Corriere della Sera, 4 aprile 2019
I soldi del Brunei
Boicottare Hassanal Bolkiah, il sultano del Brunei, reo di aver decretato la pena di morte per gli omosessuali e gli adulteri, scatenando la rivolta delle star, non è così facile come sembra. La strategia espansiva del sovrano del piccolo Stato del Borneo, che in 5.765 chilometri quadrati può contare su nove banche commerciali, si avvale di un «braccio armato»: il fondo d’investimenti Brunei Investment Agency (Bia).
Che finora si è mosso in due direzioni: da una parte ha assecondato l’innata inclinazione di Hassanal Bolkiah e della sua famiglia per il lusso, in tutte le sue declinazioni, che si espressa nell’acquisto dei più begli alberghi del mondo. Dall’altra si è incanalata in tutta una serie di investimenti che difficilmente George Clooney, il più famoso dei detrattori, potrà rintracciare (e denunciare), visto che anche i maggiori siti d’informazione economica specializzata, da Bloomberg a Reuters, ne sottolineano l’assoluta riservatezza.
Ma andiamo per ordine. Il fondo Bia prima di tutto ha il controllo e la gestione delle ampie riserve di petrolio dello Stato e delle relative holding fuori dal Paese, oltre che di tutti i ricavi che non sono mai stati quantificati ufficialmente. In seconda battuta la Brunei Investment Agency si è lanciata nel business degli alberghi, rilevando la catena londinese dei Dorchester Hotel, che include il Dorchester e il 45 Park Lane a Londra, il Coworth Park nel Berkshire, il Plaza Athénée e l’Hotel Meurice a Parigi, il Beverly Hills Hotel e il Bel Air negli Stati Uniti. Quanto all’Italia, lo shopping ha riguardato il Principe di Savoia a Milano e successivamente l’Eden a Roma. Ma ci sono anche i ristoranti: il tre stelle Michelin di Alain Ducasse, comprato nel 1987, che si trova nell’hotel Plaza Athénée di Parigi. E il Cut di Wolfgang Puck, situato al 45 Park Lane di Londra. In questa città ha fatto compere anche il fratello del sultano, il principe Jefri, che è stato proprietario in Bond Street della gioielleria Asprey, nota per servire anche la Casa reale.
Fin qui tutto quello che luccica: per il resto gli affari del fondo sembrano meno mirati a soddisfare le voglie del sultano e più centrati sulla redditività. A metà strada si situa la passione della famiglia per gli aerei. Come è noto il sultanato è dotato di una propria compagnia aerea, la Royal Brunei Airlines, ma il sultano, che è anche un provetto pilota, possiede per il proprio uso privato un Boeing 747-400 con parti placcate in oro, del valore di circa 233 milioni di dollari più altri sei aerei più piccoli e due elicotteri. Sarà per assecondare questa inclinazione che nel 2015 il fondo sovrano del Brunei, insieme con quello dell’Oman, hanno creato una società che fornisce aerei in leasing alle compagnie.
Jumbo Jet
Il sovrano del Brunei, lui stesso un pilota, possiede per il proprio uso privato un Boeing 747-400 con molte parti placcate in oro zecchino
Del resto l’attenzione del fondo Bia è molto alta sul Medio Oriente: si registrano investimenti diretti in società del Bahrain (Arcapita), Kuwait (Global Investment House) e degli Emirati Arabi (Fajr Capital). Il sultano ha poi siglato numerose joint venture, come quella che in Pakistan ha fatto nascere nel 2007 la Pak Brunei Investment Company. Infine c’è la Bahagia Investment Corporation, società di investimenti immobiliari che il fondo ha basato in Malaysia. Fa capo al sultano del Brunei anche una seconda società: la Nudhar Corporation che ha rilevato il 19% della Patersons Securities che in Australia offre servizi finanziari.
Più di recente, nel 2018, il fondo Bia ha sborsato ben 20 milioni di sterline nella società inglese, quotata in Borsa, Draper Esprit, specializzata in investimenti in start up tecnologiche.
Fin qui si tratta di operazioni difficilmente rintracciabili per un boicottatore del sultano del Brunei. Un caso a parte è costituito dal 20% che il fondo Bia ha acquisito nel 2012 in una società con base a Istanbul, la Yıldız Holding, una delle più grandi aziende del settore «food» che opera nell’Europa Centrale e Orientale, oltre che in Medio Oriente e in Africa. E se il nome di questa azienda non dice niente a nessuno, forse sono più conosciuti alcuni dei suoi marchi. Come Godiva, i cioccolatini belgi che sono passati in mani turche e i biscotti americani McVities.