Libero, 1 aprile 2019
Intervista alla migliore impiegata d’Italia
Silvia Macchiavello amava la matematica e l’accademia militare. Quando le dissero che erano gli anni Ottanta e una donna non sarebbe mai diventata soldato, si presentò al concorso per impiegati comunali. E naturalmente lo vinse. Sono passati 39 anni da allora, a Rapallo soffia una brezza insolente. La porta dell’ufficio anagrafe si è appena chiusa alle sue spalle. Nei corridoi le mamme sgambettano con i figli piccoli verso le uscite. Non ci sono avvocati sfiniti che impilano cartoffie dentro borsoni logori, maledicendo l’ennesimo intoppo burocratico. E nemmeno anziani che imprecano perché il loro cambio di residenza si è perso negli ingranaggi di un vecchio computer. Il miracolo di Rapallo è il sole che guarda sfacciatamente il mare ogni mattina. Ma anche un Comune che funziona, e una donna gentile di 63 anni – oddio, una mente matematica non parlerebbe mai di “miracolo”- che ha appena vinto il premio come miglior impiegata comunale d’Italia,assegnato dall’Anci – «...hai capito la Macchiavello?», si vocifera in piazza. Silvia dirige una squadretta di cinque persone, tre donne e due uomini. È responsabile dell’ufficio anagrafe e di quello elettorale. Ma a lei fanno capo mille altre incombenze. Ogni mattina nei suoi uffici si smaltiscono 22 carte d’ìdentità elettroniche. Qualcuno ha contato le pratiche: 3500 ogni anno. Poi ci sono i cambi di residenza, le iscrizioni all’anagrafe… E l’ufficio elettorale, che in prossimità del voto diventa lo spauracchio e il demone di ogni amministrazione: in 50 giorni devi preparare tutto, e non è che possono rimandare le elezioni perché non hai fatto in tempo a finire un lavoro.Silvia, ma senza di lei come fanno?
«Non siamo speciali e non siamo stacanovisti, è solo questione di precisione e organizzazione».
Lei pare più che altro un genio prestato alla pubblica amministrazione.
«Ho solo una grande memoria e una mente matematica».
Due più due deve fare quattro: dite sempre così, voi matematici.
«Solo chi ha una preparazione umanistica può dissentire su questo».
O forse l’aiuta quell’inclinazione al comando che le arriva da lontano.
«Sono una brava organizzatrice e gli ordini li impartisco chiedendo sempre per favore».
Capello bianco e sguardo truce: è così che la descrivono?
«Diciamo che basta un mio sguardo per placare gli animi più insolenti».
Silvia, lei mi spiazza perché smentisce ogni luogo comune sui dipendenti comunali, silenziosi e chini su scrivanie polverose. Facce grigie, pensieri tristi, ha presente lo stereotipo?
«In effetti in quest’ufficio siamo tutti felici e sorridiamo, si lavora sodo, si collabora e poi si sdrammatizza tutto con una battuta. Basta trovare il lato bello del mestiere».
E per lei qual è?
«Le sfide che mi pone l’informatica».
Ma trent’anni fa c’erano solo faldoni e scartoffie.
«E se parlavi a un vecchio impiegato di pc, gli veniva l’orticaria. Si scriveva tutto a mano, servivano mille passaggi. Ma c’erano i primi computer, era una rivoluzione che cominciava. L’informatica ha dimezzato i tempi e il personale».
A sentire lei sembra un lavoro creativo.
«Non è come avere a che fare con un’opera d’arte, ma presenta diverse situazioni in cui la creatività e l’ingegno sono fondamentali».
Lo consiglierebbe a un giovane?
«A un giovane direi di fare il lavoro che più gli piace, ma anche di trovare il lato buono di ogni mestiere».
Le arriveranno le richieste più assurde.
«Ci subissano di richieste al limite del regolamento. E ci accusano di rigidità se non li accontentiamo».
I più scortesi?
«Naturalmente i giovani. Ma è un problema di tutti i settori».
Possibile che non ci siano arretrati, da voi?
