico di Mimmo. Una sera, tra un bicchiere e l’altro, gli dice: «Riace non ha avuto guerre ma è come se la guerra ci fosse stata. Qui è un deserto come il Kurdistan». Per Mimmo è come una scudisciata. A Riace le case sono vuote, i bar non esistono, le scuole sono chiuse e per comprare il pane si deve scendere fino a Riace Marina. E se i curdi, gli etiopi, gli eritrei, gli afgani e i serbi lo ripopolassero? Se si trasformassero in artigiani, commercianti, albergatori e rianimassero un’economia morta e sepolta? una pensata degna di Muhammad Yunus, il banchiere dei poveri che nel Bangladesh ha inventato il microcredito. Mimmo, che nel 1998 è un semplice consigliere comunale, nel 2004 si candida alle elezioni comunali a capo di una lista civica e un programma scarno scarno: trasformiamo i rifugiati politici e i migranti in cittadini di Riace. Stravince, e il giorno dopo corre a Napolie a Roma dove vivono i discendenti dei latifondisti di Riace, e gli chiede di cedere i loro palazzi nobiliari abbandonati e le vecchie cantine ormai conquistate dai topi a prezzi politici. I Pinnarò, una delle dinastie più altolocate del paese, offrono al Comune i loro beni al prezzo simbolico di un euro al mese. La Banca etica di Padova finanzia la ristrutturazione con 51mila euro e il Viminale iscrive Riace nel programma Sprar, Sistema protezione rifugiati richiedenti asilo, 20 euro al giorno a testa che arrivano nelle casse esangui del comune di Riace (i malfamati centri di identificazione espulsione, dove gli immigrati rimangono anche sei mesi, costano ai contribuenti 120 euro al giorno per ogni immigrato). Nel 2008 per i suoi 75 immigrati Riace ha ottenuto 120mila euro dal Viminale. Piccole cifre con le quali Mimmo il curdo risolleva l’economia di questo piccolo borgo ionico e trasforma le vecchie cantine abbandonate in laboratori con il cotto a terra e le volte con i mattoni rossi a vista.
Elen, una ventiseienne eritrea, tesse sciarpe coloratissime con la sua bimba accanto che dorme nel passeggino. Poco più avanti, nel laboratorio di ceramica, Issa, un quarantenne afgano ci accoglie offrendoci un grappolo d’uva. Issa modella lampade e soprammobili in esposizione a quattro euro l’uno. Altri dieci passi e si entra in una bottega dove una ragazza serba, Zumleta, fa l’uncinetto con le donne del paese, ancora qualche passo è al limite del paese c’èla riacese Irene che insegna a Shugri, una somala di 23 anni, a soffiare il vetro. Irene ha imparato il mestiere da Dimitri, un ragazzo bulgaro che ha regalato al sindaco tutti gli attrezzi necessari per trasformare il vetro.
Sapienza, manualità, passione, volti di giovani donne con le facce serene dei mille colori del mondo che s’incrociano nelle viuzze di questo minuscolo paese riasfaltate con la pietra dell’Aspromonte.
Riaprono le scuole, i bar, i ristoranti. I riacesi riparati a Torino rientrano in Calabria per lavorare con gli immigrati. Alla scuola elementare ci sono 17 bambini immigrati e nove indigeni. Se non fosse per gli occhi tristi di molti bambini stranieri che hanno perso i genitori, Riace sarebbe il paese più bello d’Italia. L’accoglienza dolce, come la chiama Mimmo il curdo, funziona così bene che il prefetto Mario Morcone che coordina il programma Sprar decide di allargare l’esperimento ai comuni confinanti di Stignano e Caulonia, altri 180 immigrati che hanno rinsanguato paesi fantasma. Mimmo è scatenato: trasforma i palazzi nobiliari in un albergo diffuso con un centinaio di posti letto e organizza la raccolta differenziata con due asinelli che agli ordini di una coppia di immigrati somali ed eritrei bussano ogni mattina alle porte dei riacesi per raccogliere carta, plastica e vetro: «Duemila euro per la coppia di asinelli invece che migliaia di euro per assicurazione, benzina e manutenzione di veicoli inquinanti», dice entusiasta Mimmo.
