29 marzo 2019
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Biografia di Fabrizio Corona
Fabrizio Corona (Fabrizio Maria C.), nato a Catania il 29 marzo 1974 (45 anni). Imprenditore. Fondatore, nel 2001, dell’agenzia fotografica Corona’s (fallita nel 2008) e, nel 2007, dell’impresa di organizzazione di eventi Fenice. «La mia genialità, non la lascio in eredità a nessuno. Idem la mia bellezza e il mio cervello, che andrebbe clonato e studiato» • Estrazione borghese: il padre era il giornalista Vittorio Corona (1947-2007), a propria volta fratello del giornalista e conduttore Puccio Corona (1942-2013). «Gabriella Previtera, mia madre, viene da una famiglia di avvocati. Nella casa a Catania al primo piano c’era l’ufficio legale dove noi bambini entravamo di nascosto. Alle pareti i quadri degli avi, i nostri fantasmi. […] A vent’anni mamma si sposa con papà e dedica la vita alla famiglia. […] Vittorio Corona è figlio di Aurelio Corona, capocronista del quotidiano La Sicilia e nipote di Gaetano Emanuel Calì, compositore siciliano la cui statua campeggia a Villa Bellini, a Catania. […] La statua nel parco rappresentava prima di tutto una responsabilità. Ciascuno di noi aveva il dovere di mantenere alto il buon nome della famiglia. Mio nonno lo aveva fatto: ora toccava a mio padre (dopo, molto dopo, sarebbe toccato a noi). Mio padre inizia la sua carriera di giornalista presso La Sicilia occupandosi di cronaca nera. Intelligente, coraggioso, grande intuito, dicono di lui i colleghi di allora. A vent’anni sposa mia madre Gabriella, […] da cui ha tre figli: Francesco, me e Federico. Viviamo a Catania, dove cresciamo e andiamo a scuola. L’estate, la trascorriamo ad Aci Trezza, paese natale di mio padre. Nel 1981 va a lavorare alla Telecolor, emittente privata, che abbandona non appena scopre che il proprietario è colluso con la mafia. Amareggiato, capisce che non è possibile combatterla sul campo. Decide allora di andare a Milano. […] Negli anni Ottanta mio padre fonda Moda, la rivista che nel giro di breve s’impone come la più importante del settore negli anni in cui Milano diventa capitale della moda. […] Il successo della rivista è tale che la Rai decide di dedicarle anche un programma: stessi temi, stesso nome. Vittorio Corona è l’uomo del momento, il Re Mida dei giornali, tanto che nel 1988 gli chiedono di fondare un’altra rivista: King, l’equivalente maschile di Moda. Questo per avere un’idea di chi sia Vittorio Corona in quel periodo. Uno che s’inventa un impero che durerà vent’anni». Ha raccontato la madre: «Era un bambino perfetto: dolce, ubbidiente, generoso, servizievole. E mammone! A scuola non era particolarmente brillante. Ma diligente e rispettoso, sì. Tranne l’ultimo anno di liceo, allo scientifico privato Oppenheimer di Milano. Arrivò impreparato alla maturità: era stato lavativo tutto l’anno. All’esame si mise pure a fare lo strafottente, e lo bocciarono. Ma prima di quell’episodio non ha mai fatto l’esibizionista o il bullo, come oggi vorrebbe apparire». Diplomatosi l’anno successivo, tentò dapprima la carriera da calciatore nel ruolo di portiere, per poi reinventarsi modello, con ambizioni da giornalista presto scemate («Si guadagna troppo poco»). «Fu […] il padre, inventore dei fotomontaggi di politici su La Voce, a presentargli il fotoeditor di Chi, che gli fece conoscere Lele Mora, l’agente (allora) di Simona Ventura, Elenoire Casalegno, Alberto Castagna, Natalia Estrada (era una specie di Olimpo degli dèi); fu lui a cercare di farlo interessare a qualcosa, ad aiutarlo come farebbe qualsiasi padre, proponendogli il mondo vipparolo che lui stesso conosceva» (Annalena Benini). «Per lavorare in un settore cinico come il nostro ha indossato la maschera da "duro". E, ora che ha