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 2019  aprile 03 Mercoledì calendario

Intervista a Carlo Ginzburg

È nato a Torino ottant’anni fa, lo storico Carlo Ginzburg, tuttavia scoprendosi nelle stagioni cittadino del mondo. Da bambino abitò in via Pallamaglio, ora via Morgari, dove andarono a vivere, una volta sposati, Leone, il padre, l’architrave di casa Einaudi, l’eco del gobettiano editore ideale, morto a Regina Coeli nel ’44, braccio tedesco, e Natalia, la signora del Lessico famigliare. Nondimanco (Adelphi, pp. 242, € 18) è la nuova investigazione di Carlo Ginzburg, già docente negli Stati Uniti, alla Normale di Pisa e a Bologna. Sotto la lente, «Machiavelli, Pascal». La virgola che li congiunge e li disgiunge. Una riflessione sul rapporto tra la norma e l’eccezione. Là dove la deroga, secondo il solitario di Port-Royal, è paragonabile al miracolo, unicamente nella disponibilità di Dio. Mentre il Segretario fiorentino opera il passaggio dalla teologia alla politica attraverso il Principe: legibus solutus, infine sciolto dalle leggi, sovrano nel decidere secondo le circostanze. «Sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione» come asserirà Carl Schmitt, il giurista di Hitler, in Teologia politica.
Pascal, un suo «pensiero» («Gli Stati perirebbero se non si facessero piegare spesso le leggi alle necessità...perciò occorrono questi adattamenti oppure dei miracoli») è una fonte non dichiarata (da lei identificata) di Schmitt, il teorico della «dittatura sovrana», che paragona lo stato d’eccezione ai miracoli.
«Una cosa sono le fonti, una cosa le loro elaborazioni. Pascal non è sicuramente responsabile del modo in cui Schmitt ha rielaborato il suo pensiero».
Il suo libro scaturisce da un corso sulPrincipetenuto in America nel 2002, l’anno dopo l’attacco alle Twin Towers. Perché?
«Un testo esemplare, Il principe, per riflettere su un percorso tutt’altro che concluso, la secolarizzazione. Le Twin Towers furono una risposta alla modernizzazione o modernità. Un attacco contro l’Occidente, ma non solo. Anche un messaggio all’islam non fondamentalista».
Quale secolarizzazione?
«Ecco. Bisogna spiegare. Sono stato di recente in India. Dove la secolarizzazione è diversamente intesa: come apertura a tutte le religioni, quindi non contrapponendosi a esse, né proclamandone il superamento, l’esaurimento».
Il superamento, l’esaurimento, machiavellicamente...
«Il religiosissimo Machiavelli, scriveva a metà del ’600 un suo lettore (se ne parla in Nondimanco). A chi vuole riformare una città o uno Stato, Machiavelli suggeriva di “ritenere l’ombra almanco de’modi antichi, acciò che ’a popoli non paia d’avere mutato ordine...”. Su questa strada, il suo lettore proponeva di svuotare la religione mantenendone l’aspetto esterno: le immagini, il lessico. Verso la religione civile».
Il paragone di Pascal tra eccezione politica e miracolo. Non ritiene che, in forza della desacralizzazione, il miracolo ora coincida con la realtà virtuale? Ossia: tutto è possibile?
«Il miracolo è (per chi crede: per esempio Pascal) una violazione delle leggi naturali; ma c’è, esiste. Mentre la realtà virtuale, per definizione, non è reale, anche se può agire sulla realtà». 
Lei pone a confronto Tomasi di Lampedusa («Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi») e Machiavelli («Se vogliamo che tutto cambi, bisogna che qualcosa rimanga com’è»). Nel nostro Paese - secondo dopoguerra - la bilancia pende verso la conservazione o la rivoluzione?
«Di sicuro non sono figure gattopardesche né Togliatti né De Gasperi. Entrambi, da posizioni diverse, anzi opposte, introdussero cambiamenti profondi nella realtà italiana: dal partito nuovo alla riforma agraria». 
Non viviamo in un’Italia ideale. Quali le responsabilità degli intellettuali?
«Non si può restringere l’analisi al nostro Paese. Va estesa all’intera Europa. Perché dilaga il cosiddetto populismo - un termine che personalmente mi rifiuto di usare, per rispetto al populismo russo? Gli intellettuali non sono stati capaci di capire (e di usare) le nuove tecniche di comunicazione, che hanno contribuito in maniera decisiva allo sfacelo del sistema dei partiti».
Centovent’anni fa nasceva a Odessa suo padre. Come agisce in lei?
«In tanti modi, compresa la passione per la filologia».
Suo padre, un politico anomalo, se raccomanderà di «liberarsi dalla politica attraverso la politica». La politica, nondimanco...
«Nel saggio La tradizione del Risorgimento, per esempio, offre una lettura non convenzionale di Mazzini, rilevandone la “singolare attitudine ad isolare e mettere a fuoco, di volta in volta, il problema più importante e più urgente, e per la soluzione di quello stabilire momentanee alleanze che lo avviassero a soluzione”. Mostrando una flessibilità che ha l’impronta di nondimanco».
La Torino di Ginzburg. La Torino di Gobetti, che fu salutato come il «cherubo giansenista» (a proposito di Pascal).
«Un giansenismo, il suo, tanto più tragico in quanto non contempla il miracolo».
Torino, la sua città natale. Quali i «maggiori» che in particolare ricorda?
«Norberto Bobbio, indelebile il suo profilo di mio padre: “La mia vita non è altro che tre o quattro scintille: una di queste è stata accesa da Leone”. E Franco Venturi, lo storico del Settecento riformatore. Ero giovane, mi invitò a tradurre un testo di Bloch, I caratteri originali della storia rurale francese, poi edito da Einaudi. Ricordo la straordinaria energia fisica e intellettuale con cui mi illustrò la ricerca alla quale stava lavorando: un saggio su Sapere aude, il kantiano motto dell’Illuminismo, che uscì sulla Rivista storica italiana. Sulla sua origine si esercitò nel numero successivo Luigi Firpo, risalendo a san Paolo, Lettera ai Romani, “Noli autem sapere, sed time”, non insuperbirti, ma temi. Sulla deformazione di questo passo nella tradizione successiva (inteso come “non conoscere ciò che sta in alto”) intervenni anch’io, parecchi anni dopo».
Norberto Bobbio evidenziò, di Leone Ginzburg, il «”non timore e tremore” di fronte al Dio ascoso». Non è forse la bussola di Carlo Ginzburg, della sua «officina», della sua ricerca, via via smascherando il potere, valicando questo e quel segreto, tra arcana Dei, arcana naturae, arcana imperii?