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Il gatto è sopravvissuto — alla grande — in tangenziale e ora imbocca l’autostrada: Paola Cortellesi è pronta per il suo acrobatico assolo in Ma cosa ci dice il cervello in cui interpreta un’impiegata ministeriale e madre separata che in realtà è un agente segreto impegnato in missioni internazionali, una Mrs Smith che, come Angelina Jolie, mena e seduce, come Daniel Craig spara, come Jennifer Garner si camuffa e come Tom Cruise si lancia dal tetto. Ma la vera missione impossibile, oggi, è porre rimedio ai piccoli soprusi, alle violenze e alla maleducazione che avvelenano la quotidianità italiana e la nostra si concederà una vendetta privata in soccorso dei vecchi compagni di classe.
Quella che arriva in sala il 18 aprile (per Wildside e Vision) è una commedia atipica, cucita su misura sul talento poliedrico dell’unica attrice da grande incasso, dal biglietto d’oro vinto nel 2016 da Come un gatto in tangenziale, all’impennata di La Befana vien di notte all’ultimo Natale. A far da rete c’è una squadra di ottimi attori e soprattutto la regia di Riccardo Milani, uno dei pochi autori che trova il posto dell’anima (sociale) nella commedia popolare, al sesto film insieme alla moglie Paola Cortellesi.
Milani, da dove siete partiti per il film?
«Dalla mia vita di tutti i giorni, quando esco di casa mi imbatto nelle piccole grandi cattive abitudini che mi cambiano lo stato d’animo. Prepotenze sui mezzi pubblici, telefoni a voce alta, spintoni per entrare mentre stai uscendo, macchine parcheggiate in terza fila, pedoni fuori dalle strisce, sorpassi a destra col motorino. Infrangere le leggi è un motivo di orgoglio, rivincita. Cerchi di reagire, ma dall’altra parte c’è un muro di indifferenza. E rischi anche una reazione violenta. I fatti di cronaca ci parlano ogni giorno di professori picchiati da alunni e genitori, medici aggrediti dai parenti. La nostra protagonista attraverso l’incontro con gli ex compagni di classe scopre che l’idealismo di un tempo si è spento nella frustrazione quotidiana. Così si scuote dal torpore e decide di intervenire».
Sarà un vendetta privata.
«Sì, Stefano Fresi è un insegnante di liceo scientifico preso a calci da un alunno diciottenne, Vinicio Marchioni viene preso a testate da Ricky Memphis, padre di un piccolo calciatore che invade il campo, Paola Minaccioni se la prende con la pediatra della figlia, Alessandro Roja è un manager che insolentisce l’hostess Claudia Pandolfi. Grazie alle sue fonti da servizi segreti, quindici travestimenti, compreso un sassofonista maschio, e l’aiuto dell’ex marito pilota Giampaolo Morelli, l’agente scoprirà i punti deboli e colpirà i piccoli vessatori».
Questo è il sesto film insieme a sua moglie Paola Cortellesi.
«Siamo una coppia capace di separare set e famiglia. Quando lavoriamo siamo una squadra, due maschi e due femmine, con gli sceneggiatori Furio Andreotti e Giulia Calenda. Ovviamente Paola si appassiona di più ai personaggi, questa volta ne fa quindici, e io mi occupo più della struttura».
A chi vi siete ispirati per il personaggio principale?
«Abbiamo pescato nella realtà, alle persone che lavorano nei servizi di sicurezza nazionale. Affrontano problemi enormi e lo fanno in silenzio, nascoste sotto vite normali. L’invisibilità è il loro compito, la non notizia è la loro vittoria, vuol dire che la sicurezza ha funzionato. Paola si è addestrata per tre mesi con esperti a sparare, saltare, combattere. Siamo stati a Mosca, a Marrakesh, nel deserto marocchino, a Siviglia abbiamo girato con un toro da seicento chili che si è innervosito in un inseguimento contro Fresi e Paola».
La missione del film è far ridere.
«Sì. Gli scontri tra vessatori e vessati sono totalmente in chiave comica, ma non farsesca».
Quanto la commedia deve sforzarsi di raccontare il presente e quali sono le strade per raggiungere il pubblico?
«Cerco da sempre di avere attenzione per il mio Paese e la commedia credo faccia un errore nel momento in cui se ne scolla. Tanti film oggi cercano di farlo, da quelli di Zalone — che spesso sono atti di accusa verso chi lo va a vedere — all’ultimo di Aldo Baglio. Non vogliamo dare lezioni di etica, vogliamo raccontare il paese in modo semplice, popolare. Riflettere sul fatto che se c’è un generale scollamento tra il paese reale e le istituzioni questo nasce soprattutto dai nostri comportamenti. È un tema presente nei miei film, da Benvenuto presidente! a Scusate se esisto, a Come un gatto… c’è una propensione a scaricare sulle istituzioni e la responsabilità di come vanno le cose. Che, invece, vanno in questo modo perché noi siamo così. La commedia non risolve i problemi, ma accende una briciola di attenzione anche nel pubblico il più largo possibile. Il regalo più bello che mi ha fatto Come un gatto in tangenziale è stato arrivare a due pubblici molto diversi, quello di Bastoggi e quello di Capalbio».
Cosa pensa dei David appena consegnati?
«Che c’erano film bellissimi premiati e candidati: penso a due esordi straordinari come La terra dell’abbastanza e Hotel Gagarin. Sono felice per Dogman e per un film di impegno civile come Sulla mia pelle».
I titoli dei suoi film sono ormai un marchio. Questo da dove arriva?
«Nasce quando la sera torno dopo aver vissuto episodi come quelli che racconto nel film. Un modo di dire che usava molto mia nonna, mi sembrava un modo intimo e affettuoso per riassumere la riflessione che si fa su questo Paese in questo momento».