la Repubblica, 1 aprile 2019
L’ora del blu di Eugenio Scalfari
La raccolta di versi del fondatore di “Repubblica": testi tra loro differenti ma che formano in realtà un unico organismo, nutrito da parole chiave come Tempo, Eros, Malinconia. Temi da sempre cari all’autore Eugenio Scalfari ci ha adusi alle sorprese. La sorpresa questa volta è un libro di poesie, L’ora del blu, in uscita presso Einaudi. Ma è una vera sorpresa questo libro?Cercherò di rispondere più avanti a questa domanda. Ora mi sforzerò di descrivere, almeno nei lineamenti più generali, temi e organizzazione della raccolta.La raccolta comprende cinquantasei componimenti, di assai diversa misura (dalle rapide accensioni quasi epigrafiche a lunghi e articolati discorsi). Un ordinamento cronologico s’intravvede (ma naturalmente non si può dare per scontato che l’ordine autobiografico delle tematiche corrisponda a quello di composizione dei componimenti).Come spesso accade in Scalfari, come spesso accade in questo Scalfari, – il discorso comincia dove comincia la Vita: il protagonista, inizialmente, è un bambino, che si guarda intorno e recepisce e registra ricordi che resteranno per sempre presenti nella sua memoria e nel suo modo d’essere (Una finestra sul mare, pag. 3). A questa epifania dei sensi e della coscienza si deve anche l’emergenza di quelle sensazioni, che finiranno per dare il titolo al libro ( L’ora del blu, pag. 5).Ma questo, forse presunto, ordinamento cronologico viene rapidamente sommerso dal dispiegarsi delle tematiche, che riempiono e animano il discorso poetico scalfariano, spesso in connessione fra loro, sicché alla fine, più che di una successione di atteggiamenti e prese di posizione, bisognerebbe parlare di un tutto unico, per giunta fortemente coeso. Molto difficile, perciò, è dare un ordine a un discorso interpretativo. Tuttavia, questa è l’operazione critica che in qualche modo va compiuta, se si vuole alla fine tentarne la ricomposizione unitaria di cui parlavo, senza schiacciare troppo il discorso sul risultato ultimo conseguito, dimenticando di conseguenza i particolari del tracciato che è stato necessario percorrere per conseguirlo.Allora, se io mi azzardarsi a ipotizzare che c’è un ordine (mentale, s’intende, non puramente biografico) nei componimenti della raccolta, in seno al quale di volta in volta raccogliere gli altri spunti tematici, io parlerei innanzitutto del Tempo: a partire da Corre il Tempo (pag. 8), che anch’esso in qualche modo apre la raccolta. Lo scorrere del Tempo, il logorio che ne deriva, la tensione che provoca in ogni momento del suo svolgimento, l’inesorabile corsa che si svolge fra un punto di partenza e uno di arrivo, ambedue difficilmente definibili, e tuttavia fermi nei loro rispettivi ruoli, senza nessuna possibilità di spostarsi o di definirsi altrimenti, costituiscono la visibile trama, su cui gli avvenimenti della vita e le dinamiche dei sentimenti più chiaramente si dispongono: «È inarrestabile / la corsa del tempo / fino all’ultimo appuntamento / con la Signora Velata / che porta con sé il senso / del tuo vissuto» ( La Signora Velata, pag. 26): «Il tempo corre e non si ferma mai, / fuori e dentro di noi che lo sentiamo …» ( Il tempo, pag. 73). Per capire meglio la dinamica estrema, all’interno della quale Scalfari colloca le sue transeunti figure, e dà loro consistenza e credibilità, bisognerebbe leggere per intero Madonna Morte (pagg. 6-7): dove si parla di un creatore che tutto «ha inventato»; e che, a testimonianza del sistema di relazioni al quale accennavo, proclama a un certo punto: «Ho inventato anche il Tempo / e la fa da padrone». Se il Tempo è il lungo e in un certo senso inesorabile percorso che la mente umana (in questo caso quella scalfariana in primo luogo), una volta imboccato, non può fare a meno di seguire fino in fondo, quel percorso ha un inequivocabile protagonista, che emerge costantemente ad ogni sua tappa e ad ogni sua svolta: e questi, anche in questo caso inequivocabilmente, è l’Io. L’Io, come vedremo anche meglio più avanti, svolge un ruolo decisivo in quella che io mi azzarderei a definire la razionale fantasia di Eugenio Scalfari: esso rappresenta la decisa sottolineatura di quell’aspetto marcatamente soggettivo che il pensiero umano, e dunque la vita umana, assumono quando cercano di orientarsi e proiettarsi sul groviglio dei sentimenti, delle scelte razionali, delle fedi e delle negazioni delle fedi, con cui essi, pensiero e vita, hanno sempre a che fare. Qui gli esempi si