Non è un processo indolore, la Calabria è sempre quel paradiso popolato da diavoli di cui parlava Benedetto Croce: e da queste parti i diavoli rispondono al nome della famiglia ’ndranghetista Ruga Metastasio, il clan di Camini che non ama i melting pot newyorkesi. Due anni fa hanno avvelenato i cani di Mimmo e il 16 marzo del 2009 hanno sparato una raffica di lupara alla porta della Taverna Donna Rosa. Una guerra strisciante, quotidiana che ha avuto il suo epilogo il 27 settembre,l’ultima notte di festeggiamenti dei rom nel santuario di San Cosimo e Damiano. Un’altra scarica di lupara che ha ucciso sul colpo Bruno Vallelonga, esponente di una cosca rivale.
Mimmo tira dritto e replica agli atti intimidatori cambiando i nomi delle vie di Riace. Ora un esponente dei Ruga Metastasio abita in una stradina intitolata al sindacalista siciliano Placido Rizzotto: «Il nome di Rizzotto questo signore lo deve tenere stampato sulla carta d’identità!».
Piccole soddisfazioni di un sindaco combattente che in settembre ha stretto la mano a Wim Wenders, il regista tedesco sceso in Calabria per girare un cortometraggio in 3D sceneggiato da Eugenio Melloni e coprodotto dalla regione Calabria. Il corto si chiama Il volo, una storia ambientata a Badolato, un grappolo di case appiccicate sul cocuzzolo di una montagna a una dozzina di chilometri da Riace, e racconta di un bambino calabrese che a causa dello spopolamento del suo paese non trova più dei compagni con cui giocare a calcio. Almeno fino a quando non arrivano un gruppo di migranti con i loro figli che ripopolano le case, le scuole e i campetti di Badolato. Il bambino protagonista del cortometraggio è il piccolo Ramadullah, ormai riacese purosangue, che durante le riprese prende Wenders per mano e gli dice in inglese: «Tu non sei un uomo se non vieni a Riace». Il regista tedesco non conosceva la storia di Mimmo il curdo, del suo progetto di microeconomia locale, degli immigrati afgani e africani che parlano in dialetto calabrese. Appena mette piede a Riace, Wenders cambia sceneggiatura e rivoluziona il casting: si scusa con le comparse reclutate in defatiganti sedute a Cosenza e Reggio e ingaggia come attori gli immigrati di Riace. L’ultima scena del
Volo ha come sfondo il cuore del paese di Mimmo Lucano: tutte le donne con i neonati attaccati al collo, i bambini, gli uomini di ogni razza e nazionalità sparsi a raggiera intorno alla piazza che corrono verso lo stesso punto riunendosi in un caleidoscopio di facce, di colori, di sorrisi. Un atterraggio perfetto del lungo volo di Mimmo il curdo e Ramadullah l’afgano, i due simboli di una rinascita possibile che sotto lo sguardo commosso di Wenders contemplano il cielo sopra Riace.
Ramadullah è un bambino afgano di nove anni con due occhi neri che corre per i viottoli di Riace con le braccia aperte, un aeroplanino in carne e ossa che fende l’aria carica di ossigeno di questo paesino ionico. Otto giorni al buio dentro un container con l’acqua razionata e un po’ di biscotti, Ramadullah scappa verso l’Italia con uno "zio" conosciuto durante il lungo viaggio, una di quelle parentele acquisite che i fuggiaschi sanciscono istintivamente in nome della sopravvivenza reciproca: i genitori di Ramadullah sono seppelliti in uno dei tanti cimiteri afgani e il figlio sopravvissuto mostra a chiunque glielo chieda la cicatrice sul fianco, il ricordo di una scheggia che avrebbe potuto spedire anche lui al Creatore. A Riace, un pezzo di Calabria ionica con le case ipnotizzate dal mare viola dei greci e le morbide colline di argilla che s’inseguono fino in cima al paese, ci sono 17 bambini come Ramadullah. Mohamed, Moustafà, Ann, Sabir e tanti altri: sono etiopi, curdi, afgani, serbi, somali, palestinesi, eritrei. I primi 300 curdi irakeni e del Turkistan sbucarono dal mare una mattina del primo luglio del 1998. Quel giorno gli occhi di Mimmo Lucano, da sei anni sindaco di Riace e allora professore di chimica all’istituto tecnico di Roccella jonica, furono abbagliati da uno spettacolo che gli avrebbe cambiato la vita: «Sembravano pesci in una stiva. Le donne, con i loro bambini in braccio, erano avvolte in coloratissimi abiti verdi, gialli e rossi, gli stessi della bandiera curda». La prima destinazione temporanea è la Casa del pellegrino che sorge accanto al santuario di San Cosimo e Damiano, due chilometri da Riace, il luogo dove ogni fine settembre si riuniscono i rom di Calabria e Sicilia. Una festa che da decenni lega i Rom agli abitanti di Riace, che in quei giorni aprono le loro case agli zingari e, in nome di un comune destino segnato dall’emigrazione, ci si scambia i prodotti delle due diverse culture: i rom l’artigianato in ferro, la gente di Riace l’olio, i pomodori, le conserve.
