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 2019  aprile 02 Martedì calendario

Rino Barillari: «Dalle donne ne ho prese tante. La più simpatica? La Lollo»

Rino Barillari, fotografo, è nato a Limbadi (Vibo Valentia).
Ha raccontato le lacrime e i sorrisi di un Paese, l’Italia della Dolce vita e degli anni di piombo, gli splendori e le miserie del jet set, gli orrori della nera e la grande bellezza, un po’ Sherlock Holmes e un po’ Arsenio Lupin, con l’occhio del cronista e lo sguardo dell’artista. E oggi dopo sessant’anni di carriera, la leggenda che lo accompagna e gli smartphone che gli rubano il mestiere, Rino Barillari, il fotoreporter più famoso del mondo, è ancora il ragazzino che non dorme mai per uno scatto, il segugio perennemente all’erta per un’esclusiva, una copertina, un’emozione. Sempre elegante, il baffo elettrico, la sigaretta all’angolo della bocca come Fred Buscaglione, la sua Roma l’ha appena celebrato con una mostra, accompagnata da un libro, Il re dei paparazzi, appunto, e un docufilm. «Il paparazzo, è un’invenzione, anzi, una constatazione felliniana, diventata una ricchezza nazionale esportata in tutto il mondo della comunicazione moderna – scrive Oliviero Toscani – Barillari quindi è una risorsa mondiale» con i suoi motti, («Dio ti vede, Barillari pure» o «privacy? Per me vuol dire provaci»), la battuta sempre pronta e i suoi inizi ragazzini a Fontana di Trevi a fare le foto da vendere ai turisti. Pensare che gli dicevano. «Ti metti a tre metri e scatti. Vedrai, è facile...».
Maestà, si può quantificare a spanne quante foto ha scattato?
«In sessant’anni di carriera? Hai voglia... Almeno tre milioni».
Quella che le ha dato più soddisfazioni?
«Il Papa che gioca a bocce con i vecchietti. Ormai è un cult».
E Gheddafi no?
«Mi fece fare una foto esclusiva mentre beveva un’aranciata. E un secondo dopo i servizi segreti italiani fecero sparire il bicchiere. Incredible».
Gorbaciov?
«Stava all’Hotel Excelsior, domandai excuse me... e lui: con me parla italiano per favore. Ci sono rimasto. L’ho preso mentre cantava una canzone dedicata alla moglie morta da poco. L’amava moltissimo».
Kennedy?
«Ah, bellissima foto. Era in via Condotti con Nureyev, appena scappato dalla Russia. Scandal».
L’hanno menata più le donne o gli uomini?
«Le donne sono più aggressive. Ava Gardner con un calcio mi mandò in ospedale, la moglie di Totò Riina mi tirò una secchiata di piscio dal balcone di casa sua».
Direi che è andata bene...
«Sì, però c’è anche chi mi ha detto grazie».
E chi?
«Rosanna Schiaffino. Quando ho paparazzato il marito Giorgio Falck in un locale con una top model e lui mi ha riempito di botte, lei si è incazzata. Si è scusata per lui e mi ha ringraziato per averlo beccato».
Del resto se uno passa le notti a smascherare tresche se lo deve aspettare. Come quella di Sonia Romanoff per esempio.
«Per prendere la cittadinanza italiana si era sposata un vecchietto dell’ospizio, ma faceva le ore piccole con un boyfriend. La sera che l’ho beccata mi ha spiaccicato un gelato sulla faccia davanti ai flash dei colleghi. Catastrophic. Ma mi ha fatto un favore».
E perché mai?
«È la foto più pubblicata al mondo della Dolce vita. E il protagonista stavolta sono io».
Chi era la più simpatica delle sue vittime?
«Gina Lollobrigida. Gentilissima. Poi Giovanna Ralli che era il mio idolo. Virna Lisi: la vedevi e ti incantava come bellezza. Più invecchiava e più era bella».
Pensavo avesse un debole per Anna Magnani...
«E ce l’ho ancora. Le porto sempre una rosa al cimitero di San Felice Circeo dove riposa. Le devo molto: quando agli inizi mi incrociava con la macchina fotografica faceva tutto lei perché sapeva che ero una ragazzino che non capiva niente. Mi regalava la posa che mi serviva: andava al mercato prendeva una mela, faceva finta di mangiarla. Fantastic».
