Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  marzo 29 Venerdì calendario

Le mamme russe volano in Florida per partorire

Basta mettere piede in uno dei supermercati Publix sparsi per Miami per capire che oltre allo spagnolo dei latinos la lingua più usata in questo momento è nientemeno che il russo. E a parlarlo, tra uno scaffale e l’altro, sono ogni giorno centinaia di mamme incinte o con passeggini al seguito e figli russi di elezione ma statunitensi a tutti gli effetti. Un turismo delle nascite che sta mutando lo scenario demografico della città e magari presto di tutti gli Stati Uniti. Succede, infatti, che sempre più donne russe scelgano di venire a partorire negli Stati Uniti dove, a differenza dell’Italia, vige la legge dello ius soli per dare la cittadinanza ai figli e poi, al compimento dei 18 anni, prenderla loro assieme ai mariti. Un turismo mordi e fuggi: si viene a partorire, si rimane una media di 3 mesi e poi si torna a casa con in tasca un nuovo passaporto per i neonati. 
«Il baby boom russo è esploso adesso, ma è cominciato da almeno 10 anni», racconta a Il Giornale Rodrigo, concierge nicaraguense di un hotel di Sunny Isles Beach, uno dei comuni-quartieri più giovani di Miami. Fondato nel 1997 con grattacieli avveniristici e lussuosissimi, si è trasformato in pochissimo tempo nella meta prediletta dall’oligarchia di Putin, proprio per far nascere i propri figli. A 12 miglia da Ocean Drive dove Gianni Versace scelse di vivere e trovò la morte – in questi due km quadrati di spiagge mozzafiato vivono in 22mila. Moltissimi sono russi. Sunny Isles, gemellata con la nostra Taormina e l’uruguayana Punta del Este, è stata ribattezzata così «Little Moscow», la piccola Mosca. Nel 2000 risiedevano qui più di 2000 russi ma, da allora, il numero «è almeno raddoppiato», conferma Rodrigo.
Del resto, già nel 2012 Dmitry Sudakov sulla Pravda scriveva: «Offri a tuo figlio il miglior regalo di tutta la sua vita: la cittadinanza statunitense. Uno slogan rafforzatosi nel tempo con il quale le agenzie moscovite vendono oggi più che mai il servizio di accompagnamento per partorire – in modo legale e sicuro – ai tanti russi che intraprendono questa strada». All’epoca il costo dell’intera operazione era di «25mila dollari, cesareo incluso, anche se a volte si può arrivare a 50mila». Da allora il fenomeno non ha fatto che crescere ma non i prezzi delle agenzie che, per un «tutto incluso», che comprende documenti di viaggio, la procedura di visto, le sistemazioni e le degenze ospedaliere a Miami, continua a costare «tra i 20 ed i 50mila dollari», come ha riportato il Miami Herald, sottolineando come la città sia scelta dalle mamme russe non solo «per il clima temperato anche d’inverno» ma anche «per motivi linguistici».
«L’ideale è non arrivare negli Usa oltre la 34esima settimana di gravidanza», consigliano le agenzie che stanno facendo soldi a palate visto che «su ogni volo per Miami da Mosca c’è almeno una donna incinta», spiega Konstantin Lubnevskiy, proprietario dell’agenzia Miami-mama, il cui logo è la sagoma di una donna incinta di fronte a una bandiera statunitense. «Su alcuni ce ne sono più di cinque ma quello che stanno facendo è perfettamente legale». 
Verissimo, anche se di sicuro il business è enorme visto che, rispetto ai costi americani, molti russi fanno nascere i loro figli a Miami pagando un’assicurazione medica di appena 3mila dollari. Il fenomeno ha assunto dimensioni allarmanti anche per il fisco. Ogni mese, infatti, nascono un centinaio di bebè russi solo in Florida mentre per l’ex astronauta e sino al 3 gennaio scorso senatore democratico, Bill Nelson, questo boom di turismo delle nascite rappresenta «una violazione della sicurezza dei confini statunitensi oltre che un abuso per chi paga le tasse negli Usa»».
Per non dire del presidente Donald Trump, secondo il quale il 14mo emendamento della Costituzione americana che garantisce l’immediata cittadinanza a chiunque nasca sul suolo statunitense deve essere cambiato o, per lo meno, aggiornato. E così mentre in Italia si discute se introdurre o meno lo ius soli, per Trump «la cittadinanza per nascita costa agli Stati Uniti miliardi di dollari, è molto ingiusto per i nostri cittadini e, in un modo o nell’altro, lo eliminerò». Un tweet, questo, dell’ottobre scorso che – al di là delle reali possibilità di modificare la Carta – si riferirebbe non solo agli immigrati clandestini ma proprio anche a chi, con il «turismo delle nascite», oramai da oltre un decennio paga migliaia di dollari solo per mettere un piede negli Stati Uniti. Dalla Russia ma anche dalla Cina e dalla Nigeria. 
A favorire il primo boom del turismo delle nascite è stata la crisi del subprime del 2008, quando il crollo dei prezzi dell’immobiliare statunitense aprì una finestra di opportunità per chi, da tutto il mondo, voleva comprare appartamenti negli Stati Uniti a prezzi molto convenienti. Numeri alla mano, il «birth tourism» da allora, è letteralmente esploso. E sebbene ci siano stati da allora numerosi casi di arresti di operatori di queste agenzie per frodi sui visti o evasione fiscale, secondo le stime più recenti del Centro per gli studi sull’immigrazione, «sono circa 36.000 le donne nate all’estero che hanno partorito negli Stati Uniti, per poi lasciare il Paese».