Mimmo Lucano passa l’estate del 1998 facendo la spola tra casa sua e il santuario. Diventa così amico dei migranti che da allora lo chiamano "Mimmo il curdo". così immerso nella loro cultura che dopo qualche settimana riesce a distinguere dall’odore un curdo irakeno da uno del kurdistan. «In loro riconosco l’antropologia di noi calabresi:dal mare arrivano i miei antenati, i fondatori della Magna Grecia, dal mare arrivano i bronzi e dal mare arrivano i migranti. Mio fratello è emigrato in America, un altro a Santena, nella cintura di Torino, dove ci sono più riacesi che a Riace. Noi e i migranti siamo la stessa identica cosa. Cacciarli sarebbe un gesto inutilmente crudele, un po’ come cacciare noi stessi». Il mare, insomma, come portatore di ricchezza.
Asad, un giornalista iraniano che parla spagnolo diventa amico di Mimmo. Una sera, tra un bicchiere e l’altro, gli dice: «Riace non ha avuto guerre ma è come se la guerra ci fosse stata. Qui è un deserto come il Kurdistan». Per Mimmo è come una scudisciata. A Riace le case sono vuote, i bar non esistono, le scuole sono chiuse e per comprare il pane si deve scendere fino a Riace Marina. E se i curdi, gli etiopi, gli eritrei, gli afgani e i serbi lo ripopolassero? Se si trasformassero in artigiani, commercianti, albergatori e rianimassero un’economia morta e sepolta? una pensata degna di Muhammad Yunus, il banchiere dei poveri che nel Bangladesh ha inventato il microcredito. Mimmo, che nel 1998 è un semplice consigliere comunale, nel 2004 si candida alle elezioni comunali a capo di una lista civica e un programma scarno scarno: trasformiamo i rifugiati politici e i migranti in cittadini di Riace. Stravince, e il giorno dopo corre a Napolie a Roma dove vivono i discendenti dei latifondisti di Riace, e gli chiede di cedere i loro palazzi nobiliari abbandonati e le vecchie cantine ormai conquistate dai topi a prezzi politici. I Pinnarò, una delle dinastie più altolocate del paese, offrono al Comune i loro beni al prezzo simbolico di un euro al mese. La Banca etica di Padova finanzia la ristrutturazione con 51mila euro e il Viminale iscrive Riace nel programma Sprar, Sistema protezione rifugiati richiedenti asilo, 20 euro al giorno a testa che arrivano nelle casse esangui del comune di Riace (i malfamati centri di identificazione espulsione, dove gli immigrati rimangono anche sei mesi, costano ai contribuenti 120 euro al giorno per ogni immigrato). Nel 2008 per i suoi 75 immigrati Riace ha ottenuto 120mila euro dal Viminale. Piccole cifre con le quali Mimmo il curdo risolleva l’economia di questo piccolo borgo ionico e trasforma le vecchie cantine abbandonate in laboratori con il cotto a terra e le volte con i mattoni rossi a vista.
Elen, una ventiseienne eritrea, tesse sciarpe coloratissime con la sua bimba accanto che dorme nel passeggino. Poco più avanti, nel laboratorio di ceramica, Issa, un quarantenne afgano ci accoglie offrendoci un grappolo d’uva. Issa modella lampade e soprammobili in esposizione a quattro euro l’uno. Altri dieci passi e si entra in una bottega dove una ragazza serba, Zumleta, fa l’uncinetto con le donne del paese, ancora qualche passo è al limite del paese c’èla riacese Irene che insegna a Shugri, una somala di 23 anni, a soffiare il vetro. Irene ha imparato il mestiere da Dimitri, un ragazzo bulgaro che ha regalato al sindaco tutti gli attrezzi necessari per trasformare il vetro.
