La Stampa, 1 aprile 2019
Prevert secondo Lavia
«Questo amore/Così violento/Così fragile/Così tenero/Così disperato/Questo amore/Bello come il giorno/Cattivo come il tempo/Quando il tempo è cattivo (…)». Se questi versi li avete letti sulle cartine dei baci Perugina e lì vi siete fermati, avrete forse di che ricredervi. Perché Gabriele Lavia l’ha presa come una mission quella di divulgare la complessità della poetica prevertiana, facendo splendere la parola del versatile Jacques ben oltre il formato cioccolatino. E con questo intendimento l’attore e regista originario torinese, che ha appena concluso parte della tournée del pirandelliano «I giganti della montagna», torna nella città che lo ha visto dirigere il suo Stabile, con lo spettacolo «I ragazzi che si amano»: non un recital, ma uno spettacolo vero e proprio, anche se in scena il protagonista è solo. L’appuntamento è per domani (ore 19,30) al Carignano, complice proprio il Tst.
Come mai, Lavia, dopo tanta prosa e autori impegnativi, approda a un genere di poesia che nella vulgata risulta, per quanto catturante e gradevole, meno profondo di altri?
«Come è successo? Semplice, ho fatto un errore. Ma bello grosso anche. Perché questo lavoro è il più impegnativo e difficile che io abbia mai affrontato. Intanto Prevert è tutt’altro che un autore facile, come si crede. Al contrario, è complicatissimo. Poi, provi lei a imparare a memoria una delle sue poesie e vedrà. Certo, ci sono alcuni miei colleghi che salgono sul palco e leggono, ma è una cosa che io proprio non sopporto. Mi sembrerebbe di prendere in giro il pubblico, a star lì davanti a un leggio. Così, devo mandare a memoria e giuro che con queste poesie è un’impresa. Avevo cominciato lo scorso anno, ma abbiamo fatto solo pochissime date e quindi ho dovuto rifare tutto il lavoro da capo per questa sortita torinese che, di fatto, è una prima».
Siè detto che i «ragazzi che si amano» del titolo sono in qualche modo tutti noi. È così?
«Intanto quei “ragazzi” sono uno sbaglio dei traduttori che, sovente, hanno cercato di migliorare – per così dire – Prevert, massacrandolo. Ma questa è la tradizione e, di questi tempi, purtroppo, stiamo “tradizionado” anche le sviste. L’autore intitola la sua poesia “Les enfants qui s’aiment”: enfants, appunto, non garcons. E c’è una bella differenza. Non per nulla la Marsigliese comincia con “Allons enfants de la Patrie…”. Enfants: che sono i bambini, ma anche coloro che hanno la pienezza di emozioni e sentimenti di chi ha saputo preservare l’infanzia del cuore. Quindi sì, Prevert parla d’amore e della sua folgorante potenza a tutti noi: a tutti coloro che hanno la capacità di sentire e vivere come enfants, appunto».
Da ex-direttore dello Stabile di Torino come valuta il percorso odierno del Tst?
«Difficile rispondere, per me, perché sono concentrato sul mio lavoro e non seguo tanto quel che succede nei vari teatri. Certo, Torino è una città che amo, anche perché ci sono cresciuto e ci ho vissuto quella stagione bellissima che è la giovinezza: la sola forse per cui vale davvero la pena di vivere, malgrado i suoi chiaroscuri, le sue contraddizioni. I suoi sentimenti assoluti, prevertiani, appunto. Sul teatro Carignano, però, una cosa mi sento di dirla: non so perché abbiano restaurato il foyer riuscendo a peggiorarlo».
Lo preferiva prima?
«Ma certo! Ogni volta che torno in questo bellissimo teatro mi chiedo perché abbiano scelto di fare l’esterno uguale all’interno, togliendo quella magnifica porta girevole in legno. Il guaio è c’è un pensiero, dietro a tutto questo. Ma forse chi ha deciso di procedere a certe ristrutturazioni è parente stretto dei traduttori di Prevert…»
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