Tuttolibri, 30 marzo 2019
Tra i porno alla scoperta del padre
Kentucky orientale, Stati Uniti profondi, qualche anno fa. È in corso una cerimonia funebre, molto americana. Chi interviene ricorda il defunto. Le orazioni che si susseguono recitano più o meno così: «Uno come lui non si incontrava tutti i giorni». «Era un personaggio». «Era un personaggio». «Una volta è stato gentile con me». «Andy non andava d’accordo con molte persone, ma a me è sempre piaciuto». E ancora, «Era un personaggio». Il defunto, «Andy», è Andrew Jefferson Offutt, autore di svariati romanzi da collocare in una serie parecchio più indietro rispetto alla lettera B dell’alfabeto; libri perlopiù pornografici, con occasionali sortite nella fantascienza e nel fantasy.
Al di là di questa attività, del resto perfettamente rispettabile, è proprio vero: Andy Offutt era un personaggio, un uomo in cui confluivano una severa educazione – figlia della Grande Depressione – una spiccata tendenza alla scrittura e ossessioni di varia natura. Per quanto godesse di una certa popolarità nel mondo sotterraneo della narrativa di genere, tuttavia, difficilmente avremmo conosciuto le sue imprese, non fosse per una particolare circostanza: il primogenito di Andrew, Chris, è diventato a sua volta uno scrittore, un apprezzato autore di racconti. Un militante, lui sì, della letteratura delle buone riviste e dei premi più illustri. E così, alla morte del padre – nel 2013, in seguito a una cirrosi epatica dovuta all’eccessivo consumo di alcol, per tutta la vita – Chris Offutt capisce che è il momento di fare i conti con una figura per cui la definizione di «ingombrante» sarebbe riduttiva. Lo fa alla maniera di uno scrittore dal talento brillante, di scuola carveriana ma con un tocco riconoscibile – meno spietato di Carver; una narrazione, la sua, più rallentata, diluita – nel memoir Mio padre, il pornografo, uscito per minimum fax nella traduzione di Roberto Serrai.
A partire dall’enorme archivio lasciatogli in eredità, Chris Offutt si trasforma lentamente in un filologo dell’opera del padre, un compito che svolge con rigore («All’inizio pensavo di essere una specie di archivista, ma quando l’ambito del mio lavoro si allargò, diventai un vero e proprio burocrate del porno»), mosso da compassione e vecchi nodi irrisolti, che hanno su di lui implicazioni inevitabili. Dagli scatoloni invasi dalla polvere e stracolmi di appunti, romanzi e disegni, affiorano versioni di Andy che per Chris non sono affatto semplici da gestire. In controluce, Offutt può rileggere la storia di quell’uomo e della sua famiglia, instaurando una dialettica messa giù in un modo schietto, senza contorcersi, per così dire, sul lettino dello psicanalista («A un certo punto ho capito che stavo cercando qualcosa, ma non sapevo che cosa. Più cercavo, più scoprivo somiglianze tra mio padre e me, un risultato che mi lasciava sgomento»); piuttosto raccontando una storia, la storia di suo padre, meravigliando – o sconcertando – noi lettori esattamente nello stesso momento in cui accade a lui.
È il figlio a raccontare che Andy, a trentasei anni, con un lavoro ben avviato e una famiglia da mantenere, decide di mollare l’impiego da assicuratore per diventare uno scrittore professionista. La casa, un’abitazione isolata nel ventre della provincia, circondata dai boschi, diventa il suo studio, ed è lì, rinchiudendosi in se stesso, che produce una quantità sterminata di opere, allontanandosi di pari passo dai suoi doveri di padre e marito. Di romanzi, Andy ne scrisse a decine, affinando man mano una tecnica di scrittura da autentico stacanovista («A Ford servivano sei ore e una squadra di operai per assemblare una Model T. Da solo, papà riusciva a scrivere un libro in tre giorni»), intrattenendo rapporti epistolari con i suoi lettori, una comunità di fan che trovavano nelle torbide storie di Andy Offutt – o meglio, di uno dei diciassette pseudonimi che utilizzava – la rappresentazione di fantasie ora soltanto sconce, ora inconfessabili.
Mio padre, il pornografo
, è un contenitore ricco, da scoprire pagina dopo pagina, proprio come gli scatoloni di Andy. È anche il racconto di quell’America underground della narrativa di genere e delle convention di fan; e un manuale di scrittura, volendo. È accusa e tenerezza. Come quando Chris Offutt scrive, di suo padre, questo: «Il senso che papà aveva di sé era enorme, ma fragile: sembrava fatto di carta e bambù, come un aquilone. Un filo molto esile lo legava a terra, e la minima brezza poteva farlo volare via».