moltiplicherebbero quasi senza limiti, ma io mi limito all’essenziale: «Itaca è Io. / Il ritorno è Io. / La memoria è Io. / Fintanto che la tua mente / potrà pensarlo / è anche la tua avventura» ( Il labirinto, pag. 37); e, forse ancor più significativamente: «Io lo chiamo Io, / è il mio padrone ed Io di lui, / cambiamo di continuo e sempre insieme» ( Vita vissuta, pag. 51).L’Io, in Scalfari, si compone di diversi fattori, ognuno dei quali costituisce un aspetto di questa caleidoscopica visione del mondo.Ad esempio, la ricorrente versione di Eros: «Il senso di cui abbiamo / disperato bisogno / è Eros che ce lo dona …» ( Eros, pag. 22). Non credo rappresenti un’infrazione alla linea ipersoggettiva della poesia scalfariana, che ho finora seguito, ricordare che di questa come di altre pulsioni ci sono nell’Ora del blu anche versioni più fenomeniche e realistiche, che rivelano in Scalfari un gusto delle cose, che non mi sembra azzardato attribuire anch’esso alla sua più intima personalità: per esempio, il piacere e il senso di possesso di una certa molto intesa esperienza carnale, che si manifesta ad esempio attraverso la danza: «Il Bolero t’incanta. / Sei solo con la musica / non è il corpo / ma l’anima che balla col Bolero / avvinta al corpo» ( Il ballo, pagg. 40-49).Oppure, Malinconia: altra parola chiave dell’universo mentale e poetico di Scalfari (come altre testimonianze, anche prosastiche, dimostrano). Malinconia vuol dire che, qualsiasi sentimento o pulsione tu provi, arriva sempre il momento in cui sei costretto ad accorgerti che al di là di un certo limite non puoi spingerti. Ne segue un ripiegamento, che però non significa né chiusura né annichilimento: semmai una ripresa in chiave più soffocata ma più intensa di quel che si è provato, o creduto di provare, fino a quel momento: «Ma quel trionfo passa presto / lasciando il posto alla Malinconia. // Le mie dita sentono / il cuore che batte / e sfiorano le corde / della chitarra innamorata» ( La chitarra innamorata, pag. 66).Forse è arrivato il momento di rispondere alla domanda che abbiamo posto e lasciato subito cadere all’inizio del nostro discorso. La mia risposta sarebbe che questa raccolta poetica rappresenta indubbiamente una novità ma non una sorpresa nella costruzione creativa complessiva di Scalfari. Devo ricordare ed elencare i principali titoli scalfariani apparsi nel corso degli ultimi venticinque anni, già allora con un sostanziale arricchimento rispetto alla sua produzione precedente? Incontro con Io (1994), L’uomo che non credeva in Dio(2008), Per l’alto mare aperto (2010), Scuote l’anima mia Eros (2011) (tutti raccolti nel Meridiano Scalfari, 2012): come non rendersi conto che siamo di fronte a un percorso, durante il quale Scalfari ha approfondito sempre più la sua posizione filosofica ed etico-esistenziale? Certo, la poesia comporta un passaggio successivo: tutto quello che era maturato in precedenza, viene ora tradotto e ritrovato nel linguaggio essenziale, immediato e fuori da ogni vincolo, che è proprio della poesia. Una traccia per capire ragioni e dinamiche di questo passaggio forse possiamo trovarla nello stesso corpo dell’Ora del blu. Nell’ultimo, lungo componimento della raccolta, Vita amore e poesia, che è in gran parte una serie di citazioni non dichiarate di altri poeti e poesie, intervallata però da considerazioni del nostro autore, Scalfari ragiona secondo me con estrema chiarezza sulla scelta fatta, passando dall’una all’altra forma dell’espressione mentale umana, e scrive: «I romanzi raccontano la vita soprattutto l’amore / e le sue stelle / ma non dicono mai la verità./ Mentire su se stessi / è legge di natura / a me non piace / e quel romanzo non lo scriverò …». E più avanti, con chiarezza ancora maggiore: «L’antologia poetica è terminata. / E spero sia di vostro gradimento. / Io non scriverò / un romanzo sulla mia vita» (pagg. 75 e 85). Dunque, allargando un poco il concetto, la scelta della poesia, e non del romanzo, o a questo punto, di qualunque altra forma di scrittura discorsiva e dimostrativa, sta a significare un’esigenza d’immediatezza, che è anche verità, al di là di ogni possibile mediazione. Al tempo stesso l’autore, sulla base della sua lunga e molteplice esperienza, chiama anche il suo lettore a un rapporto più immediato e totale: ecco, questo sono io, non ho più bisogno di eventuali infingimenti e cautele.La raccolta scalfariana va letta, tenendo ben presente questo criterio interpretativo, che l’autore stesso ci suggerisce.