La Stampa, 31 marzo 2019
Perché balliamo
Il ritmo, la musica e la danza hanno accompagnato l’umanità fin dai suoi primordi. Tra le cose che accomunano tutte le popolazioni del mondo c’è sicuramente l’istinto, il piacere, il desiderio di ballare. Dalle più remote tribù aborigene in Australia, alle crew hip hop di New York, dalle paranze di pizzica e tarantella del sud Italia, agli inuit in Groenlandia, ogni popolazione, in ogni angolo del globo, ha sviluppato nei secoli un suo stile di ballo, e questi poi spesso si sono incrociati e mescolati tra di loro.
Ma perché balliamo? È questa la domanda che sarà il filo conduttore di Dance, una nuova serie di documentari che andrà in onda su Sky Arte a partire dal 29 aprile in contemporanea in Italia, Regno Unito, Irlanda, Germania e Austria, e che sarà disponibile integralmente su Sky on Demand, presentata dall’artista, coreografo e ballerino inglese Akram Khan. Il primo episodio è intitolato «Storie», seguito nelle settimane successive da «Provocazione», «Anima e corpo», «Identità» e infine «Eros».
Performance inedite
Ognuna di queste proverà a dare una risposa alla domanda «Perché balliamo?», e nel farlo porterà gli spettatori nei quattro angoli del mondo e mostrerà, con performance inedite e interviste, i più grandi ballerini e coreografi del momento: dall’inglese Wayne McGregor all’americano Bill T. Jones, da Lin Hwai Min di Taiwan al coreografo keniano Fernando Anuang’a, passando per l’indiana Aditi Mangaldas e fino alla madre della danza africana contemporanea, la franco-senegalese Germaine Acogny.
«Volevo che gli spettatori sentissero di essere nei luoghi in cui giravamo, come se stessero assistendo a uno spettacolo. Ma ho anche cercato di unire la danza con la ricercatezza estetica dell’ambientazione, non proprio come in un video musicale, ma comunque in maniera tale da rendere l’esibizione live più affascinante», spiega il regista Marco Pianigiani.
Un linguaggio universale
Il direttore di Sky Arte Italia, Roberto Pisoni, si è detto certo che «questa serie non appassionerà solo gli amanti della danza ma, grazie a un linguaggio universale, avrà una forte influenza su un pubblico più vasto».
E proprio questa è la forza del format, che riesce ad appassionare anche i non esperti, mostrando che il mondo del ballo è molto più complesso, vario e affascinante di quello che siamo abituati a pensare. «Una volta un tassista mi chiese che cosa facessi nella vita e gli risposi che ero un ballerino. Ma quando gli dissi che facevo contemporanea smise di parlarmi e solo dopo dieci minuti disse: la danza contemporanea è quella che non si capisce, giusto? Quella risposta mise in discussione tutte le mie certezze. Decisi che volevo poter parlare con persone come lui senza che si sentissero in un certo senso intimidite da quello che facevo», racconta Khan, che con Dance spera di poter superare questo muro, offrendo uno spettacolo su cui gli spettatori si sintonizzeranno «come farebbero quasi se fosse una partita di calcio».
Alla scoperta di tutti i generi
Gli episodi di Perché balliamo? sono densi e ricchi e accompagnano lo spettatore alla scoperta dei più diversi generi, dal mondo mistico e oscuro della Butoh giapponese al più celebre, almeno per noi, tango argentino, dal potere femminile del Bharatanatyam indiano, alla street dance statunitense portata al successo da Lil Buck: il «jookin».
Un modo sincero di essere
«Un tempo solo la classica aveva una sua rispettabilità, gli altri stili erano ritenuti bassi. Oggi questo confine netto non esiste più, la mia generazione quando pensa al ballo pensa a Michael Jackson, Prince o Madonna», racconta Khan, secondo cui non importa quale sia il genere o lo stile che più ci appassioni, la cosa importante è ballare: «Perché la danza è il modo più vero e sincero che abbiamo per esprimere noi stessi».