il Fatto Quotidiano, 3 aprile 2019
Le spese pazze di Tiffany Trump
Che Tiffany Trump, figlia di Donald e di Marla Maples, spenda, anzi faccia spendere ai contribuenti americani, 23 mila dollari per le sue vacanze di primavera ci può stare. Dieci giorni dal 7 al 16 marzo, i voli transatlantici, gli spostamenti, gli hotel, pranzi e cene più l’apparato di sicurezza del Secret Service che le si muove intorno e non la molla mai. La cosa stupefacente è che Tiffany abbia fatto la sua vacanza a Belgrado spendendo quattro volte quanto un cittadino serbo guadagna in media in un anno, un po’ meno di 6.000 dollari. La ragazza è recidiva: nel 2017, una sua vacanza europea, allora a Berlino, era costata 22 mila dollari ai contribuenti americani. Peggio di lei, fanno però i fratelli Donald jr ed Eric che, per affari di famiglia, se ne sono già andati, da quando papà è alla Casa Bianca, a Dubai e a Santo Domingo, in Canada e in Uruguay, godendo di costante protezione, costo stimato: centomila dollari circa. E i media si chiedono se sia giusto che i cittadini paghino per i viaggi d’affari dei rampolli del presidente e per le vacanze di Tiffany. Ivanka la ‘prima figlia’, e il marito Jared Kushner hanno, invece, incarichi nell’Amministrazione: così, i loro sono viaggi ufficiali. S’ignora cosa Tiffany abbia fatto a Belgrado tutto quel tempo.
I media locali l’hanno colta a fare shopping. E lei ha postato sul suo Instagram una foto con la scritta ‘Saluti dalla Serbia’, in serbo. Se la “modella bionda” desta imbarazzo a Washington, a Chicago due donne nere stanno “facendo la storia”: comunque vada il voto di ieri, la ‘città del vento’ avrà per la prima volta un sindaco donna e nera. Per succedere a Rahm Emanuel, ex braccio destro di Barack Obama alla Casa Bianca, al ballottaggio si scontrano due democratiche: l’ex procuratrice distrettuale Lori Lightfoot, 56 anni, e la consigliera comunale Toni Preckwinkle, 72 anni. La città dell’Illinois sarà la più grande negli Usa a eleggere sindaco una donna di colore. Chicago ha ottimi precedenti in questo senso: nel 2008 ‘produsse’ il primo presidente afro-americano, Obama; nel 1992, mandò al Senato la prima donna nera, Carol Moseley Braun; e, nel 1983, ebbe il suo primo sindaco nero, Harold Washington. La ‘grana Tiffany’ non allarma la Casa Bianca, che invece si gode la ‘grana Biden’: un’altra donna, dieci anni dopo, s’è ricordata che l’ex vice-presidente, attuale battistrada nella corsa alla nomination democratica a Usa 2020, ebbe con lei un comportamento inappropriato. Fu nel 2009, a una raccolta di fondi a Greenwich, nel Connecticut: Amy Lappos, oggi 43 anni, allora volontaria democratica, racconta che Biden “mi afferrò dalla testa, mi mise la mano intorno al collo e mi tirò per strofinarsi il naso con me. Quando mi tirò a sé, pensai che mi baciasse sulla bocca”. Poi Amy aggiunge: “Non era una cosa sessuale”. Pressata dai giornalisti, la donna dice: “Non ho mai fatto denuncia perché lui era il vice-presidente e io nessuno. Ma c’è una linea di decenza, una linea di rispetto. Superarla è sessismo o misoginia”.