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 2019  marzo 31 Domenica calendario

Intervista a Rita Dalla Chiesa

La primavera romana filtra dalle finestre dell’ultimo piano e illumina una casa tutta rossa: il divano, i cuscini, le poltrone, i tappeti, le lampade, le tende. Un micromondo vermiglio che sembra fatto apposta per far risaltare i capelli biondi della padrona di casa. La quale, in jeans e maglione, se ne sta accoccolata sul divano con un cuscino stretto al petto.
Rita, è curiosa questa immagine di lei aggrappata a un cuscino in una casa così dolce, calda, colorata. Come se volesse difendersi.
«Sono cresciuta senza una casa davvero mia. L’infanzia e l’adolescenza le ho passate traslocando da un appartamento all’altro con la famiglia. Adesso io la mia casa me la tengo stretta, letteralmente. E la voglio simile a me».
Colorata?
«Vivace. Piena delle mie cose. Dei ricordi, delle fotografie che raccontano la mia vita. È come se sentissi il bisogno di segnare il territorio, quasi avessi paura di dover andare via».
Fotografie sul tavolinetto basso del soggiorno. Foto alle pareti, sul trumeau dell’ingresso. Quelle in bianco e nero, quelle dai colori seppiati e quindi (più recenti) quelle dai colori vivi. C’è una bellissima ragazza bionda, Giulia, che Rita dalla Chiesa ha avuto dal primo marito, Roberto Cirese. C’è Thomas, il cagnolino che gli affezionati di «Forum» hanno imparato a conoscere in ogni vezzo. E poi, in un angolo, ce n’è una così bella che invita a fermarsi, a guardarla da vicino, a coglierne i dettagli.
Qui lei, giovanissima, balla con suo padre, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Lui è altero ma ironico, in divisa. Pare rilassato.
«Non ricordo l’anno di questa immagine, ma ricordo la sua stretta salda. Papà non mi ha mai mostrato la sua pistola d’ordinanza in tutta la sua vita, eppure ancora oggi è l’uomo più forte che abbia mai conosciuto».
La sua autobiografia in uscita per Mondadori è un racconto che passa per lo sguardo di suo padre. Come se lei gli chiedesse di accompagnarla per chiarire certi nodi. È così?
«È inevitabile: la vita accanto a lui e l’episodio della sua morte hanno segnato il mio destino. Le mie scelte, forse i miei errori».
Cominciamo dalle case d’altri?
«Sì, quelle che eravamo costretti ad abitare “a tempo”, spostandoci ogni volta, anche a distanza di qualche mese. Una volta era un casermone di campagna dove io, Nando e Simona (i fratelli, ndr) potevamo andare in bici per gli enormi corridoi; qualche volta erano bilocali striminziti dove dovevamo dormire tutti assieme. Mamma era diventata bravissima ad accorciare e ad allungare le tende».
Certo, perché suo padre ha combattuto due grandi battaglie italiane: contro le Brigate Rosse prima e contro la mafia poi.
«E io sono cresciuta in caserma, con le abitudini dei carabinieri, con i loro valori».