Sapienza, manualità, passione, volti di giovani donne con le facce serene dei mille colori del mondo che s’incrociano nelle viuzze di questo minuscolo paese riasfaltate con la pietra dell’Aspromonte.
Riaprono le scuole, i bar, i ristoranti. I riacesi riparati a Torino rientrano in Calabria per lavorare con gli immigrati. Alla scuola elementare ci sono 17 bambini immigrati e nove indigeni. Se non fosse per gli occhi tristi di molti bambini stranieri che hanno perso i genitori, Riace sarebbe il paese più bello d’Italia. L’accoglienza dolce, come la chiama Mimmo il curdo, funziona così bene che il prefetto Mario Morcone che coordina il programma Sprar decide di allargare l’esperimento ai comuni confinanti di Stignano e Caulonia, altri 180 immigrati che hanno rinsanguato paesi fantasma. Mimmo è scatenato: trasforma i palazzi nobiliari in un albergo diffuso con un centinaio di posti letto e organizza la raccolta differenziata con due asinelli che agli ordini di una coppia di immigrati somali ed eritrei bussano ogni mattina alle porte dei riacesi per raccogliere carta, plastica e vetro: «Duemila euro per la coppia di asinelli invece che migliaia di euro per assicurazione, benzina e manutenzione di veicoli inquinanti», dice entusiasta Mimmo.
Non è un processo indolore, la Calabria è sempre quel paradiso popolato da diavoli di cui parlava Benedetto Croce: e da queste parti i diavoli rispondono al nome della famiglia ’ndranghetista Ruga Metastasio, il clan di Camini che non ama i melting pot newyorkesi. Due anni fa hanno avvelenato i cani di Mimmo e il 16 marzo del 2009 hanno sparato una raffica di lupara alla porta della Taverna Donna Rosa. Una guerra strisciante, quotidiana che ha avuto il suo epilogo il 27 settembre,l’ultima notte di festeggiamenti dei rom nel santuario di San Cosimo e Damiano. Un’altra scarica di lupara che ha ucciso sul colpo Bruno Vallelonga, esponente di una cosca rivale.
Mimmo tira dritto e replica agli atti intimidatori cambiando i nomi delle vie di Riace. Ora un esponente dei Ruga Metastasio abita in una stradina intitolata al sindacalista siciliano Placido Rizzotto: «Il nome di Rizzotto questo signore lo deve tenere stampato sulla carta d’identità!».
Piccole soddisfazioni di un sindaco combattente che in settembre ha stretto la mano a Wim Wenders, il regista tedesco sceso in Calabria per girare un cortometraggio in 3D sceneggiato da Eugenio Melloni e coprodotto dalla regione Calabria. Il corto si chiama Il volo, una storia ambientata a Badolato, un grappolo di case appiccicate sul cocuzzolo di una montagna a una dozzina di chilometri da Riace, e racconta di un bambino calabrese che a causa dello spopolamento del suo paese non trova più dei compagni con cui giocare a calcio. Almeno fino a quando non arrivano un gruppo di migranti con i loro figli che ripopolano le case, le scuole e i campetti di Badolato. Il bambino protagonista del cortometraggio è il piccolo Ramadullah, ormai riacese purosangue, che durante le riprese prende Wenders per mano e gli dice in inglese: «Tu non sei un uomo se non vieni a Riace». Il regista tedesco non conosceva la storia di Mimmo il curdo, del suo progetto di microeconomia locale, degli immigrati afgani e africani che parlano in dialetto calabrese. Appena mette piede a Riace, Wenders cambia sceneggiatura e rivoluziona il casting: si scusa con le comparse reclutate in defatiganti sedute a Cosenza e Reggio e ingaggia come attori gli immigrati di Riace. L’ultima scena del
Volo ha come sfondo il cuore del paese di Mimmo Lucano: tutte le donne con i neonati attaccati al collo, i bambini, gli uomini di ogni razza e nazionalità sparsi a raggiera intorno alla piazza che corrono verso lo stesso punto riunendosi in un caleidoscopio di facce, di colori, di sorrisi. Un atterraggio perfetto del lungo volo di Mimmo il curdo e Ramadullah l’afgano, i due simboli di una rinascita possibile che sotto lo sguardo commosso di Wenders contemplano il cielo sopra Riace.