scoperto che piace, ci marcia. Ma chi come me l’ha conosciuto quando aveva 23 anni vede ancora uno dei tanti ragazzi della moda che folleggiavano negli anni Novanta nelle discoteche di Milano. Voleva fare il giornalista, come suo padre. Era sveglio, lo presi come assistente. Ma voleva guadagnare di più, così fondò l’agenzia fotografica» (Lele Mora). «“Ho sempre detto a mia madre: ‘Sarò uno che a 30 anni avrà un sacco di soldi’”. […] “Nell’agenzia di Lele Mora c’era un buco di una parte fotografica e giornalistica”, e per riempirlo Corona propone due nuove strutture: una per “le foto ai cento artisti” della Lm, l’altra che gestisca “le ragazze belle, carine, giovani, che partivano dal basso”. Mora declina, ma invita Fabrizio a fare da solo, assicurando la propria collaborazione. Nasce la Corona’s: “La prima ragazza fu Elena Santarelli”, che cominciò con L’eredità alla Rai “quando ancora non aveva il seno”: “l’ho messa in televisione, l’ho fatta lavorare”. Oltre a gestire i servizi fotografici “posati”, quelli concordati e studiati, avvia gli uffici stampa che comprano la pubblicità per conto delle ditte. […] Per l’ingaggio dei testimonial Corona prendeva una percentuale dalla ditta, un’altra andava a Mora, il resto al personaggio. È a questo punto che nasce il “reparto paparazzate”. “Se io andavo a fare un servizio alla Colombari […] per la copertina di Max, servizio posato, mandavo un paparazzo che poi dopo la seguiva, magari faceva foto al parco col bambino, le vendevamo al giornale, con una differenza: si guadagnava molto, ma molto di più, perché non avevi il costo del trucco, parrucco, styling, robe varie, e potevi fare anche 50 servizi al giorno”. Una catena di montaggio che tutto sfrutta e trasforma in denaro. “Tra il 2003 e il 2006, c’è un cambiamento totale nel mondo della televisione e nel mondo dei giovani”. Nascono le vallette, le veline, le letterine, i personaggi dei reality, che non sanno fare niente ma “sono conosciuti dalla massa”. I settimanali bramano i pettegolezzi su costoro» (Giuseppe Guastella e Biagio Marsiglia). Il 13 marzo 2007 Corona fu arrestato per la prima volta, nell’ambito della clamorosa inchiesta detta Vallettopoli e condotta, a favor di riflettori, dall’allora pubblico ministero di Potenza Henry John Woodcock. «Prostituzione, ricatti, soldi, sesso, vite rovinate. È uno spaccato di cinismo e perdizione, quello che si ricava dall’indagine svolta a Potenza dal pm Henry John Woodkock. Un frullato di debolezze umane in cui si muovono gli squali del gossip. […] Secondo il gip potentino, Alberto Iannuzzi, che ha disposto le misure cautelari, […] dietro la già poco rispettabile insegna dell’agenzia Corona’s agiva un’associazione a delinquere per lo sfruttamento della prostituzione che spesso debordava in estorsioni e in riciclaggio. Estorsioni: alcune solo tentate e molte riuscite. I nomi sono illustri. Gente a cui faceva male finire sui giornali scandalistici. E dunque si tentò di vendere ai vertici Fiat a carissimo prezzo (duecentomila euro) un’intervista che si minacciava devastante del transessuale che ospitò Lapo Elkann: la Fiat rifiutò il ricatto e Corona ripiegò sul settimanale Chi. Silvio Berlusconi, attraverso la sua fidata manager Miti Simonetto, ritirò invece dal mercato per ventimila euro alcune fotografie imbarazzanti di sua figlia Barbara “pizzicata” fuori da una discoteca milanese. Lele Mora ci pensò lui, a recuperare certe foto del leghista Roberto Maroni (“Le voglio in mano io, quelle lì”). Ci furono “compravendite” di servizi fotografici per il campione di motociclismo Marco Melandri, come per Francesco Totti, Alberto Gilardino, Trezeguet, Adriano, Francesco Coco. Tutti sportivi che si trovavano in passaggi difficili per la carriera o per la loro vita