Il Sole 24 Ore, 30 marzo 2019
Il grande sogno: debito dimezzato senza sommerso
Eliminare del tutto l’evasione è pressoché impossibile. Ma anche recuperarne solo una minima parte sarebbe già un gran bel passo avanti per le casse pubbliche, e quindi per la collettività. Studi recenti da parte dell’Osservatorio sui conti pubblici guidato da Carlo Cottarelli hanno messo in evidenza un dato paradossale: se dal 1980 l’Italia avesse ridotto l’evasione di circa un ottavo rispetto a quella effettiva, il debito pubblico sarebbe non più alto del 70% del Pil, ovvero oltre il 60% in meno rispetto al 132% attuale.
In media, per il triennio 2013-2015, le mancate entrate per lo Stato sono state pari a circa 108,9 miliardi di euro, di cui 97,8 miliardi relativi a tasse non pagate e 11,1 miliardi relativi a mancati contributi. Tra il 2014 e il 2016 la situazione è lievemente migliorata, visto che i mancati tributi passano da circa 95,5 miliardi nel 2014 a circa 90 miliardi nel 2016. L’imposta più evasa rimane l’Iva, con un valore pari a 35,6 miliardi di euro mentre segnali confortanti arrivano dal canone Rai, il cui pagamento, essendo stato addebitato sulla bolletta elettrica, ha registrato una drastica riduzione del tasso di evasione (dal 36,6% al 9,9%). Alcune stime condotte dall’Osservatorio Cpi segnalano che l’evasione totale per il 2014 potrebbe essere pari ad almeno 130 miliardi (8 per cento del Pil).
Val la pena chiedersi cosa si potrebbe fare con queste risorse perse. E come questi introiti mancati potrebbero essere utilizzati. Di certo le maggiori entrate aiuterebbero a ridurre lo stock di debito. Ma il beneficio vero ci sarebbe come detto sul rapporto debito/Pil. Mantenendo fermi gli altri parametri macroeconomici, entrate aggiuntive pari a un punto percentuale di Pil all’anno a partire dal 1980 avrebbero fatto scendere il rapporto a fine 2017 intorno al 70 per cento, contro un valore stimato del 132 per cento circa, come detto. Questo è il frutto di due elementi: da una parte, più entrate per lo Stato farebbero aumentare l’avanzo primario, ovvero la forbice tra le entrate e le spese pubbliche al netto degli interessi. Dall’altra parte, la minore accumulazione di debito avrebbe comportato una minore spesa per interessi sul debito. Facendo un semplice calcolo, ipotizzando oggi un costo del debito residuo pari al 2% circa, il risparmio annuo sarebbe di circa 2 miliardi.
Non solo. Con un minore fardello di debito sulle spalle, l’Italia sarebbe con tutta probabilità anche meno soggetta alle vendite speculative da parte dei grandi investitori internazionali: secondo i calcoli dell’Osservatorio Cpi, l’Italia nel 1992 si sarebbe ritrovata con un debito di circa l’82% sul Pil (contro il 101% effettivo), mentre nel 2008 avrebbe avuto un debito attorno al 60 per cento, circa il 6 per cento più basso di un paese come la Francia.