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 2019  aprile 02 Martedì calendario

Nei Paesi meno felici gli elettori votano per i populisti

Se sei infelice voti populista. Lo si era spesso immaginato, l’elettore arrabbiato con il mondo e il sistema che mette la croce sui simboli degli antimondialisti e degli antisistema dicendo: adesso gliela faccio vedere io. La cabina elettorale come sfogatoio, lettino dello psicanalista o curva di San Siro. Adesso arriva la conferma scientifica dal World Happiness Report 2019, il «Rapporto sulla felicità mondiale», presentato in Bocconi insieme con la Fondazione Ernesto Illy.
Il direttore della ricerca, alla settima edizione, è un brillante professore della Columbia, Jeffrey D. Sachs, che cita subito Aristotele: «Anche lui parlava dell’«eudaimonia», la ricerca della felicità. Ma non disponeva della Gallup. Noi sì». Ne è nato un sondaggione planetario, oltre 50 mila intervistati, che permette di stilare una classifica mondiale della felicità. In testa, manco a dirlo, i soliti scandinavi, in ordine Finlandia, Danimarca, Norvegia, Islanda e Paesi Bassi; in coda, anche qui senza sorprese, Sudan del Sud, Repubblica centrafricana, Afghanistan, Tanzania e Ruanda. L’Italia è al 36esimo posto, ed è interessante il confronto con la prima della classe: siamo leggermente meglio dei finlandesi per aspettativa di vita e «generosità» (insomma, il tipico welfare familiare italiano), leggermente peggio per Pil pro capite e supporto sociale (il welfare «vero»), molto peggio per libertà di scelta e incidenza della corruzione. 
Ma la ricerca più ghiotta riguarda il rapporto fra felicità e politica, fra soddisfazione privata e interesse per la cosa pubblica. Il professore Jan-Emmanuel De Neve di Oxford spiega che il benessere influenza sia la partecipazione alla vita politica, insomma se votare (più 7% per i «molto soddisfatti»), sia per chi votare. Non di sola economia è fatta la scelta. La felicità, reale o percepita, conta perfino di più. E in effetti confrontare le due mappe speculari degli States, quella del livello di benessere e quella del voto per Trump, è impressionante: dove la felicità è bassa ha vinto Trump, e viceversa.
Cambiando sponda dell’Atlantico, il risultando non cambia. Ricerche italiane non ce ne sono, ma una di Sciences-Po sulle elezioni francesi dimostra che la curva del voto per Marine Le Pen cresce al diminuire delle condizioni economiche e, ancora di più, del grado di soddisfazione. Non solo: più della situazione attuale, decide la preoccupazione per quella futura. Il voto populista è essenzialmente pessimista. E cresce di più fra chi crede che starà peggio fra cinque anni piuttosto che l’anno prossimo. Chiosa De Neve: «Spesso per spiegare le scelte elettorali cerchiamo indicatori oggettivi, come l’economia, ma il benessere soggettivo è molto importante. L’insoddisfazione per la propria condizione si traduce in un voto per i populisti».
Beninteso, ammesso che del propria condizione si abbia un’idea precisa. Interessantissimo, nella discussione che è seguita (oltre a Sachs, c’erano il sociologo Francesco Morace, Letizia Moratti e Andrea Illy), quanto ha fatto notare un demografo della Bocconi, Francesco Billari: «Secondo un sondaggio del ’17, la maggioranza degli italiani pensava che cinquant’anni fa si stesse meglio. Ma nel 1967 l’aspettativa di vita era di 71 anni, oggi di 83; la mortalità infantile, del 33 per mille allora e del 3 adesso». Morale: forse non tutto, nella nostra società, è da buttare.