privata. Un momento di debolezza, ed ecco che piombava Fabrizio Corona e i fotografi della sua scuderia a immortalare e poi mercanteggiare» (Francesco Grignetti). Assegnato agli arresti domiciliari dopo circa due mesi e mezzo di carcere, Corona si scoprì dipendente dall’improvvisa notorietà, e da allora fece di tutto per non uscire mai dal cono di luce, come egli stesso non esitò ad ammettere. «“Tutto questo è sbagliato. Non si può diventare famosi perché sei stato in carcere. Nella vita in fondo cosa ho fatto? Nulla. Solo che quando sono uscito di prigione, al posto di starmene zitto, mi sono messo a urlare. Il picco di popolarità l’ho avuto lanciando le mutande dal balcone. Non posso andarne fiero. Ma così alimento un business”. Perché tanto successo? “Non c’è nulla che piaccia di più della ribellione. Sono diventato come i personaggi dello spettacolo che prima aiutavo a emergere con le foto sui giornali. Ora il personaggio sono io. E so cosa devo fare”» (Giovanni Audiffredi). Poco dopo, pubblicò presso Cairo editore un volumetto di memorie carcerarie dal tragicomico titolo La mia prigione. «La tentazione di ridere viene, a leggere il grande sogno di Corona nel 2007: che tutto il mondo maschile indossi mutande con elastico firmate: I Corona’s. Come quelle di Calvin Klein, più o meno. Lui dice che averle inventate è un altro dei suoi “colpi di genio”, e il suo desiderio più segreto sarebbe quello di vederle indossate anche da Henry John Woodcock, il giudice che l’ha processato, vedergliele spuntare dai pantaloni: visto che, adesso che tutti lo fotografano, Woodcock si veste con più cura, secondo Corona si sforza di essere figo. […] È il diario dei suoi ottanta giorni di carcere, dell’orgoglio di essere accettato dai delinquenti veri (“non mi considerano un vip sfigato, ma uno di loro”), dell’ora d’aria passata appoggiato a un muretto con un foglio di carta stagnola sotto il mento, per abbronzarsi, in mancanza di lampade solari (“Corona! Crede di essere a Milano Marittima? Si rimetta subito la maglietta!”), e fare una bella impressione a chi va a trovarlo: gli avvocati, la mamma, i fratelli, Nina Moric. […] È il diario di un megalomane infantile e vanitoso, come lui stesso si è definito. […] Corona non si accontentava di regalare magliette ai detenuti con la scritta I Corona’s, profumi di Bulgari, autografi, non si accontentava della soddisfazione di dire che tutte le ragazze appese ai muri delle celle lui le conosceva bene, di persona, erano amiche sue: voleva fare uno scoop dentro il carcere, con questa sua fissazione delle fotografie (meglio se di se stesso seminudo e depilato: in prigione ha passato ore a farsi la ceretta prima di ogni visita, a mettersi creme in faccia, a fare le flessioni e i pesi con bottiglie d’acqua per non perdere i bicipiti), perché aveva paura di scomparire, di non essere più nessuno, e la foto invece dimostra che si esiste. Voleva fotografarsi in galera, e magari vendere il servizio a Chi (“fotografarmi dentro il carcere di Potenza era un ottimo scoop. Significava che ero ancora vivo. Ancora il Numero Uno”). Chiese al suo avvocato, il cui più grande sogno nella vita era diventare un tronista (chissà se è stato un buon avvocato), di procurargli una macchina fotografica, che in qualche modo illegale gli arrivò in cella. Si fece quattro foto sotto la doccia in mutande, poi alcuni scatti dentro la cella, fotografò i suoi diari e le mura. “Impazzisco. Mi viene in mente di portare la macchina fotografica fuori, al passeggio, durante l’ora d’aria. Indosso una maglia I Corona’s bianca e comincio a scattare con i detenuti che mi sono più amici”. Tutti vogliono farsi fotografare, gli chiedono soldi per non parlare, soldi per fare uscire le foto, soldi per fotografarlo dietro