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ANNALISA CAMILLI, INTERNAZIONALE 2/10/2018 –
Conosciuto in tutto il mondo per il modello di accoglienza dei richiedenti asilo realizzato a Riace, il piccolo paese della Calabria di cui è sindaco, Domenico Lucano (detto Mimmo) è stato arrestato il 2 ottobre nell’ambito di un’inchiesta avviata dalla procura di Locri diciotto mesi fa. La misura cautelare degli arresti domiciliari, eseguita all’alba dalla guardia di finanza, è stata disposta dal giudice per le indagini preliminari Domenico Di Croce, che ha accolto la richiesta della procura. L’accusa è di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e affidamento fraudolento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti a due cooperative della zona. Per la compagna di Lucano, Tesfahun Lemlem, (indagata per concorso nel reato di immigrazione clandestina) è stato disposto invece il divieto di dimora.
L’indagine contro Lucano e altre 31 persone per presunte irregolarità nella gestione del sistema di accoglienza a Riace era cominciata un anno e mezzo fa e nell’ottobre del 2017 al sindaco calabrese era stato recapitato un avviso di garanzia per truffa aggravata, concussione e abuso d’ufficio. “Sono sconcertato e senza parole, ma per certi versi mi viene quasi da ridere perché non ho nessun bene nascosto. Non possiedo niente e non ho conti segreti. Allora ben vengano i controlli su di me e che siano il più approfonditi possibili”, aveva commentato allora Lucano. Da quel momento il sistema Riace era stato passato al setaccio dagli inquirenti, ma tutte le accuse più gravi a carico di Lucano (una ventina tra cui associazione a delinquere, truffa, concussione, malversazione etc.) sono decadute. Infatti, nella stessa nota diffusa dalla procura, il giudice Di Croce ha escluso che si sia verificata “alcuna delle ipotesi delittuose ipotizzate”. Ma due accuse dei pm rimangono in piedi.
Secondo la nota diffusa dalla procura il 2 ottobre, Lucano avrebbe organizzato un matrimonio “di comodo” tra un’immigrata nigeriana e un cittadino italiano. Alla base di questa accusa c’è un’intercettazione telefonica in cui Lucano parla della possibilità che una donna, a cui è stato negato l’asilo tre volte, sia regolarizzata attraverso il matrimonio con un abitante di Riace. Nella conversazione registrata però non emerge se il matrimonio sia stato in effetti celebrato, né se siano stati riscontrati casi simili. L’altra accusa è l’affidamento diretto di appalti per la raccolta porta a porta e il trasporto dei rifiuti alle cooperative Eco-Riace e L’Arcobaleno dall’ottobre 2012 fino all’aprile 2016, senza che fosse indetta una gara d’appalto e senza che le due cooperative fossero iscritte nell’albo regionale come previsto.
Dall’ordinanza di applicazione della misura cautelare firmata dal gip di Locri, emergono ulteriori elementi. In primo luogo le critiche del gip per niente velate all’impianto accusatorio costruito dalla procura che viene più volte descritto come “laconico”, “congetturale”, “sfornito dei requisiti di chiarezza, univocità e concordanza”. Le uniche accuse che rimangono in piedi e che giustificano l’arresto sono il capo d’imputazione provvisoria T (violazione dell’articolo 353 bis del codice penale, turbata libertà degli incanti) per non aver messo a bando gli appalti della raccolta dei rifiuti porta a porta; e l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Nell’ordinanza del gip emergono altri due episodi oltre a quello citato dalla nota della procura che sostengono l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sempre attraverso dei matrimoni “di comodo”: uno riguarda il fratello della compagna di Lucano (matrimonio che non è poi avvenuto) e l’altro una ragazza del Ghana con un abitante di Riace.
Chi è Mimmo Lucano e cos’è il modello Riace. Fino a vent’anni fa il paesino calabrese di Riace rischiava di essere abbandonato, molte case erano diroccate e la scuola rischiava di chiudere a causa dell’emigrazione dei giovani verso il nord e il conseguente spopolamento delle aree interne italiane, ma – scrive la Bbc – “il suo destino è completamente cambiato” grazie all’idea di accogliere un certo numero di immigrati che sono stati integrati nella comunità locale. L’idea venne a Domenico Lucano, che allora non era sindaco. Lucano era stato a sua volta emigrante e aveva da sempre militato nell’estrema sinistra locale. “Tutto è cominciato con una botta di vento”, racconta Tiziana Barillà, giornalista, che a Riace ha dedicato un libro Mimì Capatosta. Mimmo Lucano e il modello Riace (Fandango, 2017).
