29 marzo 2019
Tags : Attilio Fontana
Biografia di Attilio Fontana
Attilio Fontana, nato a Varese il 28 marzo 1952 (67 anni). Politico (Lega). Presidente della Regione Lombardia (dal 26 marzo 2018). Già sindaco di Varese (2006-2016), presidente del Consiglio regionale della Lombardia (2000-2006), sindaco di Induno Olona (1995-1999). Avvocato penalista. «Sono leghista da prima che nascesse la Lega» • «Papà medico e mamma dentista, Fontana da figlio unico scelse invece la carriera da avvocato. Tra i successi professionali, da ricordare la vittoria contro Michele Santoro per “diffamazione a mezzo televisivo” per le falsità attribuite all’associazione vicina alla Lega “Terra Insubre” a Varese» (Andrea Senesi). «È vero che nel suo studio si facevano le fotocopie agli albori della Lega Nord? “È una leggenda metropolitana. Ma è vero invece che c’ero fin dagli albori del movimento perché io sono stato il primo difensore della Lega, prima ancora che nascesse la Lega”. In che senso? “Nel senso che c’era una associazione culturale che si chiamava Scedno. Società cooperativa editoriale del Nord-Ovest. Era una associazione culturale che editava un giornalino. Io ero amico di Maroni, per cui quando avevano delle grane con i padroni di casa magari si rivolgevano a me. Tanto è vero che Bossi mi fece la prima proposta di candidatura nel 1987, quando lui venne eletto al Senato”» (Fabio Massa). «Nel 1987 Bossi mi chiese di candidarmi, ma rinunciai. Poi nel ’92 Maroni mi chiese di fare l’assessore, ma la mia risposta arrivò troppo tardi. Finché nel 1995 venni presentato a Induno e diventai sindaco». Nel 2000 l’ingresso nel Consiglio regionale lombardo, di cui fu eletto presidente. «Nel 2006, quando era presidente del Consiglio regionale della Lombardia, al suo secondo mandato, Fontana era impegnato a portare a termine un compito che considerava storico. La riscrittura dello Statuto della Regione. Ci era quasi, aveva messo tutti d’accordo. Ma un suo compagno di partito, Ettore Albertoni, era destinato a concludere quella storia. Perché nel frattempo a Varese, la sua città e soprattutto la città natale della Lega, il sindaco Aldo Fumagalli, un fedelissimo di Bossi, finì sotto inchiesta per un scandalo “rosa”. La roccaforte era in pericolo: lo stesso Bossi insieme a Maroni chiese a Fontana il grande sacrificio. Lasciare la Regione, lasciare Milano per tornare a casa e garantire la riconquista del Comune commissariato. Si trattava di un profilo giusto, per la Lega, ma anche di un volto rassicurante per la città: Fontana è un avvocato molto conosciuto a Varese, uno di quelli che contano a prescindere dall’incarico politico. […] Fontana è rimasto dunque per dieci anni un sindaco pragmatico. E lontano dal folklore dei sindaci-sceriffo. Se si voleva cercare una città leghista senza ordinanze shock e senza strisce pedonali verdi bastava andare a Varese, dove tutto era cominciato. Dove esiste ancora la primissima sede aperta da Bossi negli anni Ottanta, prima del trasferimento a Milano di tutto il potere del partito. Una Lega che lì è stata quasi democristiana. Questo non ha impedito però a Fontana di entrare in rotta di collisione, su alcuni temi trasversali, coi vertici della Lega. Non solo il sindaco non è mai entrato nel “cerchio magico” bossiano, ma, quando il governo di Berlusconi-Tremonti ha iniziato la pratica dei tagli lineari ai Comuni, lo ha contestato. Anche nei panni di presidente lombardo dell’Anci, in cui è stato apprezzato non solo dai colleghi di centrodestra. Memorabile, in questo frangente, uno scontro con l’allora ministro Roberto Calderoli» (Alessandro Franzi). «Nel 2011 l’Anci critica la manovra Tremonti per l’Imu e per le tasse locali: i sindaci organizzano una protesta a cui Fontana aderisce, e la Lega lo induce prima alla retromarcia poi alle dimissioni dall’associazione. “Mi sono trovato mio malgrado di fronte a un bivio”, ammise lui, che quella volta scelse la fedeltà al partito. La ribellione gli valse comunque l’ostilità di Umberto Bossi e del suo cerchio magico (ma non quella del suo antico mentore Maroni)» (Senesi). «Dieci anni dopo il ritorno a Varese, Fontana ha lasciato la città senza eredi. La Lega nel 2016 ha perso dopo ventitré anni la guida del Comune, passata al Pd Davide Galimberti. Fontana si è eclissato. Maroniano per amicizia e consuetudine, non è mai stato particolarmente salviniano. Anzi, con il giovane