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 2019  marzo 31 Domenica calendario

Da Lady Gaga a Eminem, il lato oscuro del successo

C’è qualcosa che, di nascosto, viaggia assieme alla valanga di cuoricini, a tutti quei pollici alzati, alle migliaia di commenti e di emoticon che a cascata si leggono sui social network, sotto ogni foto di ogni personaggio famoso. Qualcosa che, in modo un po’ subdolo, si insinua anche tra gli applausi, tra le urla di delirio, tra le richieste di vedere di più, sempre di più, un personaggio. Questa fame bulimica di qualcuno da parte di un ampio pubblico è, infondo, il successo. Ma quello che si sta capendo con sempre maggiore chiarezza è quanto il successo sia, anche, una malattia. 
Perché una star all’apice della sua carriera come Justin Bieber, seguito in tutto il mondo, a 25 anni, da poco sposato con una modella apparentemente innamoratissima, dice di sentirsi infelice e di aver bisogno di una pausa? Perché la pausa che gli serve è dal successo. La stessa voluta da una sua quasi coetanea, Cara Delevingne, 26 anni, che quando era la top model più richiesta tra tutte, ha detto stop e si è ritirata, rinunciando a contratti, copertine, sfilate. «All’inizio non puoi rifiutare nulla, pose sexy comprese. Mi sentivo vuota. Giovanissima, ma già vecchia. Sono arrivata a odiare il mio corpo», aveva dichiarato. 
Ma come? Hanno tutto e sono depressi. Questa la considerazione più facile e approssimativa che spesso si fa quando senti di gente come loro, o Britney Spears, Eminem, Lady Gaga, adorate da milioni di fan fin da giovanissime eppure dichiaratamente infelici, anche in momenti in cui il lavoro era al massimo. Gaga – che per stare meglio si era allontanata dalle scene per tre anni —, aveva poi spiegato: «Avevo bisogno di una pausa per stabilizzarmi. Non ricordo niente di quando la mia carriera è decollata, è come se fossi stata traumatizzata. Mi serviva tempo per ricalibrare la mia anima». Anche Liam Payne, in vetta al mondo con gli One Direction, ha conosciuto la depressione: «Non avrei dovuto fare così tanti concerti», ha ammesso. Riflessioni condivise da una star di casa nostra, Ambra Angiolini, che pure è arrivata al successo giovanissima: «A 14 anni, quando i miei coetanei andavano a scuola e alle feste, io avevo a che fare con contratti, avvocati, regole da rispettare. Una vita infernale». 
Eppure, secondo il professor Vittorino Andreoli, proprio questa presa di coscienza è «la salvezza. È la terapia. La maggior parte dei personaggi noti non riesce a dare una rappresentazione della crisi che si crea quando realizzi che il successo impone una ripetizione continua di certi comportamenti che piacciono a chi lo decreta, quindi agli altri». 
Secondo il professore, il successo «è sempre una malattia, che ha sintomi, tra cui il pensiero fisso al doverlo mantenere; perché sempre più il successo si misura. E se quindi si scopre che un certo comportamento piace, bisogna ripeterlo, ritrovandosi dipendenti dagli altri, schiavizzati. È come se una persona si svuotasse di ciò che è per diventare quello che gli altri vogliono sia». Jim Carrey, attore tra i più pagati negli anni ’90, lo ha spiegato: «Jim Carrey era anche un personaggio che interpretavo. Perché pensavo di creare una persona che piacesse alla gente e che non avesse preoccupazioni». Un’idea che lo aveva portato alla depressione, fino a quando ha abbandonato «quell’avatar che ero diventato». 
Riprende Andreoli: «C’è una differenza tra essere e sembrare e questo induce una autentica scissione nella persona che non sa più trovare un’identità. È un massacro – pagato, perché in ballo ci sono i soldi —, della propria personalità. Questa è la malattia da successo». Che non va confuso con la fama: «Il primo è sempre al presente, la fama riguarda quello che si è conquistato con le proprie capacità: a stabilirla è la storia, non la massa. Per ottenerla, spesso, serve fermarsi. E, anziché ripetersi, crescere».