le sbarre, da cella a cella. Finisce in isolamento. Non c’è senso della realtà in un’azione del genere: Fabrizio Corona credeva di vivere in una copertina di Novella 2000, pensava (anzi pensa ancora) che tutto il mondo giri lì intorno ed esista solo lì dentro» (Benini). Era il primo capitolo di una lunga serie di disavventure con la giustizia italiana, che negli anni successivi l’avrebbe visto entrare e uscire dal carcere per una mezza dozzina di volte, tra condanne, proscioglimenti e nuove accuse: complessivamente, «è stato condannato a un totale di 13 anni e 8 mesi (poi ridotti a 9 anni). […] Ha preso 3 anni e 8 mesi per una fattura falsa, 1 anno e mezzo perché aveva tre banconote false, 1 anno e 2 mesi perché si è scattato una foto in cella allungando soldi al secondino, 1 anno e cinque mesi per una fotografia ritenuta estorsiva al calciatore Adriano (che tra l’altro della foto gl’importava zero), e poi c’è il casus belli, quello che assomiglia tanto a un accanimento: 5 anni per analoga estorsione (fotografica) ai danni del calciatore Trezeguet; accanimento non solo perché 5 anni sono comunque uno sproposito, ma perché l’estorsione di Corona è stata inquadrata come “reato ostativo”, come succede per il possesso di armi e di droga. Nel caso, proporre a Trezeguet di vendergli una foto è stata vista come un’estorsione, e la presenza dell’autista di Corona – non di uno sgherro mafioso – è bastata per far scattare l’aggravante» (Filippo Facci). Fu in esecuzione della condanna per il caso Trezeguet che nel gennaio 2013 Corona, dopo un rocambolesco tentativo di fuga in Portogallo a bordo di una Cinquecento, dovette tornare nuovamente in carcere, dapprima in quello di Busto Arsizio e poi in quello di Opera, dove rimase fino al giugno 2015. Durante la sua detenzione, «s’è fatta largo in Italia una corrente di pensiero che lo elesse “vittima della giustizia” chiedendo a gran voce l’intervento del presidente della Repubblica affinché gli concedesse la grazia. Celentano, Fiorello, Signorini, Travaglio, tutti schierati col povero Fabrizio. La grazia non è mai arrivata, ovviamente. Tuttavia quella campagna ha ammorbidito i giudici di sorveglianza, che nel giugno 2015 gli concessero l’affidamento ai servizi sociali e lo consegnarono nelle mani della comunità Exodus di un raggiante don Mazzi: “Insegna informatica agli extracomunitari e lava i piatti alla mensa”, cantavano le cronache rosa. E lui, riabilitato dal popolo, è tornato a fare le sue remunerative serate in discoteca in giro per l’Italia, a farsi fotografare (di nascosto?) in compagnia di graziose signorine, e a vergare delle indimenticabili sentenze su Facebook» (Renato Pazzini). Tornato in carcere nell’ottobre 2016 per una presunta intestazione fittizia di beni, ne uscì nel febbraio 2018, dapprima in regime di affidamento provvisorio e terapeutico per disintossicarsi dalla dipendenza da cocaina presso una comunità di Limbiate, poi con il permesso di riprendere la sua attività, entro determinati limiti: limiti che, però, Corona ha ripetutamente violato, così che il 20 marzo 2019 s’è visto sospendere il regime di affidamento terapeutico ed è dovuto tornare in carcere, a San Vittore. «Una lunga serie di violazioni hanno motivato la decisione del giudice Simone Luerti di sospendere l’affidamento terapeutico dell’ex “fotografo dei vip”. Che non rispettava per prima cosa le prescrizioni “territoriali” ed “orarie”: Corona, infatti, in più occasioni non ha avvisato carabinieri e poliziotti delle sue trasferte per le serate fuori regione. E mal tollerava gli obblighi che gli erano stati imposti. Lo ha anche detto apertamente in un video su Instagram e in tv, a fine febbraio. “Ha dimostrato – scrive il giudice –, con una serie di affermazioni, di essere