e arrembante segretario della Lega i rapporti non sarebbero stati buoni sin dall’inizio. Troppo distanti, i due, per temperamento, anagrafe e approccio alla politica. Ma un anno e mezzo dopo è stato Salvini a doversi avvalere delle doti di Fontana come uomo che arriva a risolvere i problemi» (Franzi). Quando, infatti, nel gennaio 2018 Roberto Maroni annunciò di non volersi ricandidare «per motivi personali» alla presidenza della Regione Lombardia, il governatore e il segretario federale fecero immediatamente il nome di Fontana quale successore designato, riuscendo a farlo rapidamente approvare anche dagli alleati del centrodestra. «L’ex sindaco di Varese […] mai si sarebbe immaginato di essere il candidato del centro-destra tutto, Parisi e centristi compresi, per la Regione Lombardia. E però, era già pronto, con tutte le credenziali in ordine: […] la barba fatta come piace al Cavaliere, la Cinquecento da campagna elettorale, in stile Meloni, e la Russia e Putin, così cari a Salvini: Fontana era pronto per l’uso fin da prima del primo giorno. […] “Anche se io non immaginavo nulla, da un anno e mezzo ero tornato a lavorare nel mio studio legale e a vivere la Lega solo come militante. Pensavo che al massimo mi avrebbero candidato in Senato. Invece il 28 dicembre mi telefona Salvini: ti devo parlare, però a voce. Io ero in vacanza a San Pietroburgo, la città di Putin. Torno e, ai primi di gennaio, la notizia: Bobo non si ricandida, in Lombardia tocca a te”, sentenzia il segretario. […] “Ho smesso di fare il sindaco più di un anno fa [nel 2016 – ndr] e poco dopo mi sono tagliato la barba perché mia figlia minore diceva che stavo male. Solo che poi non mi ha più fotografato nessuno: così il taglio è parso fatto apposta per la candidatura, ma non è così”» (Pietro Senaldi). Grande rumore, pochi giorni dopo l’ufficializzazione della sua candidatura, per una frase da lui pronunciata durante un intervento a Radio Padania Libera, a proposito di immigrazione: «Noi non possiamo accettarli tutti. Perché se dovessimo accettarli tutti vorrebbe dire che non ci saremmo più noi come realtà sociale, come realtà etnica. Perché loro sono molti più di noi, perché loro sono molto più determinati di noi nell’occupare questo territorio. […] Dobbiamo decidere se la nostra etnia, se la nostra razza bianca, se la nostra società deve continuare a esistere o se la nostra società dev’essere cancellata». Poco dopo lo stesso Fontana definì tali parole «un lapsus, un errore espressivo», ma fu comunque da più parti (a cominciare dal suo principale avversario, il democratico Giorgio Gori) imputato di razzismo, senza tuttavia perdere il sostegno del centrodestra. «“È stata un’espressione infelice, ma ascoltando tutta la frase si capiva che il mio non era un discorso razzista ma logico. Tant’è che, dopo, nei sondaggi sono salito, e più di una persona mi ha fermato per strada per spronarmi ad andare avanti e non mollare. La gente è stanca del politically correct e di sentirsi dire come deve parlare e pensare dai soliti benpensanti che credono di essere i soli a conoscere la verità e ciò che è giusto o sbagliato nel mondo”. Come la riformulerebbe oggi? “Userei l’espressione ‘popolo italiano’ al posto della parola ‘razza’. Ma guardi che quello scivolone ha fatto sì che il mio ragionamento venisse compreso immediatamente da tutti. E poi, c’è da ammettere che ha risolto in un secondo il problema di farmi conoscere”. L’ha fatto apposta, ammetta. “Non ho uno staff della comunicazione tanto diabolico da inventarsi una cosa simile. E poi la gente lo sa: non sono razzista e non mi sarei mai fatto volontariamente pubblicità in questo modo”» (Senaldi). «Quella frase è stata un errore. Non la ripeterei nemmeno per diventare presidente della Repubblica» (ad Alberto Mattioli). Il 4 marzo 2018, la sua vittoria fu più ampia del previsto: Fontana fu infatti eletto presidente della Regione Lombardia con il 49,75% dei consensi, distaccando di oltre venti punti percentuali Gori, fermo al 29,09%. Da allora s’è sempre dimostrato leale nei confronti del segretario Salvini, pur non mancando di incalzare l’esecutivo in merito alle istanze più care alla sua base elettorale. «Il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, è uomo prudente, non ama le polemiche, dal giorno in cui è arrivato alla guida della Lombardia […] ha scelto di seguire con distacco la traiettoria