Robinson, 31 marzo 2019
Dimmi chi sposi e ti dirò chi sei
"Si sposano la cugina e a volte persino la zia. Vivono proprio come bestie”. È il giudizio lapidario di Marco Polo sulle usanze matrimoniali dei cinesi incontrati sulla via della seta, che lasciano decisamente di stucco l’autore del Milione. In realtà la proverbiale apertura all’altro del viaggiatore veneziano si scontra con qualcosa di troppo aberrante per poter essere non solo accettato, ma neanche compreso. Perché infrange un tabù che affonda le sue radici nelle profondità dell’Occidente, dove il matrimonio fra cugini è stato a lungo interdetto o scoraggiato. A questa grande questione James George Frazer, padre fondatore dell’antropologia, dedica Matrimonio e parentela, uno studio poderoso uscito un secolo fa e che ora viene meritoriamente ripubblicato dal Saggiatore. Il titolo originale è Folklore in Old Testament. E in effetti è con il mondo ebraico veterotestamentario che l’autore apre il catalogo di scene da un matrimonio.
Una corsa attraverso popoli e culture extraeuropee, dove portare all’altare la cugina non è una trasgressione ma addirittura la norma. Come in India, in Africa, in Nuova Guinea, in Polinesia, in Australia. E nel mondo ebraico. E qui comincia il problema. Al tempo di Frazer, usi così lontani non facevano scandalo se restavano appannaggio di popoli considerati selvaggi o quasi. Altro discorso per la civiltà ebraica. Soprattutto se a impalmare le cuginette erano patriarchi come Giacobbe, uno dei padri venerabili della civiltà occidentale. E in effetti l’autore del Ramo d’oro inizia dalle nozze di Giacobbe con Lia e Rachele, figlie di Labano, fratello di sua madre Sara. Frazer ha l’intuizione di accostare le tradizioni nuziali di una società complessa come l’Israele biblica a quelle dei popoli primitivi che, all’epoca, erano considerate il gradino più basso dell’evoluzione umana. La tesi è che queste unioni appartengono a uno stadio remoto della storia, destinato ad essere superato nel corso cammino della civiltà. Ma in realtà Frazer aveva ragione solo a metà. Perché non tutti i popoli hanno seguito la stessa strada.
Alcuni hanno dismesso questa pratica endogamica, che imbriglia la coppia nell’alveo della famiglia di appartenenza. Come dire, mogli e buoi dei parenti tuoi. Mentre altre società hanno liberato l’amore dalle convenzioni e dalle tradizioni, rendendolo scelta individuale.
In effetti il giudizio di Marco Polo è figlio di un’allergia morale e sociale ai legami tra consanguinei che nella Roma antica, come mostra la postfazione di Maurizio Bettini, era rigidissima. E che il mondo cristiano fa sua, soprattutto in principio. Poi però il divieto diviene sempre più morbido e dispensabile. Come provano la permanenza, e la frequenza, dello sposalizio fra cugini nella nostra storia più recente. Lo dicono alcune cifre tratte dagli studi del grande genetista Luca Cavalli Sforza, relative all’Italia della prima metà del Novecento.
I dati parlano di un paese “giacobbino”, dove in regioni come la Sicilia un imponente quaranta per cento dei matrimoni celebrati in chiesa era fra cugini di primo grado. A poca distanza seguivano Calabria, Molise, Basilicata e Sardegna. Il familismo italiano evidentemente ha condizionato a lungo la scelta del partner. E in paesi come l’Arabia Saudita le nozze tra cugini sono ancora oggi il cinquanta per cento del totale. Senza dire di unioni illustri come quelle fra Umberto I di Savoia e la regale cugina Margherita. O fra sir Charles Darwin e Emma Wedgwood, o fra Albert Einstein ed Elsa Lowenthal. Nonché la love story intermittente tra Lapo Elkann e Bianca Brandolini d’Adda. Insomma, a favorire o a scoraggiare queste unioni non è nessun tabù religioso, né un presunto e mai dimostrato orrore istintivo, né la verecondia naturale di cui parlava Sant’Agostino. Ma più semplicemente un combinato disposto fra demografia, economia e sociologia. Laddove conviene mantenere stretta la parentela e concentrata la ricchezza, si serrano le fila e le scelte vengono limitate all’interno di una cerchia consanguinea come quella della cuginanza. Laddove invece i legami parentali troppo stretti sono d’ostacolo allo sviluppo di società ed economia, le scelte si ampliano e i cugini diventano perfetti sconosciuti.
Resta valida del libro la ricchezza di esempi che manda in pezzi il mito del matrimonio secondo natura. Caro soprattutto agli ultras della famiglia naturale, riuniti in questi giorni a Verona. Che evidentemente non hanno ancora digerito Frazer.