il Fatto Quotidiano, 29 marzo 2019
Intervista a Coez
Una cerniera. Coez – nome d’arte di Silvano Albanese – è oggi l’unico artista capace di far dialogare due generazioni attraverso un ponte immaginario tra i cosiddetti artisti di Spotify e quelli dei canali tradizionali. Galeotto fu il singolo La musica non c’è – ma ci sono alle spalle quattro album e tanta gavetta –, con una frase entrata di diritto nell’immaginario collettivo, «Ho una scuola di danza nello stomaco». È bello il nuovo album in uscita oggi, alza ulteriormente l’asticella dell’artista verso il pop senza rinnegare il percorso da rapper. Il segreto principale è l’onestà di ciò che racconta, lo sguardo tipico dei bambini e la semplicità di descrivere gesti magari poco eroici ma sinceri.
Nell’album colpisce “Domenica”, con un omaggio alle sonorità anni 80. Azzardiamo, sarà tormentone dell’estate, è d’accordo?
«Il brano è nato tre mesi dopo Faccio un casino, è come se proseguisse l’onda. È il pezzo più partecipato del mio collaboratore Niccolò Contessa, io ho portato il mio mondo di Vasco e anche Una domenica bestiale di Fabio Concato e lui quello di Battisti».
“Vorrei fosse domenica, tu con i piedi sul cruscotto, io il braccio che penzola, l’orologio sotto il sole che scotta”. La sentiranno tutti come uno spaccato dei propri ricordi, è quello il goal per lei?
«Ho iniziato emulando i rapper americani, adesso mi viene di parlare di cose più accessibili a tutti. Verso i 26 anni ho voluto iniziare a scrivere vere canzoni, metabolizzando ciò che ho imparato dal rap. Per canzoni rap universali intendo Quelli che ben pensano di Frankie Hi-Nrg e Aspettando il sole di Neffa. E, più recentemente, Stavo pensando a te di Fabri Fibra».
Lei è restio a fare i featuring nei suoi dischi.
«Preferisco cantare io. Ho partecipato a un brano di Gemitaiz e in uno di Madman oltre a Sparare alla luna di Salmo. È stata Netflix a chiederci un brano insieme: ce l’avevamo nel cassetto, perché durante la registrazione di Hellvisback avevo proposto a Salmo di fare una canzone insieme, ma per vari motivi non entrò nel suo album».
Con Salmo la accomuna lo stesso rigore stilistico.
«È un amico. Per certi versi siamo agli opposti eppure simili. Nessuno dei due è cambiato per il successo: continuiamo a fare le cose che ci piacciono, non è che edulcoriamo i brani per farci passare dalle radio».
“E tu che abbassi gli occhi quando dico che sei sempre più bella” (“È sempre bello”), “Mi sento vivo soltanto quando intorno a me c’è tanto rumore” (Aeroplani”). Il suo stile ricorda l’intimismo di Samuele Bersani, le frasi taglienti di Daniele Silvestri e le visioni di Vasco Brondi. Lei racconta i sentimenti senza dover per forza passare per vincente.
«È vero, ad esempio in La tua canzone canto “Amare me è difficile come amare chi va via”, riferendomi a chi ci lascia definitivamente. Sono immagini nate da sensazioni, provo sempre a metterle in una frase. Trovo molto romantico dire “Amare te è facile come odiare la polizia”».
Questo le procurerà i bacini del ministro Salvini, ne è consapevole?
«E va be’ (ride, ndr). Eppure la trovo una frase romantica. Sovversivo col sorriso».
Lei in “Catene” canta “Mi colpisce tutto quest’odio, giuro non vi fa bene”.
«Non so bene se tutto questo è stato generato dai social o i social hanno fatto da cassa di risonanza del malcontento. Io ad esempio non sono onnipresente, non posto il pezzo di carne che sto per mangiare, mi stressa. Uno dei periodi più belli della mia vita è stato quando ho smarrito lo smartphone dentro un taxi in Thailandia. Per quasi venti giorni ho vissuto senza essere connesso, una liberazione!».