insofferente alle regole dell’affidamento terapeutico”, dicendo, in sostanza, che non ne poteva più e di volersene fregare. Il provvedimento cita anche il comportamento di Corona nei confronti di Riccardo Fogli: l’aver parlato di un presunto tradimento della moglie del cantante durante la trasmissione L’isola dei famosi non sarebbe “congruo” per una persona che sta scontando la pena in affidamento terapeutico. Alla fine di febbraio, Luerti aveva emesso una diffida nei confronti di Corona, stabilendo che fino al 30 marzo non avrebbe potuto lasciare la Lombardia per partecipare a trasmissioni televisive. Una prescrizione che il fotografo avrebbe violato in più occasioni. Prima, come riporta il giudice, malgrado avesse l’autorizzazione per andare soltanto in un posto andava spesso anche da altre parti e non passava nemmeno per i commissariati, dove avrebbe dovuto indicare la sua presenza. Poi, per due volte è risultato assente di notte dalla sua abitazione, non rispettando, dunque, gli orari imposti. […] In barba agli obblighi, […] Corona continuava a frequentare pregiudicati, pubblicando anche foto in loro compagnia su Facebook. Il 10 dicembre e in almeno un’altra occasione, aveva fatto un’incursione al boschetto della droga di Rogoredo, per realizzare un servizio televisivo […] per la trasmissione di La7 [Non è l’Arena – ndr]: un luogo pericoloso a cui lui, dopo le 23, non avrebbe potuto avvicinarsi, frequentato da tossicodipendenti e in compagnia di qualche amico/collega con la fedina penale non proprio limpida: tutte cose che gli erano state vietate. Entro 30 giorni la sorveglianza in composizione collegiale, dopo un’udienza da fissare, dovrà decidere se revocare definitivamente l’affidamento o farlo proseguire, e si saprà, dunque, se Corona resterà in carcere o meno» (Monica Serra) • Particolarmente squallidi i suoi tentativi di sciacallaggio nell’ambito di alcuni dei più drammatici casi di cronaca nera. «Dopo la strage di Erba, del dicembre 2006, i due manager Lele Mora e Fabrizio Corona misero sotto contratto Azouz Marzouk, marito e padre di due delle quattro vittime. Corona piombò anche a Garlasco, tentando di contrattualizzare le gemelle Cappa, cugine di Chiara Poggi, assassinata il 13 agosto 2007» (Stefano Nazzi) • Un figlio, Carlos Maria (2002), dall’ex moglie, la modella croata Nina Morić («A modo suo mi avrà anche amata. Ma è troppo innamorato di sé per amare un’altra»). Numerosissime relazioni da lui stesso ampiamente documentate, tra cui quella con la modella e conduttrice argentina Belén Rodríguez (più volte definita «il grande amore della mia vita») e, da ultimo, la breve e controversa frequentazione con l’attrice Asia Argento • «Abbiamo avuto alti e bassi, ma il rapporto con papà è sempre stato saldo. Gli parlai dell’inchiesta in atto, era preoccupato, ma non credeva che sarei finito in prigione. Poi, quando è scoppiato tutto, per una settimana non mi ha voluto parlare. Il tumore lo stava consumando insieme al dolore per me» • Ambigua la natura del suo rapporto con Lele Mora, che nel 2010, interrogato nell’ambito di un’indagine per evasione fiscale, dichiarò ai magistrati: «Ho speso […] più di due milioni in regali che ho fatto a Corona. Gli ho comprato otto auto, a partire da un’Audi cabriolet per arrivare alla Bentley e gli ho dato un milione e mezzo in contanti per l’acquisto di un appartamento in via De Cristoforis. Io e Fabrizio Corona abbiamo avuto una relazione». In seguito Mora derubricò quale «amore platonico» il legame con Corona, che per parte sua ha sempre negato ogni implicazione sessuale. «Io piaccio. Sia alle donne che agli uomini. Anche così ho costruito molti rapporti di lavoro. […] Forse all’inizio a Lele piacevo. Forse si è pure invaghito di me. Ma non è mai stata