La Lettura, 31 marzo 2019
Il cervello dei cinesi funziona diversamente
La ricerca tenta di stabilire da tempo quanto la nostra formazione, la nostra appartenenza all’una o all’altra cultura, il nostro ambiente, determinino una differenza nel funzionamento del nostro cervello. Le risposte non sono univoche, tra chi interpreta l’attività del cervello come una Tabula rasa del tutto modellabile dal mondo esterno (così si intitolava nel 2002 un saggio di Steven Pinker, psicologo di Harvard) o se esistano atteggiamenti preculturali innati. Insomma, se le proprietà del cervello umano siano il risultato di un’evoluzione biologica, il frutto dell’esperienza oppure il risultato di una coevoluzione tra identità culturale e biologia.
Il tema è molto vasto e dibattuto (tanto che un convegno in programma a Firenze dal 4 al 6 aprile – organizzato da Intercultura – si intitola Tabula rasa? con il punto interrogativo), ma all’interno dei diversi filoni di studio, più di una certezza scientifica è stata raggiunta. La cultura ci modifica, e un cervello biculturale sembra addirittura in grado di mutare percorso neurale «switchando», spostandosi cioè tra le due culture, come spiega Hong Ying-yi, docente alla Hong Kong University che da tempo porta avanti un programma di ricerche interdisciplinari in cui confluiscono psicologia sociale, neuroscienze e genetica. E che ha sperimentato in prima persona l’appartenenza a due culture, dal momento che è cresciuta a Hong Kong e ha insegnato negli Stati Uniti.
«Sia la struttura – spiega Hong – sia la funzione del cervello umano nel corso del suo sviluppo sono modellati dall’ambiente. L’ambiente sociale a sua volta è modellato dalla cultura. La cultura è creata e modellata dagli esseri umani. Viste queste premesse, l’interazione e la “mutua costituzione” tra forze culturali e neurali danno origine a diversi modelli di cognizione e comportamento. Nel caso di Oriente e Occidente, le differenze possono verificarsi in termini di diversi modelli comportamentali osservabili modulati da una sottostante diversa attivazione neurale. Ad esempio, nella mia ricerca ho confrontato le attivazioni neurali di cinesi e bianchi americani durante la visione di immagini che mostravano un oggetto centrale (ad esempio, un aereo) rispetto a uno sfondo (l’aereo in volo tra le montagne). Precedenti ricerche di Richard Nisbett e colleghi avevano mostrato che gli americani bianchi concentrano gli sguardi più sull’oggetto rispetto ai soggetti cinesi, che tendono a diffondere lo sguardo anche sullo sfondo».
E nel suo studio, cos’ha scoperto?
«Nella mia ricerca, ho trovato una diversa attivazione neurale nell’area del complesso occipitale laterale del cervello (area fondamentale per il riconoscimento degli oggetti), che sta alla base di questa differenza comportamentale tra partecipanti cinesi e americani. Un altro esempio: risolvere i problemi aritmetici di base attiva le aree cerebrali di Broca e di Wernicke, che sono anche coinvolte nell’elaborazione del linguaggio. Nel 2006, Tang Yi-yuan e colleghi hanno messo a confronto soggetti madrelingua cinesi e inglesi e hanno fatto loro risolvere lo stesso insieme di semplici problemi matematici. Hanno scoperto che in chi era madrelingua cinese non c’era solo una minore attivazione in queste aree del linguaggio di quanto non accadesse tra gli anglofoni ma anche maggiore attivazione nelle aree della corteccia premotoria associate al movimento».
Quindi, due percorsi neurali diversi per risolvere un unico problema matematico?
«L’origine di questa differenza potrebbe essere dovuta alla maggior concentrazione della lingua cinese sulle immagini e sulla scrittura, in contrasto con la maggior focalizzazione dell’inglese sul suono. Le aree associate a visione e movimento potrebbero essere più utili per accedere alle regole per risolvere un problema matematico per chi parla cinese, mentre le aree legate all’elaborazione linguistica e all’informazione verbale potrebbero essere più coinvolte per la soluzione dello stesso problema da parte degli anglofoni. Cinesi e americani arrivano alla stessa conclusione, ad esempio che uno più uno fa due ma i percorsi neurali che compiono per arrivarci sembrano diversi. Detto questo, ci sono due punti da sottolineare: primo, non ci sono prove di differenze strutturali nel cervello tra Oriente e Occidente. I nostri cervelli non sono diversi. Secondo, le differenze comportamentali e neurali osservate sono dovute a differenti pratiche culturali (linguaggio, valori, norme sociali) e quindi possono cambiare con nuove pratiche culturali. Il che può accadere a causa di mutamenti generali o quando le persone acquisiscono abitudini diverse, con la vita e lo studio all’interno di una nuova cultura».
Oggi si parla di società multiculturale. Ma esiste un riscontro scientifico? Esiste un «pensiero multiculturale»?
«Nella mia ricerca sul “cambio di cornice culturale” (nell’articolo Multicultural Minds apparso su “Science Watch”), ho mostrato che le persone possono acquisire entrambi i sistemi culturali, dell’Oriente e dell’Occidente, e possono anche “navigare” tra i due sistemi. Il processo segue tre principi di acquisizione della conoscenza: disponibilità, accessibilità e applicabilità. Quando gli individui sono esposti a entrambe le culture, orientale e occidentale, possono acquisire entrambi i sistemi di conoscenza (strutture); di conseguenza, entrambe le strutture sono disponibili nel loro repertorio cognitivo. Nei diversi contesti (ad esempio, in un ambiente sociale occidentale), i segnali nell’ambiente “innescano” e aumentano l’accessibilità cognitiva del corrispondente sistema di conoscenza (portandolo “in cima alla mente”). La conoscenza culturale accessibile sarà usata nell’ambiente se è applicabile in quel momento. Questo “cambio di cornice” può anche cambiare l’attivazione neurale».
Cioè non si cambia solo in apparenza: lo «switch» è addirittura neurale?
«Studiosi come Joan Chiao e colleghi hanno “innescato” individui biculturali asiatici-americani, cioè con entrambi i sistemi di conoscenza, con diversi stimoli: i soggetti hanno mostrato un’attivazione neurale culturalmente tipica in funzione dei diversi stimoli ricevuti. Cioè, le influenze culturali sulle funzioni neurali sono dinamiche e specifiche per il contesto. Ciò dimostra anche che il nostro cervello è altamente malleabile».