del governo, ma da qualche mese a questa parte ha iniziato a registrare sul sismografo della regione alcuni segnali preoccupanti relativi al futuro dell’Italia. Lo scorso 18 ottobre, il presidente di Assolombarda Carlo Bonomi ha usato parole toste nei confronti del governo del cambiamento e ha rimproverato Luigi Di Maio e Matteo Salvini per aver prodotto una manovra non “da Paese responsabile”, carica di “paternalismo” e finalizzata non al vero cambiamento ma a un semplice “dividendo elettorale”. Fontana ha ascoltato con interesse e attenzione le argomentazioni di Bonomi e […] riconosce che le imprese hanno buone ragioni oggi per essere preoccupate. […] “Mi sento vicino a chi protesta contro l’Italia che dice ‘no’ e condivido le ragioni di chi chiede di investire nell’alta velocità e di non bloccare l’Italia. Il governo va nella giusta direzione quando chiede all’Europa di non bloccare lo sviluppo dell’Italia ma non va nella giusta direzione, e crea perplessità, quando non ha la forza di sbloccare le grandi opere pubbliche. E lo stesso ragionamento, se mi è concesso, andrebbe fatto quando si parla di reddito di cittadinanza. Io sono convinto che vada aiutato chi è senza lavoro, e ci mancherebbe, ma penso anche che il modo giusto per aiutare le persone in difficoltà sia aiutare chi può creare lavoro, e dunque le imprese. Chi crea lavoro aiuta il Paese e aiuta la nostra economia, e non aiutare chi crea lavoro significa non aiutare il nostro Paese”. […] “Sulle tasse non si scherza: per sbloccare l’Italia è necessario far scendere le tasse”. […] Chiediamo a Fontana: quali sono i provvedimenti sui quali si testerà la forza e il destino di questo governo? “Il primo tema – dice Fontana – è la riforma della sicurezza. […] Il secondo tema è, come abbiamo detto, tutelare gli imprenditori e far ripartire gli investimenti. Il terzo tema è l’autonomia, e dato che sull’autonomia si basa il futuro del Paese possiamo dire anche che su questo tema si capirà che destino avrà il governo”» (Claudio Cerasa). Nel febbraio 2019, Fontana «ha lanciato la sua lista Lombardia Ideale. Che è […] un classico esempio di lista civetta e di lista Caronte. La Lega non è certo in crisi di consensi, ma una lista del governatore, stimato, pragmatico, potrebbe raccogliere i consensi di un’area più moderata, che faticherebbe a sostenere Salvini. E potrebbe attrarre i tanti amministratori e politici locali scontenti di Forza Italia che, non potendo trovare posto sul Carroccio (dove non hanno bisogno di assalti al treno), potrebbero però fare campagna per i candidati del governatore. Sta di fatto che l’operazione avviata da Fontana, e benedetta dal suo partito, sta macinando consensi con la possibilità di diventare la scialuppa di salvataggio per i naufraghi del centrodestra» (Daniele Bonecchi) • Da ultimo, nel marzo 2019, Fontana si è strenuamente opposto all’ingresso di soci sauditi all’interno del consiglio di amministrazione del Teatro alla Scala di Milano, nonostante i lauti investimenti previsti. «Non credo che si debbano accettare contributi a qualunque costo. Il problema non sono i soci privati. […] Il problema è che nel cda della Scala, un simbolo della nostra cultura, non ci sono mai stati stranieri, tranne gli ultimi due sovrintendenti. Poi io non escludo affatto che possano essere i sauditi. Dico soltanto: prima di un passo del genere, pensiamoci bene. Si può fare, magari. Ma non così, con un colpo di mano» • Sposato con Roberta Dini, tre figli (Maria Cristina, Giovanni, Marzia). «Lei, Roberta, ha un curriculum di tutto rispetto: arriva dalla famiglia che ha fondato Paul & Shark a Varese nel 1975, marchio conosciuto in tutto il mondo. Una storia di famiglia che parte molto prima, negli anni Venti, grazie a Gian Ludovico Dini, che con la società Dama spa produceva tutto, dal filato alle scatole utilizzate per confezionare i capi, destinati anche alla moda internazionale grazie a collaborazioni prestigiose con Christian Dior e Balenciaga. Roberta Dini Fontana, molto semplice, di classe, mocassini e maglione, è nipote del famoso architetto Claudio Dini e cugina di Francesco, noto manager. Ora in azienda (che esporta il 90% all’estero) c’è la terza generazione ma non più Roberta, liquidata anni fa» (Paola Bulbarelli) • «È cattolico? “Per metà. Perché per l’altra metà sono laico…”» (Massa) • «Discreto golfista» (Senesi) • Milanista • Grande tifoso