Avvenire, 29 marzo 2019
Il traffico di armi nel Mediterraneo
È una realtà durissima e complessa quella illustrata dall’ultimo rapporto dell’Istituto di ricerche internazionali dell’Archivio Disarmo (Iriad). Il commercio illegale di armi leggere e di piccolo calibro non risparmia nessuna regione del mondo, tanto meno il Mediterraneo allargato, con un crocevia di rotte clandestine che attraversa anche l’Italia, viaggiando sui binari malavitosi di Cosa Nostra, della Camorra, della ’Ndrangheta e della Sacra Corona Unita. Sono traffici che si sommano, intersecandosi, alle rotte tradizionali delle droghe e dei migranti, molto più lucrose per i nostri criminali.
Il rapporto di ricerca curato da Maurizio Simoncelli, vice presidente dell’Archivio Disarmo, toglie quasi il fiato. Parliamo di un report di 132 pagine denso di dati e notizie, finanziato con un contributo del Maeci, e firmato oltre che da Simoncelli anche dal suo pool di ricercatori, Giulia Ferri, Giulia Simoncelli, Ugo Gaudino e Adriano Iaria. Chi volesse approfondire, può scaricare il documento completo, da oggi disponibile sul sito dell’Archivio Disarmo, www.archiviodisarmo.it.
Vi leggerà che il traffico di armi leggere «è in crescita continua dal 1996 e che coinvolge un numero di Paesi sempre maggiore». Mai nella storia dell’uomo c’è stata una diffusione così capillare di armamenti leggeri e di piccolo calibro: fucili automatici, mitragliatrici, lanciagranate, revolver, mortai, mis-Èsili portatili anticarro e antiaereo, mine e così via. Più di un miliardo di esemplari di armi leggere insanguinano i quattro angoli del pianeta. Nella sola Africa, ne circolano 100 milioni. Con le conseguenze ben note: «Il 90% delle vittime dei conflitti successivi alla Seconda guerra mondiale è causato dalle armi leggere e di piccolo calibro. I civili rappresentano il 70-80% dei caduti». All’interno del Mediterraneo allargato si contano almeno tre rotte principali. «La prima, la cosiddetta“rotta balcanica”, coinvolge la Bosnia, l’Italia, la Croazia e la Slovenia, raggiunge l’Europa occidentale, l’Africa e il Medio Oriente, passando dai Paesi dell’Europa meridionale». I Balcani occidentali pullulano di depositi sino-sovietici e di capacità autoctone, spesso manifatture private e officine clandestine. Fra gli stati successori dell’ex Jugoslavia, Serbia, Croazia e Bosnia alimentano traffici crescenti. Finita la guerra, la produzione è ripresa a ritmi forsennati. Come non ricordare gli attentati in Francia di gennaio e novembre 2015? All’epoca i terroristi usarono armi illecite provenienti dai Balcani, in particolare i fucili Zastava M70, versioni serbe dei famigerati Kalashnikov, forse acquistati sul dark Web. «La seconda rotta, più orientale, parte dagli immensi depositi dei Paesi dell’ex Urss e dell’Europa dell’Est puntando tradizionalmenteverso l’Africa, ma recentemente anche verso l’Europa occidentale». La materia prima non manca. L’ex Germania orientale ha svenduto interi arsenali e l’ex Cecoslovacchia tonnellate di esplosivi. Veterani russi dell’Fsb e del Gru hanno saccheggiato la Transnistria, facendone un bazar d’illeciti internazionali. Godono di connivenze ucraino- kazako-bielorusse, di legami con gli arsenali ex sovietici e sanno come persuadere i produttori locali. «La terza rotta, infraMENA (Middle East North Africa), rappresenta un mercato prettamente interregionale, che dal Nord Africa, in particolare dalla Libia, distribuisce armi negli stati confinanti, in Medio Oriente, e, in minor misura, in Europa». Si tratta di filiere molteplici, che si innestano su più piani, includendo dimensioni internazionali, regionali e locali, e che fanno sfumare il limes fra il legale e l’illecito.
«La dimensione tipica del traffico clandestino di armi leggere si svolge prevalentemente su scala regionale o locale, attraverso forniture di dimensioni contenute, ma continue, che provocano nel tempo un accumulo di armi e di munizioni». Gli acquirenti sono prevalentemente gruppi criminali, terroristi, milizie armate non statali, fazioni ribelli o forze rivoluzionarie. Molte le iniziative internazionali per contrastare il fenomeno, inficiate dalle difficoltà di vari Paesi nell’applicare operativamente quanto concordato