La Stampa, 31 marzo 2019
Un patto contro il disagio
Le democrazie industriali hanno scoperto le conseguenze politiche delle diseguaglianze con l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, il successo del referendum su Brexit in Gran Bretagna, il risultato delle politiche in Italia nel marzo scorso e la rivolta dei Gilet Gialli in Francia ma nonostante tali e tanti sconvolgimenti manca ancora una risposta al disagio della classe media. I dati raccolti dalle società di analisi sulla crescita del malessere delle famiglie sono inequivocabili: negli Stati Uniti oltre il 70 per cento dei nuclei con redditi medio bassi nell’ultimo anno sono stati investiti, secondo un’indagine pubblicata dal “New York Times”, da problemi con la giustizia - dagli sfratti alle cause per licenziamento - così come in Italia oltre mezzo milione di persone sono in condizioni tali, attesta la Fondazione banco farmaceutico, da non potersi neanche permettere i medicinali più banali come un’aspirina o un antidolorifico.
Le difficoltà dei più disagiati non solo aumentano sul fronte economico ma hanno conseguenze tali, sulla giustizia come sulla sanità, da determinare situazioni di emergenza sociale. La cui dinamica di sviluppa in maniera indipendente dalle situazioni di crescita economica - è il caso degli Stati Uniti - oppure aggrava le condizioni determinate da stagnazione o recessione, come in Italia.
Da qui la legittima domanda se gli Stati nazionali oggi sono in grado, con le risorse di cui dispongono, di far fronte al ciclone delle diseguaglianze oppure se hanno bisogno di coinvolgere altri attori.
Tre eventi avvenuti nelle ultime settimane lasciano intendere quale potrebbe essere la risposta. Prima a Versailles, in occasione dell’incontro fra industriali italiani e francesi, più voci hanno sottolineato l’impellenza di migliorare la formazione delle nuove generazioni per affrontare le rapide trasformazioni dell’economia. Poi a Milano, durante un seminario della Fondazione Segre, più top manager di aziende private hanno sottolineato l’esigenza di coordinare gli sforzi con i governi nazionali per riqualificare gli scartati dal mercato del lavoro, sviluppare piani di recupero sociale per i disagiati e sfruttare al meglio l’impatto delle nuove tecnologie. E infine alla Business School di Cuoa, ad Altavilla Vicentina, imprenditori e accademici hanno condiviso un incontro-laboratorio incentrato sulla necessità di un nuovo patto sociale fra aziende e Stati nazionali per battere le diseguaglianze. Parola più, parola meno è quanto il politologo americano Francis Fukuyama ha dichiarato durante la sua recente tappa a Torino «governi e aziende devono unire le forze per proteggere la classe media dal disagio». Ovvero, il ciclone delle diseguaglianze investe il ceto medio delle democrazie industriali - pari alla maggioranza degli abitanti - e per essere affrontato e sconfitto ha bisogno di un’ampia convergenza fra Stati e imprese tesa a creare formazione, innovazione e lavoro sfidando i tabù di un sistema economico ancora imprigionato dalle regole del Novecento e dunque incapace di perseguire una ricetta di giustizia economica che, per definizione, non può essere realizzata solo tenendo presenti i parametri del pil. Quando nel 1968 Robert Kennedy contestò al pil l’incapacità di «assicurare ai singoli la felicità» individuò la debolezza strategica delle democrazie industriali nel non considerare gli stati d’animo come fattori economici. È arrivato il momento per raccogliere quella sfida individuando nelle imprese il partner sociale di valore strategico per ogni governo democratico al fine di migliorare la qualità della vita dei cittadini. È un orizzonte ambizioso ma non impossibile da raggiungere perché quanto sta avvenendo sul fronte del rispetto per l’ambiente e lo sviluppo delle energie rinnovabili dimostra che sono possibili accordi molto efficaci fra amministrazioni cittadine, aziende private e ong accomunate dalla volontà di difendere il clima. Se è possibile siglare tali intese sulla qualità dell’aria da respirare lo si può fare anche sul altri fronti strategici per la vita degli abitanti. La sfida alle diseguaglianze può essere vinta solo se le risorse degli Stati e quelle dei privati daranno vita ad un network comune di investimenti e iniziative mirate a proteggere i cittadini.