La Stampa, 31 marzo 2019
Stessa latitudine, destini differenti
Prendi due storie con gli stessi ingredienti (una donna italiana, un uomo immigrato dal Marocco, un amore sullo sfondo del circo), distanziale di mezzo secolo e vedi che cosa accade.
Le raccontano una giovane donna lombarda e un avvocato pugliese.
La prima si svolge al Nord, nell’immediato dopoguerra. È un tempo di sfide e rancori, in un Paese diviso. Il termine «marocchino» viene usato in riferimento a chiunque sia nato al di sotto di Firenze, città alla cui altezza molti auspicano la costruzione di un muro che creerebbe, secondo loro, «un’altra Svizzera». Marocchino davvero è il giovane Ahmed. Si è lasciato alle spalle i vicoli gaglioffi del porto di Tangeri, un padre padrone e un lavoro estenuante come ciabattino. A portarlo via è stato il carrozzone di un circo spagnolo. Un impresario ha visto una torre umana di ragazzi sulla spiaggia. Alla base, il più robusto di tutti: Ahmed. Da lì all’esibizione come «uomo più forte del mondo» è un attimo. L’attrazione funziona e gli procura il passaggio al circo dei circhi: l’americano Billy Smart. È quello a portarlo in tournée in Italia. Dà spettacolo a Milano, nel teatro Smeraldo, cuore della città, dove oggi si esibiscono i prodotti alimentari di Eataly. Il suo è un numero acrobatico, ma funzionerebbe anche se stesse fermo e si limitasse a mostrare gli occhi scuri, il collo taurino, i pettorali scolpiti. Alla fine l’applauso è interminabile, soprattutto perché una ragazza tra il pubblico non smette neppure quando gli altri lo fanno.
L’Ercole africano
Si chiama Giulia. È nata nelle campagne del Bresciano dove la chiamavano «negher dei carruzzùn» per la carnagione scura e l’abilità nel saltare dai fienili. Ottava di undici figli, sognava di fare la ballerina, ma le esigenze familiari l’hanno costretta a lavorare subito: prima in un caseificio, poi in ospedale. Alloggia in un convitto di suore, ma la sua vocazione resta il palcoscenico. Il circo gliela riaccende e l’uomo forzuto produce un’altra scintilla. Insegue il circo nelle tappe lombarde, trascurando il lavoro e finendo per farsi licenziare. Non osa avvicinare l’Ercole africano finché non lo incontra per caso a una fermata d’autobus. Si vedono per settimane finché lui deve partire per l’Inghilterra lasciandole un regalo (un montgomery verde) e un segreto (un bambino che nascerà in assenza del padre). Quando lei trova il coraggio per la rivelazione lui le dà appuntamento davanti alla chiesa di Corte Olona e lì la sposa.
Come dono di nozze: un contratto per il circo dove potrà infine ballare (in groppa a un’elefantessa). Qualche anno dopo lei gli chiede un altro, definitivo, regalo: tornare in Italia, nel Varesotto. Hanno quattro figli, tutti battezzati. Lui lavora come camionista e spaccapietre, ma è la sua schiena a spaccarsi: contro la fatica e contro i pregiudizi. La dura e la vince: la famiglia di lei e la comunità alla fine li accettano. Sarà la nipote Beatrice (il cognome è Dal Pio Luogo) a scriverne a soli 17 anni la storia, chiudendola prima del ritorno in Italia, in un libro dedicato alla «ragazza dal montgomery verde».
E adesso veniamo ai giorni nostri. A quest’oggi in cui il Papa si trova proprio in Marocco, circa mezzo milione di immigrati da quel Paese vivono in Italia e due ragazze di nome Ruby e Imane hanno conosciuto fortuna e disgrazia nel più grande circo privato della Lombardia.
Il luogo omerico
La seconda vicenda si svolge nella provincia di Taranto, a Palagiano, elogiata dal poeta Quasimodo come «luogo omerico». Il tendone porta, quasi inevitabilmente, il cognome Orfei. Marina, in questo caso, il nome. La meraviglia che il circo suscitava nel Novecento è un fuoco d’artificio tiepido. Pochi giorni prima, in una vicina località, c’è stata una lite con un gruppo di spettatori venuti a visitare gli animali che ha vivacemente protestato per le loro condizioni. Nella rissa che è seguita è finito in ospedale il domatore. La serata si è conclusa da poco, il pubblico è stato sparuto ma benevolo. Riposano le tigri, si svestono i pagliacci.
Nella sua roulotte una delle inservienti, una giovane addetta alle pulizie, ma con sogni artistici, riceve l’amante marocchino, di nome Kaled. Anche lui è un uomo che usa la forza, ma con i deboli e a sproposito. Di spaccarsi la schiena lavorando non ha troppa intenzione. Ha bevuto come ogni sera, male e troppo. Non ci sono né regali né bambini in questa storia d’amore e forse non c’è neppure amore. La coppia litiga. Lui alza la voce, poi le mani. La donna invoca soccorso. Nella sua roulotte Giuseppe Spada, il gestore del circo, sente le grida, si alza, si riveste, esce.
Quel che accade da qui in poi sarà chiarito nel processo che si celebrerà contro di lui, accusato di lesioni personali, difeso dall’avvocato Antonio Mancaniello. L’unica certezza è che Kaled viene ritrovato ore dopo, in pessime condizioni. Trasportato in ospedale dai carabinieri ed esaminato, rivela una milza spappolata, che gli viene asportata. Secondo la sua versione sono state le percosse subite dal gestore del circo a provocargli quel danno. Per la difesa, invece, si sarebbe allontanato dalla roulotte sulle sue gambe malferme e successivamente sarebbe caduto provocandosi da sé le conseguenze. La verità dovrà essere, se possibile, stabilita in aula. Quanto alla storia d’amore o quel che era, finirà pure quella in tribunale, avendo l’inserviente querelato l’ex per le violenze subite.
La decadenza degli elementi
Due storie: una favola vera, con regolare lieto fine e una cronaca amara, dove sembra non salvarsi nessuno. Stessi fattori, diverso prodotto. Il tempo può produrre una decadenza degli elementi. Un autista senegalese ha minacciato di dar fuoco al pullman con 51 ragazzi. Agli esordi in Italia, decenni fa, la comunità senegalese non creava mai problemi, benché relegata sotto la comune etichetta di «vu cumprà». Nessuna provenienza nella vita segna un destino. Il male, o il suo preludio, consiste nella generalizzazione.