La prima accoglienza di un gruppo di profughi, infatti, è avvenuta a Riace nel luglio del 1998, quando un veliero partito dalla Turchia con a bordo 66 uomini, 46 donne e 72 bambini è approdato a cinquecento metri dalle coste di Riace Marina. I profughi venivano dall’Iraq, dalla Turchia e dalla Siria. Erano tutti curdi in fuga dalle persecuzioni politiche. “È allora che abbiamo cominciato a sognare. Mentre vedevamo Riace Marina affollata durante la stagione estiva e Riace Superiore, la parte alta del comune, addormentata, svuotata dei suoi abitanti partiti a lavorare al nord. E se questi profughi ci aiutassero a svegliarla? Se grazie a loro le vie potessero tornare alla vita? Se si potesse ancora sentire la gente parlare e i ragazzi ridere?”, domandava Lucano nel libro. I profughi sono stati tutti ospitati in una struttura della curia a Riace Superiore e l’anno dopo Lucano ha fondato l’associazione Città Futura, ispirata al filosofo Tommaso Campanella e dedicata all’accoglienza.
“Anche Lucano era un emigrante, anzi un immigrato di rientro. In quel paese in piena agonia, prima come semplice attivista e cittadino, poi come sindaco dal 2004, ha visto nei profughi degli alleati per riaprire degli spazi di vivibilità e di accoglienza per tutti. Il modello Riace è un modello di convivenza universale, i benefici sono per tutti, non solo per i riacesi, non solo per i migranti, ma per tutti. Riace è amministrato come un bene comune”, spiega Barillà.
Nel 2001, insieme a Trieste, Riace è stato uno dei primi comuni a partecipare ai progetti per l’accoglienza diffusa, il sistema che in seguito sarebbe diventato il servizio Sprar (Sistema di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati). Del cosiddetto modello Riace si è parlato più all’estero che in Italia: Domenico Lucano, il suo ideatore, è stato messo nella lista delle cinquanta persone più influenti del mondo dalla rivista Fortune nel 2016, e al suo esperimento sono stati dedicati articoli e documentari da parte dei mezzi d’informazione di tutto il mondo. Il modello Riace prevede che ai richiedenti asilo siano concesse in comodato d’uso le case abbandonate e recuperate del vecchio abitato e che i soldi dei progetti di accoglienza erogati al comune dal governo siano usati per borse lavoro e per attività commerciali gestite dagli stessi richiedenti asilo insieme ai locali.
“Lucano ha un’impostazione libertaria, da studente ha militato in Democrazia proletaria, appartenenza che rivendica visto che condivide quest’affiliazione con Peppino Impastato”, racconta Barillà. “La sua adesione al progetto di accoglienza dei migranti è profondamente politica. A Riace il territorio è gestito come un bene comune e c’è di fatto un superamento della proprietà privata”. Per la giornalista, in contatto con il sindaco calabrese, la preoccupazione più grande di Lucano negli ultimi mesi è che fosse colpito “il progetto di una vita”.
Per questo ad agosto del 2018, Lucano aveva cominciato uno sciopero della fame, dopo il taglio dei finanziamenti ai progetti di accoglienza da parte del ministero dell’interno. Lucano aveva scritto su Facebook: “Riace è stata esclusa dal saldo luglio-dicembre 2017 (circa 650mila euro) e per il 2018 non è compresa tra gli enti beneficiari del finanziamento del primo semestre, nonostante tutte le attività siano state svolte e nessuna comunicazione è pervenuta della chiusura del progetto. È stato quindi accumulato un ingente debito con il personale, con i fornitori e con gli stessi rifugiati”.
Per Tiziana Barillà, con Mimmo Lucano viene colpito “un simbolo di accoglienza”. Non si può fare a meno di notare che, mentre il decreto Salvini in discussione nelle ultime settimane prevede un ridimensionamento del sistema degli Sprar, allo stesso tempo si colpisce chi rappresenta in maniera esemplare questo sistema: “Riace è stato all’avanguardia del sistema di accoglienza italiano, perché prima del 2001 in Italia non ce n’era nessuno”.