un’intesa sessuale» • Decine di tatuaggi. «Si fece il primo tatuaggio per amore ed esaltazione, un cuore con scritto “Nina”: il primo di tantissimi, compreso il corpo di Belén, il numero della cella nel carcere di Potenza, il santo protettore dei detenuti, la parola “paura”, la parola “free” sulle nocche delle mani, la faccia di suo figlio» (Benini) • «Corona, che ha sempre adorato farsi intervistare pur avendo poche cose da dire, ha ripetuto un’infinità di volte di aver pagato il suo “essere contro il sistema”. Nei fatti però esistono poche persone così dentro il sistema come lui. “Quando avrò venticinque anni sarò ricco, famoso, e andrò in giro in Porsche”, aveva detto quando di anni ne aveva 20. Profezia avverata, anche se resta da capire in che modo essere ricchi, famosi e guidare una Porsche significhi essere “contro il sistema”. Quale sistema? Uno psicologo incaricato dal Tribunale di valutare le sue condizioni mentali ne ha dato una definizione sintetica: “Narcisista e borderline”. Lui in una […] comparsata in tv è stato più benevolo: “Sono una persona molto intelligente”. E in effetti qualche numero ce l’ha: ha fatto il fotografo di successo senza mai aver scattato una sola fotografia (ammissione sua), ha fatto fallire buona parte delle sue società senza pagare quasi mai dazio; ha guadagnato molto denaro solo grazie al fatto di essere Fabrizio Corona, e non è roba da tutti» (Pazzini). «L’aveva capito il regista Erik Gandini in Videocracy quanto la sua parabola fosse illuminante per guardare nell’oscurità in cui era piombata l’Italia. In quel film c’era un’immagine iconografica: Corona nudo, allo specchio, che analizzava con lucidità il “fenomeno” che rappresentava solo esistendo. […] Fabrizio Corona è il male senza senso di colpa, è l’italiano puttaniere, furbo, imbroglione, gradasso e carismatico che non ha intenzione di rispettare le regole» (Boris Sollazzo). «Una persona prigioniera, da tempo, del suo personaggio, con tutto il consueto armamentario frusto di aria spavalda e occhiali scuri e farneticazioni roboanti» (Umberto Folena). «Un uomo che diceva di sé, fin dalla prima condanna: “Se oggi non vai dietro le sbarre non sei nessuno”. Il terrore di non essere nessuno l’ha accompagnato sempre, […] senza avere raggiunto lo scopo: non è mai diventato qualcuno. […] Il problema più serio di Fabrizio Corona è stato non saper diventare un uomo: è rimasto un quindicenne arrabbiato, bocciato al liceo scientifico, che prende a calci la porta della camera e si disegna le sopracciglia, uno che credeva di scoprire il mondo e invece finiva sempre in un vortice di piccolezze e di cattivi consigli, di medicine sbagliate e di idee balzane, sempre con una ingenuità di fondo, convinto che Mangiafuoco, dopo averlo usato come burattino da circo, alla fine non ne avrebbe fatto legna da ardere. […] Volere essere un bandito senza esserlo, covare e mostrare un indefinito senso di ribellione verso niente e verso tutto, sentirsi un grande trasgressore ed essere un borghese piccolo piccolo» (Benini). «Fabrizio Corona sarà per sempre il destino di Fabrizio Corona? “La solitudine è la mia famiglia”, dice. “Io ho una sorta di magnetismo che nessuno può capire e riesco a far crollare le donne”, dice. “Volevo che la mia uscita dal carcere fosse trionfale,” dice. […] Alla fine, ciò che rende Fabrizio Corona un personaggio tragico è la sua vanità: è morto mille volte, e mille volte rinato, ma sempre secondo presupposti immutabili. Corona non cambia, è protagonista di un film che nessuno vede eccetto lui, sempre al disperato inseguimento di se stesso e delle proprie versioni: così finisce per assomigliarsi e lasciare che l’autorappresentazione prenda il sopravvento, masochisticamente devoto alla vertigine che lo