della Pallacanestro Varese • Innamorato della Russia. «È un luogo del cuore per me. Nel 2003 ci andai come presidente del Consiglio regionale. Dovevo solo fare un intervento, poi ho visto Putin e ho attraversato tutto il salone per stringergli la mano. Lui non sapeva chi fossi. Mentre correvo verso di lui pensavo: speriamo che un cecchino non mi faccia secco. Però l’obiettivo era troppo ghiotto, e ho rischiato» • Storico il rapporto con Roberto Maroni. «“Prima della politica viene un’amicizia che dura da quarant’anni. Con Roberto ho litigato una volta sola”. Racconti. “Sul campo di calcio. Eravamo nella stessa squadra, e lui, che faceva il terzino, fluidificava troppo. Insomma, in difesa non c’era mai”. Ma lei era l’allenatore? “No, ero l’altro terzino, e per colpa sua dovevo correre come un matto per coprire gli spazi”» (Mattioli). «Se devo trovargli una descrizione, dico che è stato il miglior gestore della cosa pubblica: da governatore, da ministro. È stato il più bravo di tutti» • «È uno di quei varesini tranquilli, Attilio Fontana. […] Voce mai alta, marcato accento lumbard, un sorriso che si apre spesso e volentieri su un volto altrimenti serio» (Massa). «È stato soprannominato il sindaco in Porsche, per la sua abitudine, nei dieci anni alla guida del Comune di Varese, di arrivare al lavoro con la sua Carrera blu. Ma, anche, il leghista presentabile, quello più di governo che di lotta, apprezzato presidente dei sindaci dell’Anci lombarda» (Oriana Liso). «È il volto pragmatico che cerca una soluzione e sa trattare con alleati e avversari. […] Moderato ma con un background di destra, molto vicino all’associazione Terra Insubre» (Franzi). «Antesignano delle convergenze lombarde in Russia, ha sempre camminato in equilibrio tra il leghismo “barbaro” e quello “di palazzo”» (Lorenzo Bagnoli). «“Francamente preferisco essere considerato un rozzo leghista, piuttosto che uno spocchioso intellettuale”, diceva qualche anno fa di sé. Eppure Attilio Fontana del “rozzo leghista” ha davvero poco. Lui che del Carroccio lombardo è da vent’anni uno dei volti moderati e istituzionali. Il sindaco avvocato, una specie di Giuliano Pisapia di provincia e di centrodestra» (Senesi) • «Noi abbiamo a cuore l’Europa. Noi non vogliamo sfasciare l’Europa: la vogliamo riformare, la vogliamo cambiare. E poi, se mi consentite, io non mi sento meno sovranista di Macron. Io penso che sia dovere di un buon politico fare gli interessi del suo Paese. Se lo fa Macron, applausi. Se lo fa la Lega, fischi. Mettiamoci d’accordo, no? […] Io non ho mai creduto alla possibilità e alla necessità di uscire dall’euro. L’uscita dall’euro è sempre stata un’arma tattica per poter negoziare con l’Europa e per provare a modificare la realtà dell’Unione» • «Che soluzioni suggerisce per l’ immigrazione? “Non sta a me trovare soluzioni nazionali. Dal mio osservatorio lombardo, però, posso dire che l’ integrazione è impossibile se, come avveniva con la sinistra al governo, accogli tutti, li mantieni per due anni e poi dici loro di abbandonare il Paese. Questa gente resterà sempre ai margini della società, dedita alla criminalità”. […] “Sono i profeti dell’ accoglienza indiscriminata quelli che in realtà puntano alla pancia della gente. Uno si sente in colpa a negare gli ingressi: anche a me non piace farlo. Serve coraggio per dire ‘non venire, non ti posso aiutare’. Ma è pure una forma di rispetto nei confronti dei migranti: sempre meglio che illuderli e poi trattarli da animali quando arrivano. Quello, sì, è razzismo, anche se chi lo pratica si sente la coscienza a posto”» (Senaldi). «Lei cosa pensa dell’islam? “È poco compatibile con i valori occidentali. La jihad è insita nella struttura della religione, e non lo affermo io, rozzo leghista: l’ha scritto pure Micromega, la rivista degli intellettuali di sinistra. E poi anche l’integrazione mi pare una chimera: in Inghilterra gli attentati li fanno i ragazzi della terza generazione, con l’auto regalata dal papà nel garage e la musica occidentale nelle cuffie”» (Senaldi) • «Ero convinto che sarei stato tutta la vita in minoranza: ricordo ancora che mio padre festeggiava quando il Partito liberale prendeva l’ 1,8%. Oggi quando cammino mi dà una grande soddisfazione pensare che una persona su tre che incontro vota come me. Sbircio i sondaggi e tocco ferro». «Ho un unico merito: quello di essere estremamente determinato».