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 2019  marzo 31 Domenica calendario

Intervista a Michel Platini

«È stato bellissimo essere qui al centro del mondo e parlare ai giovani. Ringrazio per l’invito Claudio Corbini, fondatore dell’Associazione Diplomatici, e Marco Tardelli, Goodwill Ambassador delle Nazioni Unite. La storia del calcio può dire tante cose, ti offre una chiave per discutere in modo efficace della leadership nella vita». Michel Platini si esibisce dallo scranno più alto dell’Assemblea generale Onu in una lectio magistralis per 3200 studenti di 114 Paesi, tra cui 1700 italiani, riuniti per l’8° Change the World, laboratorio diplomatico attraverso il quale viene riprodotto il funzionamento degli organi delle Nazioni Unite e con i ragazzi nella veste di giovani feluche nel tempio della diplomazia. A margine, «Le Roi» si presta a parlare di calcio, non solo come metafora della vita, «un calcio - dice - che è cambiato».
Come?
«Oggi è bellissimo, anche più dei nostri tempi. Alcune nuove regole ne favoriscono il gioco effettivo, velocità e fisico dei giocatori sono cambiati molto. Occorre però tenere sempre presente che il gioco è più importante di tutto il resto, dei soldi, dei traguardi e di altro».
E la Var le piace?
«No. La Var era una cosa che tutti volevano, voi giornalisti la chiedevate ogni volta che un arbitro sbagliava. La Var non assicura più giustizia, io lo so, ho giocato davanti alle telecamere. Ci sono cose positive e cose negative. Può essere un aiuto nel fuorigioco, ma tutto quello che è interpretazione di mani e falli è difficile, rischia di essere ingannevole. Quello che in tv sembra un rigore nettissimo magari non era fallo. Occorre pertanto fare degli adeguamenti». 
In Champions vede una Juventus vincente?
«Certo, la Juve è favorita. Nelle doppie sfide di Champions può succedere di tutto. La Juve ha passato il traguardo più importante contro l’ Atletico e ha fatto vedere che è forte».
Lei ha lasciato a 32 anni, la Juve ha preso Ronaldo a 33 anni: è la misura della differenza tra il calcio di ieri e di oggi?
«Ronaldo ha una forza mentale e fisica straordinaria, l’ho visto giocare alla grande contro il Manchester. Io non avevo il suo fisico e a un certo punto non avevo più benzina, ma avevo il piede destro, e segnavo anche io qualche gol».
Il ricordo più bello della sua esperienza a Torino?
«I cinque anni bellissimi passati alla Juve».
Lei qui ai ragazzi ha parlato di leadership: nel calcio di oggi l’Italia ha perso il ruolo di leadership?
«Ha meno grandi calciatori, sul campo così si decidono le cose. Se hai Messi, Ronaldo, Pelè, Maradona è più facile. Se non li hai devi lavorare nel settore giovanile per creare la squadra». 
E infatti è mancata la qualificazione ai Mondiali…
«È stata una festa per la Svezia e un dramma per l’Italia. Io ero presidente Uefa e non potevo gioire per uno e dispiacermi per un altro. Da venti anni ho imparato a essere neutrale».
Lei ha ricordato che prima del ’78 la Francia ebbe un periodo grigio ma non lo affrontò con lo stesso psicodramma degli italiani.
«In Francia il calcio non esisteva. Quando mi domandavano quale fosse il mio lavoro rispondevo “calciatore” ma la replica era “quello è il suo hobby, non scherziamo, il calciatore non è un mestiere”. Questa era la Francia degli anni Sessanta e Settanta quando ho cominciato, non era come l’Italia, appassionata e con i tifosi». 
Tornando ai giovani, in che cosa quelli di oggi sono diversi da quelli di 40 anni fa?
«Sono più aperti al mondo, più veloci, informati e svegli grazie ai media e a Internet, hanno una cultura differente. Ci sono però altri problemi: ai nostri tempi c’era più lavoro, c’ erano meno malattie. Oggi il problema è trovare un lavoro. C’è un gol da non sbagliare oggi in quella partita che è la vita, quando sei davanti alla porta devi metterla dentro perché rischiano di non esserci altre occasioni».