la Repubblica, 31 marzo 2019
I nostalgici e prevenuti che salutano San Siro
Sollevatori di pesi, lottatori, decathleti: perplessi e preoccupati. Più le Olimpiadi aprono a nuove discipline più rischiano gli sport con minor fascino televisivo, o minor gradimento da parte delle giovani generazioni. Giovedì scorso il Cio ha accettato i quattro sport proposti da Parigi 2024: arrampicata, breakdance, surf e skateboard. Sport urbani, tolto il surf che ha bisogno del mare e di onde molto alte. Al momento non sono previsti tagli a discipline storiche, viste come sorpassate dai tempi, ma vedrete che ci saranno. L’audience è spietata. Thomas Bach, presidente del Cio, ha per ora bocciato i videogiochi, chiamati eSports, ma prima o poi troveranno posto anche loro, col mercato che hanno alle spalle.
Fa un certo effetto immaginare sotto lo stesso tetto olimpico la maratona e la breakdance, lo skateboard e i 200 di nuoto. Sono giochi o sport? Stabilirlo è relativo, la dizione Giochi Olimpici ha vasti confini. Si gioca a calcio, a basket, a pallavolo, a rugby, a tennis. E sono sport. Non si gioca all’atletica, leggera e pesante, né al nuoto, ai tiri. E sono sport. Badminton, curling, beach volley hanno suscitato curiosità e passione. E sono sport. Per avvicinare le giovani generazioni mi chiedo se non sia il caso di varare Olimpiadi-baby, con squadre dagli otto ai dodici anni d’età che giocano a bandiera. Oppure per gli adulti ripristinare il tiro alla fune oppure aprire a cose circensi.
Perché i ginnasti sì e i trapezisti e gli acrobati no? Perché il tiro con l’arco, la pistola, la carabina, e i lanciatori di coltelli no? Perché il bridge (che arriverà) e non il poker? E il biliardo, vogliamo parlarne? No, oppure a suo tempo. Adesso parliamo dell’Olimpiade per piccioni viaggiatori, che s’è svolta in Polonia. Ai primi tre posti nella gara di velocità su 475 km tre volatili polacchi, al quarto Armando, di proprietà di Joel Verschoot, allevatore belga. Armando, soprannominato Lewis Hamilton (fonte: Sw) ha 5 anni, quindi è vicino al ritiro dall’agonismo, ma ha ancora il suo valore. Un appassionato cinese ha sborsato 1,252 milioni di euro per assicurarsi le sue prestazioni da riproduttore.
Peppino Meazza e San Siro: perplessi e preoccupati. Hanno annusato l’aria e hanno capito che il loro stadio, dal 1926 lo stadio dei milanesi, sarà abbattuto. Ormai in Italia dilaga la sindrome-Juve, detta anche febbre da stadio. O ne hai uno di proprietà e quello ti aiuta a vincere e a ingrassare il bilancio, o devi sognare in piccolo. Secondo me la Juve ha una squadra così forte che vincerebbe lo scudetto anche giocando sul campo del Chievo o del Frosinone. Comunque lo stadio è bello, è tutto suo e può farci quello che vuole, anche nel conteggio degli scudetti. A Milano non vedo benissimo una gestione Milan-Inter o Inter-Milan, insomma una comproprietà. Per dirla tutta, nemmeno vedo l’urgenza di buttar giù il Meazza-San Siro, e non solo per motivi sentimentali. Quando ci sono entrato la prima volta, nel ’49, mi sembrava un altro mondo. Bando ai ricordi e alle suggestioni nutrite anche da un tedesco-italiano come Karl Heinz Schnellinger. Che, intervistato dal Giornale, dice: «È il cuore di Milano. Come si fa a strapparsi il cuore?». Bando ai ricordi, ma tanto sorpassato lo stadio non dev’essere, se nel 2016 ha ospitato la finale di Champions tra Real e Atletico.
Sul Fatto di ieri c’è un pezzo di Massimo Fini in larga parte condivisibile, specie nella nostalgia per com’era San Siro prima che lo rovinassero col terzo anello. Tra i migliori d’Europa. I ritocchi per Italia ’90, preventivo 35 miliardi, costarono 170 miliardi. Noi di Milano, di una certa età, oltre che nostalgici siamo anche un po’ prevenuti. Non dimentichiamo che il Palasport, crollato nella notte del 16 gennaio 1985, secondo lorsignori sarebbe stato ricostruito entro un anno, massimo due. Ne sono passati 34, stiamo ancora aspettandolo.
Passiamo alle varie. Miglior titolo della settimana: non assegnato. Frase più bella. Omar Di Felice, intervistato da Cosimo Cito sul Venerdì. Omar è un ciclista estremo, corre sul ghiaccio a 30 sottozero. «Non si va lì per farsi selfie ma per ritrovarsi tra le dita ricordi, per fare un pieno di cose che non dimenticheremo. Andiamo a costruire ricordi». Frase più bulla, Matteo Salvini: «La Libia è un porto sicuro». Per i libici, sì. E anche una frase- balla, nel senso di bugia. Vada a raccontarla, Salvini, a quelli che preferiscono annegare che essere riportati in Libia. Poesia: “Finché avrai/ questo peso del sonno sulle ciglia/ nessuno potrà dire se di stanchezza dormi/ o se credi in un sogno di morire”. Sergio Zavoli. “Doma li peraulis a ni rèstin,/ma a lours bisugna cròdighi/ sì, o poets o mas/ bisugna cròdighi, o i sarìn/ dal nuia robàs”. Giacomo Vit. Traduzione dell’autore dal friulano: “Solo le parole ci restano,/ma a loro bisogna credere,/sì, o poeti o folli,/ bisogna credere o saremo/dal nulla rapinati”.