Ma qualcuna di queste le ha fatto battere il cuore?
«Mita Medici. Ero innamorato di lei: ogni volta che scattavo erano frecce d’amore».
È vero che Sophia Loren le mandava champagne?
«Vero. Sophia è il nostro orgoglio. Quando vai all’estero tante volte ti umiliano perché sei italiano per colpa del governo o delle mafie. Ma se dici Sophia Loren tutti ti ammirano e ti rispettano. Sophia Loren e Laura Pausini. Io la Loren la farei senatrice, guarda te...».
E il più antipatico di tutti?
«Peter O’Toole mi spaccò la faccia, con Frank Sinatra finì in una rissa da saloon, Marlon Brando mi inseguì con una bottiglia rotta: mi salvò un autobus che presi al volo. Ma...»
Ma?
«Quello che ti sta sulle palle è il tuo migliore alleato, semmai è l’amico, e i riguardi che ti fai per lui, il tuo fallimento professionale. Quello che ti odia è il migliore: più si incazza meglio viene la foto».
E allora la Ferragni che le ha mandato i gorilla?
«Lassamo perde. Lei fa da sola, non si fa fotografare da Barillari. Ma io la foto gliel’ho fatta lo stesso».
«The King» però ha fan anche tra i divi...
«Le racconto questa: un giorno mi arriva una chiamata. Corri, hanno visto George Clooney entrare in un ristorante vicino al ministero di Grazie e Giustizia. Fuori c’era la guardia del corpo. Dico: c’è posto per mangiare? No, no, niente. Viene il proprietario che è un amico mio e gli dico: ma chi c’è? George Clooney? E lui, no Rino, ti prego, questo non viene più, vai via».
E lei invece?
«Mi siedo con mia moglie e ordiniamo. Clooney era con un gruppo di amici americani, cantavano ’O sole mio. Poi improvvisamente è uscito».
E cosa è successo?
«Quando mi ha visto ha sospirato: oh my God!... Si è inginocchiato e in italiano mi ha detto: tu sei la persona più in gamba che io conosca. E detto da uno che odia i paparazzi».
C’è una foto di cui si è pentito?
«Tutte le volte che mi è capitato di incrociare in questura uno che conoscevo. A volte facevo una foto mossa o sfuocata apposta. Potevo rovinargli la vita e non mi andava».
E lo scatto di Asia Argento con Hugo Clement? Dicono che il suo compagno Anthony Bourdain si sia impiccato per quello...
«Di prima botta mi sono sentito male perché pensavo si fosse ammazzato per colpa mia».
E non è così?
«Io racconto una realtà, non posso sapere come uno reagisce. Anche Asia ha detto che non è stato per le foto che il suo compagno si è ucciso. Non ci si ammazza per una foto».
Ma ce n’è una che ha spezzato il suo cuore?
«Più di una. Quando hai un ragazzo morto per droga e la mamma che parla con lui in macchina, ti sconvolge. Però è un’immagine che ti fa riflettere non è fine a se stessa. Anche i paparazzi hanno un cuore».
Anche per Federico Fellini lei era «The King».
«Perché ero dappertutto, anche sui delitti. Mi prendeva sempre per i fondelli. Mi chiedeva cose strane: quanto ci impiega la polizia ad arrivare, cosa fanno i feriti, se piangono: voleva tutti i particolari anche i più banali. Mi ha promesso una sacco di cose ma non ne ha mantenuta una. Però la mia fortuna è averlo incontrato. Mi chiamava Kinghetto».
Lei come riusciva a essere ovunque?
«Ascoltavo le frequenze radio della polizia. Ero in via Fani quando fu rapito Moro e in via Caetani quando fu trovato il cadavere. E al Policlinico Gemelli quando arrivò la moglie di Moro a cercarlo. Ma lui non c’era. Mi sono fatto 55 giorni sempre all’erta, al seguito di ogni sospiro. Mi hanno sparato, accoltellato...».
Sparato?
«In piazza Nicosia nel 1979, durante l’attentato alla sede della Dc delle Brigate rosse. Mi trovai in mezzo alla sparatoria dove morirono due poliziotti. Bloccai il comandante dei vigili del fuoco Elveno Pastorelli prima che colpissero anche lui».
