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 2019  marzo 31 Domenica calendario

Intervista alla ragazza violentata nel metrò

Crede ancora nella giustizia ma teme una vendetta. I magistrati hanno scarcerato «due dei miei carnefici. Ora ho paura. Quel giorno sono caduta in una trappola. Più ancora della violenza che ho subito, mi ha fatto male quello che è successo dopo. Quando ti accorgi che non c’è giustizia, che non hai tutela, allora il dolore diventa insopportabile», dice a Repubblica la ragazza di 24 anni stuprata nell’ascensore della stazione della Circumvesuviana a San Giorgio a Cremano.

Quando torna con la mente a quelle scene affiorano le lacrime. Ma si fa forza, e grida alle altre donne vittime di violenza: «Non abbiate paura di denunciare». E agli uomini che compiono abusi dice: «Fermatevi, usate la forza della ragione, non l’istinto». Tra le mani ha un libro, Cent’anni di solitudine. Non è sola, in realtà. Sono tutti intorno a lei, familiari, amici. Ma per allontanare l’orrore di quel pomeriggio si rifugia nella Macondo di Gabriel Garcia Marquez o ascolta i versi meravigliosi di Fabrizio De André che canta «il bosco era scuro, l’erba già verde, lì venne Sally con un tamburello».
Come sta?
«In ripresa. Da un paio di giorni la situazione è cambiata».
C’era qualcuno, nella stazione, che avrebbe potuto aiutarla?
«No, non c’era nessuno. Ero sola con i miei tre carnefici, in quell’ascensore. Forse però, a pensarci bene, un momento c’è stato, in cui avrebbero potuto aiutarmi...».
Quando?
«Per un istante si sono aperte le porte e uno di loro mi è venuto incontro, abbracciandomi, perché avevo i pantaloni abbassati. Ecco, se le persone si fossero soffermate un attimo a osservare la scena, forse si sarebbero rese conto che ero completamente inerme. E avrebbero potuto fare qualcosa».
Pensa che sia stato un errore denunciare?
«No. Però è un peccato che, pur essendoci tutte queste prove, non sia stato preso in considerazione quello che ho detto».
Ora i giudici hanno scarcerato due degli indagati.
«E io temo che possano vendicarsi, non si aspettavano che li avrei denunciati. Non abitiamo distanti, potrei facilmente incrociarli di nuovo».
Perché sono stati rimessi in libertà, secondo lei?
«Credo che i magistrati siano stati ingannati dal mio atteggiamento iniziale di benevolenza verso quei ragazzi. Si vede dai filmati, ma io non l’ho mai nascosto. Si sono avvicinati chiedendomi scusa per avermi seguita fino a casa giorni prima e io gli ho creduto».
Crede ancora nella giustizia, alla luce delle recenti decisioni del tribunale del Riesame?
«Sì, ci credo. Credo nel lavoro che stanno facendo i miei avvocati. E conservo la speranza, perché senza speranza è come se non ci fosse vita».
Cosa pensa di fare adesso? Come vede la sua vita negli anni a venire? Pensa che questa ferita, almeno in parte, potrà risanarsi?
«Ho il desiderio di fare qualcosa per le persone in difficoltà. Questo è il pensiero che ricorre con maggiore forza da quando è successo tutto. Aiutare donne, bambine, ragazze. Nella mia mente si sta facendo strada l’idea di costituire un’associazione per tutti i soggetti a rischio, in particolar modo per le donne».
Lei ha detto che per lasciarsi tutto alle spalle intende andare via dalla sua città. È così?
«Adesso non ci penso più. Spesso dal male si può ricavare il bene, me lo hanno insegnato i miei avvocati. Credo che, per poter promuovere un cambiamento radicale, sia preferibile lavorare su questo territorio, dove più di una volta sono rimasta vittima di violenze sessuali».
Si riferisce al primo tentativo di abusi di cui ha parlato, avvenuto tre settimane prima dell’episodio della Circumvesuviana?
«No. Già a 14 anni ero rimasta vittima di una tentata violenza. Alle donne che subiscono abusi dico che devono trovare la forza di denunciare, di credere nella giustizia, di coltivare la speranza e la fede. Se non in Dio, nell’uomo, perché ci sono uomini e donne pieni di valori, che sono pronti ad aiutarci e a starci vicino nei momenti di difficoltà e di profonda crisi interiore».
E agli uomini che ne abusano, invece, cosa direbbe?
«A chi ha fede, ricorderei che siamo stati generati per essere fratelli ed essere trattati alla pari. Agli uomini che, invece, non credono in Dio, direi di non far valere i propri istinti, né la coercizione fisica e mentale, ma la forza della parola e quella della ragione».