tiene in vita togliendogliene un po’. Corona si offre sempre all’ordalia e mai ne esce emendato. Corona è uno che ha dedicato a suo figlio la vittoria di una pena dimezzata della Corte d’appello di Milano. Uno che salta attraverso il cerchio di fuoco e il fuoco lo brucia mille volte, lui si ritrova sempre più strinato e vinto eppure fa finta di niente, tira dritto, sbraita ed è sempre Corona, irritante, puerile, sincero come un dispetto e straripante di una spavalderia mai del tutto pesta. Ricorda quei pugili che non riescono a far pace con il tempo che passa e si offrono a match rispetto ai quali sono sempre meno all’altezza, andando incontro al rischio-distruzione non si sa se in cerca della presunta antica grandezza o di una definitiva lezione; e, proprio come un pugile suonato, ecco che perde un dente in una trasmissione tv. Corona nemmeno sa di essere emblema di tutto questo, non lo immagina, e per questa ragione è ancora più emblematicamente tragico: nella recita della sua consapevolezza strazia l’ignarità. “Dei potenti non me ne frega niente!”, ha strillato una volta a Ilary Blasi, e mentre strillava lo vedevi che ci credeva, credeva al ruolo che si era ritagliato» (Marco Archetti). «Corona ha avuto maestri di stile prima, e complici che gli reggono il sacco ora. Sono loro gli sciagurati, persino più di lui» (Maurizio Crippa) • «A volte sono come dissociato: c’è il personaggio Corona e c’è Fabrizio. L’uno prende il sopravvento sull’altro a fasi alterne». «Ammetto che porto dentro i segni di una vita piena di arresti, casini, lavoro. Prendo pillole tutto il giorno: per allenarmi, per dormire, per stare in piedi, per fare l’amore». «Sono un narcisista ego-riferito. E ho la sindrome abbandonica. Infatti, non ho mai lasciato: sono sempre stato lasciato. Stando agli psichiatri, quando mi affeziono, ho paura che lei mi lasci. Ho avuto un padre forse troppo concentrato sul lavoro, una madre con problematiche sue, altri fratelli con temi loro, quindi io ero quello che doveva sempre essere allegro, positivo e non potevo mai manifestare problemi o una ricerca di attenzione. Per cui, con le donne ho paura di scoprire i lati deboli: da qui la sindrome di abbandono e la deriva narcisistica». «Perché in carcere le lasciavano ricevere il suo chirurgo plastico, e cosa veniva a fare? “Diritto al lavoro”. Del chirurgo plastico? “No, mio. Io lavoro con la mia immagine. Sono rifatto completamente, anche se non si vede. Però, se ti metti filler e Botox e hai le cartelle cliniche, devi ricontrollarli”. Nel dettaglio, che si è rifatto? “Ogni due o tre mesi faccio Botox, filler, trattamenti vari”. E il chirurgo plastico veniva in carcere a farle il botulino? “A controllare: non poteva iniettare. Poteva spalmare”. […] Confessa un desiderio di morte, a volte. “Più che altro, credo che morirò giovane. O magari farò un’assicurazione sulla vita e mi fingerò morto: da morto credo di valere tantissimo. Nel libro [Non mi avete fatto niente, Mondadori 2019 – ndr] c’è il testamento. […] Il mio cuore lo lascio a Belén. […] I soldi andranno a mio figlio Carlos Maria, che è molto oculato. Però ho chiesto, come i romani che si mettevano le monete negli occhi per il viaggio dalla vita terrena a quella ultraterrena, di avere quei 40 o 50 mila euro nella bara”. Non le è ancora passata la malattia del denaro che le ha procurato tanti guai? “No, però ci lavoro tutte le settimane con lo psichiatra”. Fine pena giugno 2022. Quali sono i buoni propositi per evitare di tornare in carcere [l’intervista è del gennaio 2019 – ndr]? “C’è un solo modo per non tornare più in carcere. Spegnere i riflettori”. Sospetto che non abbia intenzione di farlo. “No, perché non trovo sia giusto. Io faccio impresa sulla mia popolarità”» (Candida Morvillo).