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 2019  marzo 31 Domenica calendario

Giappone, finisce il periodo Heisei

In Giappone il tempo non si misura con gli anni ma col passaggio degli imperatori. Oggi non è l’ultimo giorno di marzo dell’anno 2019 ma il tramonto di un’intera epoca. È infatti il 31° e ultimo anno dell’era Heisei, ovvero il nome dato al vecchio Imperatore Akihito quando salì al trono nel’89, il quale passerà la mano al figlio il prossimo 1 maggio, e una nuova era potrà avere inizio (il nome verrà annunciato il domani alle 11 di mattina in punto). 
Gli anni precedenti all’89 sono conosciuti come l’era Showa . Chi volesse rintracciare un momento simbolico del passaggio tra la vecchia era Showa (1926-1989) con la successiva Heisei (1989-2019) non farebbe fatica a riconoscerlo, in quanto l’anno di congiunzione tra le due sponde temporali è stato anche l’anno dell’implosione dell’indice di borsa Nikkei e l’improvvisa fine del lungo boom economico.
La sciagura dello tsunami
Ma ora che la nuova era verrà annunciata c’è un evento che meglio di altri può riassumere il passaggio d’epoca?
Non sempre il cambio degli imperatori può coincidere simultaneamente con svolte politiche o socio-economiche epocali, e se un evento sintesi di questo passaggio storico esiste, va recuperato da un passato vecchio di 8 anni, precisamente l’11 marzo 2011, sangatsu juichi, suono che ancora oggi procura un brivido agli abitanti dell’arcipelago: ovvero la sciagura dello tsunami che causò 20.000 morti, l’esplosione di una centrale nucleare e la conseguente fuga di radiazioni i cui effetti sono ben evidenti ancora oggi: ogni anno si accumulano 70.000 tonnellate di acqua radioattiva (usata per raffreddare il combustibile) e lo spazio per immagazzinarla si sta esaurendo. Se ancora dopo 8 anni alle 14.46 in punto dell’11 marzo tutto il Paese si ferma per un minuto di silenzio in ricordo delle vittime vuol dire che quella tragedia ha segnato un intero popolo nel profondo.
Prova ne è un sondaggio realizzato tra gli studenti dei villaggi distrutti dallo tsunami, piccoli centri che oggi stanno lentamente rinascendo. Viene chiesto loro se in futuro continuerebbero a vivere lì. Negli anni precedenti al disastro uno su due dichiarava di non averne la minima intenzione. Per anni la scelta più naturale è infatti stata quella di «scappare» dalla provincia per costruirsi una vita e una carriera nella grande metropoli. Oggi quella statistica si è ribaltata, e mostra che ben il 90% degli intervistati desidera costruirsi una vita nel piccolo borgo. La generazione post-Fukushima ha sviluppato una sensibilità nuova, e arricchito di preziosi connotati la stessa parola progresso: sono in atto diverse tendenze tra i giovani che premono verso un ritorno a una slow life nei campi. 
La nuova consapevolezza 
Mentre il sipario va calando sull’attuale era si può constatare che una più acuta consapevolezza verso i temi ambientali ha plasmato un’intera generazione, e di questa lucida cognizione sono impregnati gli impulsi delle tante start-up e iniziative nel Paese rivolte ad accelerare l’adozione di energie rinnovabili coscienti che la distruzione del pianeta non appartiene alla fantascienza ma è qualcosa di tremendamente reale, tanto quanto i contatori geiger che ancora oggi molte scuole devono impugnare per certificare che i livelli di radioattività nel cibo destinato ai bambini non sforino limiti fatali. 
Se i giapponesi si sono a lungo impuntati su efficaci soluzioni rivolte a evitare circoscritti danni ecologici attraverso la cura maniacale degli spazi pubblici e il riciclaggio dei rifiuti ora in molti si sentono chiamati a riconoscere il proprio contributo per evitare lo stravolgimento di un intero ecosistema (contro l’uso di energia nucleare si schiera il 55% della popolazione). 
Se una cesura tra le vecchia e la nuova era esiste questa è certamente costituita dalla maturazione di un’inedita volontà di porre limiti alla propria voracità consumatrice (vedi il divieto delle cannucce negli uffici pubblici e gli incentivi a ridurre l’uso della plastica) e di ridiscutere quei modelli di crescita rivelatasi incapace di garantire la benché minima sicurezza nonché la salvaguardia del proprio ambiente.