la Repubblica, 3 aprile 2019
Cina, viaggio troppo caro in aereo per le arance italiane
Eccoli i frutti del nostro negoziato con Pechino. Bellissimi, con quelle sfumature rossastre. Sanissimi, un concentrato di vitamine. Sono arrivati davvero fin qui, all’altro capo della Via della seta: il primo carico di arance siciliane a raggiungere la Cina, varietà Tarocco e Moro, è in bella mostra all’Ambasciata italiana di Pechino e, quel che più conta, sugli scaffali dei supermercati hi- tech di Hema, gruppo Alibaba. Una bella notizia, che il vice premier Luigi Di Maio ha anticipato qualche giorno fa durante la visita a Roma di Xi Jinping: «Una di quelle piccole grandi rivoluzioni di cui l’Italia ha bisogno – scriveva su Facebook – per la prima volta arrivano a Pechino arance trasportate via aereo». Peccato che questo primo carico in Cina ci sia approdato via nave, canale di esportazione aperto già nel 2016. E che a sentire chi le produce, questo famosa via aerea sbloccata da Di Maio & Co. durante l’incontro con Xi difficilmente verrà mai battuta. «Costa quanto il valore della merce», che raddoppierebbe, spiega Salvo Laudani, direttore marketing di Oranfrizer, l’azienda catanese, 2200 ettari e 21mila tonnellate di produzione l’anno, pioniere dell’export a Oriente. Da mesi la società si prepara al salto, sottoponendosi ai controlli fitosanitari richiesti dalle autorità cinesi. Le arance sono partite da Catania il 31 gennaio, hanno fatto scalo a Gioia Tauro il 5 febbraio e sono sbarcate a Ningbo, a Sud di Shanghai, il 18 marzo. Condizioni perfette nonostante il lungo viaggio. «Crediamo sia possibile accorciare il tragitto in nave», dice Laudani. Insomma, se come scrive Di Maio «gli imprenditori siciliani chiedevano da anni l’aereo», non è con Oranfrizer che ha parlato. E il fatto che il primo cargo sia arrivato ora, mentre si chiudeva con la Cina l’accordo per l’export via cielo, sembra solo una coincidenza perfetta per la propaganda. Del resto, era da novembre che Di Maio pubblicizzava sui social l’accordo. Resta l’aspetto positivo, dimostrato dall’interesse di Alibaba: in Cina sembra esserci un mercato per le nostre arance di qualità. Nonostante il Dragone sia il terzo produttore mondiale, ne importa circa 1 milione di tonnellate l’anno. Laudani non mette limiti alla provvidenza e non esclude l’ipotesi aereo, ma fa anche capire che reggere i costi sarà difficile. Già così nei supermercati un cofanetto con quattro frutti viene venduto a 4 euro, con la trasvolata se ne aggiungerebbero tra i 2 e i 2,5 al chilo. Le tasche della nuova salutista borghesia cinese sono profonde, ma pare difficile potersi spingere a tanto. Di Maio permettendo, le arance via aereo non sono una rivoluzione per le nostre esportazioni. Né il segno di un trattamento di favore da parte di Pechino, quello a cui aspiriamo come partner della Via della seta di Xi. Se il favore c’è oppure no lo si vedrà semmai con i prossimi prodotti a cui il governo sta cercando di aprire la strada in Cina: pere e riso da risotto.