Corriere della Sera, 3 aprile 2019
Renzo Piano: «Il mio tribunale senza gabbie»
«Cher Renzo, chi va piano va sano», dice in italiano il primo ministro francese Edouard Philippe all’architetto che ha progettato il nuovo palazzo di giustizia di Parigi. È un omaggio all’Italia, una battuta riferita alla pazienza che ci vuole per la linea 14 del metrò che ancora qui non è arrivata, e soprattutto un riconoscimento a Renzo Piano che accompagna il premier in una visita guidata al «tribunale della luce». Più o meno un anno dopo l’apertura delle prime sale, lunedì si è tenuta finalmente l’inaugurazione ufficiale di un’opera gigantesca – 160 metri di altezza, 104 mila metri quadrati, 38 piani, 90 sale di udienza per circa 9.000 persone al giorno – che ha la paradossale ambizione di essere leggera e aerea. «Abbiamo cercato di rompere con la tradizione che vuole i palazzi di giustizia come luoghi imponenti, pesanti, cupi – dice l’architetto genovese —. Molte delle persone che vengono qui sono turbate, angosciate, in tensione. La giustizia è una cosa seria. Proprio per questo non c’è bisogno di calcare la mano sulla gravità e sulle gabbie».
Appena entrati ecco la vasta «sala dei passi perduti», una specie di agorà aperta al pubblico piena di luce e di colori chiari. Il bianco dei pilastri, delle lampade e degli altoparlanti che calano dal soffitto, il legno chiaro alle pareti, di nuovo il bianco delle panchine. «Ce n’è voluta per fare accettare tutto questo bianco – dice Piano –. Da un lato c’era la paura che tutto si rovinasse in fretta, dall’altro molti erano legati alla solennità dei vecchi locali all’Ile de la Cité».
Il Beaubourg all’inizio venne accolto da non poche critiche, oggi è un classico e uno dei luoghi più amati di Parigi. Quell’idea delle scale mobili non nascoste ma anzi esibite torna anche qui, nell’atrio principale, «il movimento delle persone è una quarta dimensione dello spazio – dice l’architetto —, il pubblico, gli avvocati e i magistrati fanno parte dell’opera».
Lo spostamento del tribunale di Parigi dal cuore della città al quartiere di Batignolles, all’estremità del XVII arrondissement e a pochi metri del péripherique (la tangenziale) che segna il limite non solo psicologico di Parigi, è stato accompagnato da mille resistenze e proteste. «Ma è l’unico modo per abbattere la separazione tra centro città e banlieue, le periferie non possono più essere dormitori, la città si allarga, abbraccia e vivifica quartieri che devono entrare a fare parte della vita di tutti. È una questione civica». Il premier Philippe approva. «Diciamo la verità, traslocare non è mai piacevole. Soprattutto quando uno porta con sé sette secoli di processi. Mi hanno parlato di 140 mila scatoloni… Ma la capitale dispone adesso di un nuovo punto di riferimento».
L’Europa
La Francia affida a noi il nuovo Palazzo di Giustizia di Parigi, forse l’Europa esiste davvero
Durante la visita alcuni magistrati avvicinano Renzo Piano per ringraziarlo. Esordiscono in genere con «io ero contrario, avrei preferito restare nelle stanzette dell’Ile de la Cité, almeno ero in centro». Le abitudini e il privilegio di lavorare nel cuore della vecchia Parigi non si dimenticano facilmente. «Ma qui è più facile organizzare le riunioni, e gli spazi sono più adatti ad accogliere il pubblico».
Le sale per le udienze penali più importanti sono state pensate con tre accessi per magistrati e avvocati, media e imputati, «in modo che questi ultimi non siano visti e fotografati in manette», dice Renzo Piano. Molte sale della sezione civile hanno tavoli a losanga, dove tutti si siedono allo stesso livello. «È una cosa importante per esempio nelle cause di divorzio, dove si tenta una conciliazione o almeno una mediazione».
Il premier francese Philippe con i ministri della Giustizia e della Cultura e la sindaca di Parigi Anne Hidalgo saluta l’abbandono dell’«architettura della paura», e lo stile sobrio, sereno, equilibrato degli arredi. Finita la cerimonia, l’architetto Renzo Piano non nasconde la soddisfazione. «La Francia affida a noi il nuovo palazzo di giustizia della capitale. Forse l’Europa esiste davvero».