Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  marzo 29 Venerdì calendario

Luigi Zanda: «Finanziare i partiti? Lo dice la Costituzione non cedo all’antipolitica»

Luigi Enrico Zanda Loy, senatore, è nato a Cagliari.
La proposta di Luigi Zanda di equiparare gli stipendi dei parlamentari italiani a quelli degli eurodeputati scatena la reazione dei 5 stelle. Di Maio attacca: «Il Pd è falce e cachemere». Il capogruppo 5S Patuanelli chiede il ritiro del ddl. E anche Nicola Zingaretti frena: «È un’iniziativa personale non un’idea del Pd». Senatore Zanda, da tesoriere del Pd senza tesoro è diventato il tesoriere degli autogol? «Per me la battaglia a favore del Parlamento non sarà mai un autogol. Amo le sue prerogative, il suo prestigio e finché sto qua lo difenderò sempre». Ha cominciato proponendo il ritorno del finanziamento pubblico dei partiti. Le sembra il momento giusto? «È un disegno di legge presentato molto prima di accettare l’incarico nel nuovo Pd. E sono colpito dai giudizi di chi non ha letto non dico il testo ma nemmeno la copertina». In quel testo si parla di soldi. «La proposta è per l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione attesa da 70 anni e che non si riesce ad attuare. Non ci si riesce perché chiede che i partiti vengano organizzati con metodo democratico ed è il vero punto debole dei 5 stelle che dall’orecchio della democrazia non ci sentono.Allora attaccano il finanziamento, un rimborso spese di 18 milioni l’anno per le necessità non della politica ma della democrazia». Se non è zuppa è pan bagnato. «No. La democrazia è il vero tema. La lotta è tra chi vuole il Parlamento e chi lo vuole abbattere. Da un lato c’è la democrazia rappresentativa, dall’altro la democrazia diretta agli ordini della Casaleggio. Per me la questione centrale, il dibattito su un pericolo reale. Penso a come abbiamo approvato la Finanziaria senza alcuna possibilità di discuterla, al referendum propositivo, al taglio dei vitalizi anche a ex deputati più che 90enni, al taglio delle indennità che non ha altro obiettivo che rendere i rappresentanti sempre più asserviti alle lobby finanziarie». Siamo arrivati all’altro autogol. Lei propone di aumentare lo stipendio dei parlamentari equiparandolo ai deputati europei. Momento sbagliatissimo, non trova? «In Italia si vota ogni momento quindi il momento è sempre sbagliato perché diventa materia di campagna elettorale. La polemica è pretestuosa…». Ma se anche il Pd l’ha scaricata. E Cacciari l’ha definita una follia. «Zingaretti ha detto la verità. Il Pd non ha una posizione su questo argomento. Ma ha anche detto che quando il Parlamento lo riterrà opportuno il partito parteciperà al dibattito sul finanziamento. Di Cacciari dico che è così intelligente che non posso replicare». E le consiglia di fare il tesoriere stando zitto. «Non ho acceso io questa polemica. Ma ciò non significa perdere la libertà di pensiero e di parola». I parlamentari italiani devono guadagnare di più? «Secondo i miei calcoli la nostra indennità è superiore a quella europea. Quindi con il mio disegno di legge lo stipendio verrebbe ridotto. Ma quello che mi interessa non è il quantum bensì il metodo: attribuire al Parlamento europeo le decisioni sulle indennità dei parlamentari italiani ed eliminare zone opache. I 5 stelle mistificano e dicono il falso. Li capisco. Sono terrorizzati, sentono sul collo le fauci di Salvini e ogni argomento gli sembra buono per darsi un tono politico». Un giorno le sue proposte diventeranno quelle del Pd? «Non sono affezionato ai miei progetti. So che il Partito democratico ha a cuore due cose: come rafforzare la democrazia rappresentativa e il Parlamento e come affrontare in modo serio il tema dei costi della democrazia che è ben diverso dall’arricchimento dei professionisti di questo sport». Il paradosso è che lei ha votato l’abolizione del finanziamento pubblico 6 anni fa. «Ero capogruppo, ho votato sentendo il peso dell’antipolitica. Ora direi che potevamo fare diversamente e quella decisione ci deve insegnare che non può essere l’antipolitica a dominare il nostro lavoro». Altro autogol grave che le imputa Renzi: la gestione dello ius soli. L’ex segretario accusa lei e il governo di aver gestito «in maniera masochistica» la mancata fiducia. «Quel provvedimento era difficile da far passare per l’opposizione di Alfano e degli altoatesini. Non c’erano i numeri. Infatti il testo già approvato alla Camera arrivò al Senato nell’ottobre del 2015. Renzi è stato premier e segretario fino al dicembre del 2016 e non ha mai messo la fiducia sullo ius soli». Questo è un colpo basso. «No, tutt’altro. Penso che sia Renzi che Gentiloni abbiano fatto bene a non mettere la fiducia. Sarebbe stata la fine del governo e della legislatura. E lo ius soli sarebbe stato bocciato». Renzi sostiene che per i diritti si può anche rischiare la crisi e che comunque Alfano avrebbe votato a favore. «Sono come San Tommaso. Due giorni fa ho chiamato Alfano per chiedergli cosa avrebbe fatto davvero. Potevo ricordare male. Mi ha confermato quello che sapevo: il suo gruppo non avrebbe mai dato il voto allo ius soli. Da ottobre 2015 a febbraio 2018, sia con l’esecutivo Renzi sia con quello Gentiloni, avevamo la certezza di non avere i numeri e quindi non abbiamo rischiato di far bocciare la legge».