«Smaltiamo tutte le pratiche della giornata. Raramente si accumula qualcosa sulle scrivanie. A Rapallo vengono tanti milanesi perché sanno che tutto funziona più celermente».
L’anagrafe di via Larga, a Milano, in effetti è una grande incognita: attese infinite, gente incazzata.
«Qui invece si viene su appuntamento e non ci sono code. Non serve portarsi dietro l’enigmistica o l’uncinetto per ingannare l’attesa».
Ma il suo motto qual è?
«Mai adagiarsi, mai rimandare a domani un lavoro che potresti fare oggi. Bisogna procedere per piccoli passi».
E i dipendenti fannulloni di cui si vocifera in ogni dove?
«Una minoranza in Italia, ma sufficiente a mettere in cattiva luce una categoria che è fatta di tante brave persone dedite al lavoro».
Se l’aspettava di essere premiata come miglior dipendente comunale d’Italia?
«Mi ha colto di sorpresa e l’ho appreso dal sindaco quasi per caso. Non ritengo di fare nulla di strano o di eccezionale. Non ho certo scoperto l’America, faccio solo il mio lavoro. Vede, l’umiltà, la dedizione al lavoro sono principi semplici che mi arrivano da lontano. Mio padre diceva sempre quando ero studentessa: “Non ti chiedo di lavorare o di aiutare in casa, ma a fine anno mi porti a casa la promozione”. E sono cresciuta così. Pensi che la maturità scientifica l’ho preparata studiando appena due ore al giorno».
È sposata?
«Sono divorziata e ho due figlie ormai grandi. Con loro sono sempre stata molto rigida, non transigevo sulla scuola. Anche se facevano sport e non potevano dedicare tanto tempo allo studio, pretendevo che facessero i compiti come tutti. Spesso mi mettevo sugli spalti negli intervalli delle partite o degli allenamenti e facevo studiare loro la matematica».
Le piace Rapallo?
«Rapallo è una bella cittadina ma abbastanza caotica e piena di cantieri. Dopo la mareggiata c’è stato tantissimo lavoro da fare, la gente era esasperata, non capiva le difficoltà, si arrabbiavano per le strade chiuse e venivano a protestare».
Mai pensato di andare a lavorare in una città più grande?
«Rapallo è la dimensione giusta per valorizzare le professionalità, 200 dipendenti non sono pochi ma è possibile lavorare in un settore senza essere settorializzati. Resiste il concetto che i ruoli sono interscambiabili e tutti devono saper fare tutto». In una grande città invece?
«C’è meno fantasia ed è molto più frustrante. Ti occupi di una cosa soltanto, e i dirigenti fanno i manager senza conoscere all’atto pratico tutte le procedure. In un piccolo Comune devi saper fare tutto».
Una cosa che vi ha cambiato la vita?
«L’anagrafe nazionale. Ha semplificato tutto, non devo più chiamare un Comune per avere i dati di una persona. Mi basta un controllo sul computer».
Mai litigato con un sindaco?
«Una volta me ne sono andata sbattendo la porta».
Ci dice chi era?
«No, ma le dico questo: il politico dà le idee, ma poi bisogna metterle in pratica. E se c’è una cosa che non sopporto della politica è quando la minoranza comunale ha un’idea buona, ma per puro pregiudizio non viene accolta».
E se un sindaco viene eletto e pretende di cambiare tutto?
«Io gli rispondo: se vuoi che le cose smettano di funzionare, accomodati».
Chi è il sindaco adesso?
«Carlo Bagnasco, e ha la stessa età di mia figlia. Andiamo molto d’accordo. Lo vedevo andare a scuola che aveva 6, 8 anni. Il bello di una cittadina piccola è che tutti conoscono tutti».
Si immagina pensionata?
«Sto pensando a cosa fare quando accadrà, riprenderò gli studi di inglese e forse anche di spagnolo, farò qualche viaggetto».
Ma quando ci andrà lei, in pensione?
«Avrei potuto andarci adesso forse, ma ci sono le elezioni e fino ad ottobre non se ne parla».
Hai capito il sindaco? Mica facile rinunciare alla dipendente più brava d’Italia.