È per questo che lei oggi è di destra?
«Non è corretto. Io sostengo alcuni valori che sono ascrivibili alla destra, come l’amor patrio. E porto avanti alcune battaglie che sono tipicamente di sinistra, come quella contro la caccia. Però della destra non tollero alcune chiusure sui diritti civili. E l’ho detto chiaro e tondo. Prendendomi anche gli insulti di Forza Nuova e di una parte di Fratelli d’Italia».
Quando Giorgia Meloni le chiese di candidarsi a sindaco di Roma?
«Le dissi di no, pur rispettandola come persona e come politico. Ma ho detto spesso no alla politica, che mi corteggia da tempo».
Per esempio?
«Be’, di recente ho detto no ancora una volta a Berlusconi, che mi voleva in campo per le Europee. Ho rifiutato l’invito di un uomo che stimo molto e al quale devo tutto. Pur precisando che alle sue aziende anche io ho dato tanto».
Però un giorno, di punto in bianco, le hanno detto che «Forum» non si faceva più.
«Dopo trent’anni a Mediaset quella cancellazione annunciata fu un colpo durissimo per me. Era il 2013, una giornata nella quale dovevo registrare ventotto telepromozioni, tanto per dare l’idea della popolarità della trasmissione e di tutta la pubblicità che arrivava. Intere generazioni di avvocati erano cresciute a pane e Forum, lo share era alle stelle. “Perché la chiudono?” mi chiedevo. La risposta era semplice: il mezzogiorno serviva a qualcun altro. Allora me ne andai da Mediaset. Senza chiedere spiegazioni ma anche senza che nessuno si facesse avanti per propormi qualcosa d’altro».
Poi la trasmissione ripartì, con Palombelli.
«Sa che non ne ho mai visto nemmeno una puntata? Anzi, se per caso facendo zapping mi imbatto nel nuovo “Forum” cambio canale».
Addirittura?
«E non è per la conduttrice, anzi, chapeau a Barbara che è una grande giornalista. Ma quella è una ferita aperta per me. Sa che cosa mi manca più di tutto? La gente che, al mercato, mi chiede: “Signora Rita com’è andata a finire poi con quella causa?”. La verità è che alla gente piace vedere due persone che si contendono qualcosa, veder litigare. Le nostre controversie però erano tutte rigorosamente vere».
Non è che ha fatto con «Forum» quello che ha fatto con la sua casa, cioè se l’è cucito addosso, sempre per quella atavica paura del trasloco, della perdita del territorio?
«È vero, me lo ero cucito addosso come un abito sartoriale. Quella trasmissione era cresciuta con me, era cambiata insieme a me e alla straordinaria squadra di autori. Faccio sempre così, anche in amore: ho bisogno di legami fortissimi, non tollero i tradimenti».
Eppure, come lei racconta nel libro, la sua famiglia a volte è stata tradita, a cominciare dallo stesso generale dalla Chiesa. Parliamo della casa di Prata, vicino ad Avellino?
«Due giorni dopo l’assassinio di papà per mano della mafia, nel 1982, la casa che era dei miei nonni materni è stata devastata. Hanno rubato oggetti e documenti da quello che mio padre aveva adibito a studio. Ci hanno lasciato solo due civette morte. Quella era la casa nella quale, durante la guerra, papà e mamma si incontravano di nascosto. Mamma era sfollata e lui non resisteva senza la sua Doretta».
A tradirvi di certo non fu Giovanni Falcone.
«Ho la certezza che lui, anche quando si trasferì a Roma, ha continuato fino alla fine la sua ricerca della verità. Qualche giorno dopo l’attentato in cui morì papà, mi ricevette a Palermo, nel suo studio, per verificare alcuni dettagli dei diari del generale. Mi chiese se volevo un caffè. Entrò un appuntato con un vassoio: sopra c’erano dieci tazzine, ma in quella stanza eravamo solo io e il giudice! Guardai Falcone con aria interrogativa e lui scosse la testa: “Non si sa mai”, disse scegliendo una tazzina a caso. Chissà quante volte ne ha preso una sperando che dentro ci fosse il caffè e nient’altro».
La sua posizione e soprattutto quella di suo fratello Nando (che a questa causa ha dedicato una vita) sono chiare da sempre: suo padre a volte è stato osteggiato. Quali politici invece rimasero accanto alla sua famiglia?
«Per esempio Achille Occhetto, persona splendida. Oppure Luigi Colajanni, anche lui del Pci. Ma ricordo benissimo l’affetto disinteressato e la vicinanza concreta di Bettino Craxi. Qualche giorno dopo mi chiamò e mi disse che di nascosto sarebbe andato a portare dei fiori sulla tomba del generale, a Parma. Non voleva giornalisti al seguito, voleva solo sapere se avevo voglia di accompagnarlo».
E lei, Rita? Da chi si è sentita tradita?
«Non di certo dalla gente comune, che ancora oggi mi ferma per strada e mi dice: “Signora, non la abbraccio perché lei fa la televisione, ma la fermo perché lei è la figlia del generale”. Non di certo mi sono sentita tradita dagli amici di sempre. Mi sentii tradita in qualche modo da chi stava al Comando generale in quel momento, che non provvide a farmi avvisare di quello che era successo a Palermo, e nemmeno a trovarmi un aereo quella notte per farmi arrivare in Sicilia il prima possibile, insieme ai tanti giornalisti che partivano».
Una vita da persona fedele. Ha avuto più di un amore, certo, però da tutti ha preteso lealtà. Colpisce il legame con Bruno Lauzi.
«Mi dedicò la canzone Ti ruberò che avevo appena diciotto anni. Il brano poi venne inserito nella colonna sonora del film “La grande bellezza”. Peccato che lui non c’era già più. Con lui non c’è mai stato nemmeno un bacio, ma forse qualcosa di più complesso. Di testa».
Di che cosa si pente, oggi? 
«Forse di alcuni gesti impulsivi. Per esempio quando lasciai Mediaset accettai la proposta di La7 per pensare a una nuova trasmissione. Le prime idee non ci convincevano e allora Urbano Cairo mi propose di fermarmi qualche mese per riflettere. Ma io non ero abituata a stare in panchina, non ce la facevo! E così me ne andai. Oggi, se potessi, lo ringrazierei e mi fermerei per pensare a qualcosa di adatto». 
Che cosa ha imparato dagli anni?
«A essere paziente, stare da sola, non prendere troppe pillole per dormire. Ad aver bisogno dei miei amici di sempre: Mara Venier più di tutti. Ma nella mia vita hanno avuto un peso anche altri, come Massimo Ranieri. Senza contare Paola, amica del cuore, quasi una sorella».
Si è accorta che siamo arrivati al termine senza parlare di Fabrizio Frizzi?
«La nostra storia è stata di dominio pubblico, non c’è nulla da aggiungere, se non che mi dispiace che ogni volta che ne parlo, io assomigli a una che continua a pretendere un posto che oggi è di un’altra. Io e Carlotta (Mantovan, ultima moglie di Frizzi ndr) ci sentiamo spesso, con lei c’è un rapporto bello. Vorrei ricordare Fabrizio con la stessa limpidezza che ha rischiarato il nostro legame».