il Fatto Quotidiano, 31 marzo 2019
Apollinaire ridicolizza il Gastro-astronomismo
“Ai nostri giorni si parla molto di una nuova scuola di cucina. Da qualche tempo abbiamo il cubismo culinario”: ai nostri giorni – gli anni Dieci, ma del Novecento! – non esistono ancora le cucine da incubo, gli intrugli molecolari, gli impiattamenti fusion o i masterchef, ma i maître di sala aspirano già a diventare maître à penser, intellettuali, artisti e influencer, del mondo prima degli influencer. A rosolare per benino i cuochi suoi contemporanei è lo stralunato poeta Guillaume Apollinaire (1880-1918), dapprima promotore del Gastro-astronomismo, poi sempre più scettico e fustigatore di mode e fattucchierie tra i fornelli: come un gustosissimo assaggio della sua poetica culinaria tornano ora due scritti – Gastro-astronomismo o la cucina nuova, appunto, e L’amico Méritarte – tradotti e curati da Carlo Alberto Peruzzi, con testo francese a fronte.
Portata ricca, ci si ficca: è un trionfo di “cubetti, palline, polvere” per fare zuppe, brodini e persino tranci di salmone; violette condite con succo di limone; filetti al tabacco; bastoncini di liquirizia fusi – “a fuoco basso”, eh! – in brodo di gallina; e poi, “ragni e bruchi” portatili, da tenere sempre con sé in una comoda pochette. Mancano solo “dadi destinati a promuovere la cucina delle riviste e dei giornali”. Ma arriveranno, arriveranno: questa cucina “è un’arte, non una scienza… Nessuno dubita che quest’arte farà numerosi adepti e aumenterà di molto la lista degli alimenti da classificare come commestibili”.
Ancor più sarcastico è il secondo intervento del surrealista, dedicato all’amico avvocato José Théry (che lo difese dall’accusa di furto e ricettazione della Gioconda) e poi confluito nella raccolta Le Poète assassiné del 1916: il goffo protagonista Méritarte, più che stellato, è fulminato; uno che si diverte a cucinare per la mente e “l’intelligenza”, non per lo stomaco, e infatti dalle sue cene escono tutti affamati, a riprova che la nouvelle cuisine è sempre esistita. Non sazio – ma solo lui –, questo Méritarte ama anche imbastire spettacoli teatrali, ovvero banchetti a tema: ecco un dramma con minestre funebri, aringhe sinistre, anatre sanguinolente; poi viene una commedia garrula con zuppe fredde da far “sorridere”, testicoli di toro spassosissimi (altro che La cena di Trimalcione di Petronio), teste di vitello “buffonesche”, cosce al sangue entusiasmanti, aglio di “assoluta comicità”; infine, chiudono le messinscene liriche con lattughe sentimentali e una bouillabaisse che ricorda, molto romanticamente, i poemi omerici. Poco o per nulla riuscite sono, invece, la colazione filosofica e quella sentimentale, organizzata dopo il matrimonio con la cuoca, e relative scappatelle.
Di lei. Perciò Méritarte decide di offrire una “cena satirica, alla quale invita solo gli amanti di sua moglie”. Menù da brivido: “Passato funebre di verdure” e funghi tanto velenosi da intossicare e uccidere tutti, ospite cornuto compreso, ma narratore escluso. Che ha modo così di concludere, sadico: “Ancora per molto tempo i tentativi artistici di quest’uomo geniale non saranno ripresi”.
Apollinaire non è la prima né ultima penna prestata alla padella: la letteratura culinaria, più o meno satirica, ha una lunga tradizione, da Poe a Tondelli ai futuristi, che “camminavo spavaldi sulle tracce dei predecessori”. Il loro famoso Manifesto contro la pastasciutta et al. è infatti del 1930, in ritardo pure sulla Cena molto originale di Pessoa, ai limiti del cannibalismo, e sulle smanie gastronomiche dei Galletti del bottaio di Pirandello. Se il Cinquecento ama i sapori agrodolci ed esotici – con cigni, tartarughe e castelli in pasta frolla abitati da uccellini vivi –, nell’Ottocento la cucina si fa scienza con la Fisiologia del gusto di Anthelme Brillat-Savarin, che ha una teoria su tutto, pure sulla frittura. Balzac si titilla, invece, con Gli eccitanti moderni, mentre il godereccio Dumas (padre) compila un capitolo del Grande dizionario di cucina. Mitici sono, poi, i canapés di Scott Fitzgerald, gli gnocchi alla romana della Pivano, il punch di Flaubert e i biscotti di Baudelaire, inventati invero da uno scrittore beat, ma dedicati al poeta maledetto perché contenenti cannabis sativa, utilissimi per digerire e per veder le stelle. Anche quelle degli chef.