Accoltellato?
«Durante un derby tra Roma e Lazio. Chi sia stato però non lo so».
Ha collezionato 165 ricoveri in ospedale, 11 costole rotte, 76 macchine fotografiche fracassate, 40 flash spaccati, manganellate, pugni, botte. Ne vale la pena?
«Sono 166. L’ultima sono caduto pochi mesi fa in una buca di Roma con il motorino. Un male come poche volte».
Le foto che avrebbe voluto fare?
«Quelle dell’11 settembre. Lì è cambiato il mondo».
Ma Barillari cosa voleva fare da piccolo?
«Mio padre mi voleva impiegato di banca, un bel posto al ministero, sai com’è. Ma io: manco morto».
E allora?
«Volevo fare l’operatore di cabina al cinema, quello che proietta i film come Alfredo in Nuovo cinema paradiso. Anch’io tagliavo i pezzi di pellicola e poi a casa li facevo scorrere su una scatola di scarpe. Creavo il mio cinemino».
Il cinema l’ha portato alle foto.
«A 14 anni vedevo sui cinegornali Incom l’Italia che cambiava, che costruiva strade, ponti, futuro, un altro mondo rispetto alla mia Calabria dove tutto era immobile. Così me ne scappai via e andai a Roma».
La sua prima macchina?
«Era una Comet 3 comprata al mercatino di Porta Portese. A quei tempi c’erano gli “scattini” a Fontana di Trevi, ragazzini che scattavano foto e poi le vendevano ai turisti».
Come si diventa Barillari?
«Non sono andato a scuola di fotografia. Ma ho avuto la grande fortuna di vivere accanto ai migliori fotoreporter italiani, come Tazio Secchiaroli, Marcello Geppetti, e ho cercato, nel bene e nel male, di rubare il meglio. Stando con loro, facendo lo stupid man che non capisce niente, ti aiutavano».
Ci sarebbe stata Dolce vita senza Barillari?
«No. Ma la Dolce vita è nata perché c’era stata la guerra, i lutti, le macerie. C’era un’Italia che voleva ritrovare la voglia di vivere, di farsi la bocca dolce. Le persone erano felici pronte a misurarsi con qualunque lavoro. C’era nell’aria la voglia di fare e di divertirsi».
E tornerà?
«Non tornerà più. La rovina sono stati il Piper, il Sessantotto, i figli che contestavano i padri, i lacrimogeni. Poi il terrorismo, gli anni di piombo, un’agonia che non finiva mai».
E oggi?
«È peggio del terrorismo: le persone non riescono a vivere, a mantenere i figli, non riescono a curarsi, a vedere un’alba migliore».
Lei ha detto: sono orgoglioso di essere un paparazzo.
«Paparazzo sta in tutti i vocabolari: è la terza parola italiana più famosa del mondo dopo pizza e Ferrari. E non c’è traduzione è così e basta. Il paparazzo è un inviato speciale delle fotografie, persino Lady Gaga lo canta. Cosa vuoi di più?».
Cosa c’entra Barillari con Fabrizio Corona?
«Assolutamente niente. Lo rispetto come uomo perché è un uomo ma professionalmente non esiste. Forse guadagna più di me, ma io la notte dormo più tranquillo».
Lei ha detto i telefonini sono l’agonia del paparazzo...
«Con i selfie sono diventati tutti paparazzi. Oggi un bambino con il telefonino ti distrugge un servizio esclusivo. Ma sono foto che non servono a niente, non fanno storia».
E l’Isoardi che si fotografa a letto con Salvini?
«Prima con una foto così ci facevo una copertina, adesso bruciano tutto quanto loro. Ma quello che raccontano loro di se stessi non è la verità».
Cosa le ha insegnato la tua vita?
«Tre cose importanti: il rispetto per la persona. Se puoi aiutare chi vale hai il dovere di aiutarlo. Se porti odio arriva la guerra».
Lei le ha conosciute tutte: chi è la donna più bella del mondo?
«Mia moglie Antonella».
Bella dichiarazione d’amore.
«Ho chiamato Antonella, Lilli, anche la mia macchina fotografica. Se non è amore questo...».