Il Sole 24 Ore, 29 marzo 2019
Fuga dall’Irpef
Già dal 2017, ancor prima della nuova flat tax, è iniziata la fuga dall’Irpef. Una fuga che si è materializzata in modalità diverse. A cominciare dal calo dei redditi dichiarati: cinque miliardi in meno (-1,3% rispetto a quanto emergeva dalle dichiarazioni 2017 sull’anno d’imposta 2016), Un calo che, secondo il dipartimento delle Finanze che ha reso noti ieri i dati delle dichiarazioni 2018, è attribuibile agli effetti del regime di cassa per le imprese in contabilità semplificata e in parte alla contrazione dei redditi da lavoro dipendente. Ma ci sono anche i 13 milioni di italiani che l’Irpef non l’hanno pagata: in pratica un contribuente su tre (considerando i 41,2 milioni di modelli presentati tra 730, Redditi e Certificazione unica). Questo 31,3% di dipendenti, pensionati e partite Iva rientrano nella no tax area o naturalmente perché sotto gli 8mila euro di reddito o per effetto delle detrazioni che azzerano l’imposta. Dell’esercito degli «zero Irpef» fanno parte anche quanti hanno beneficiato del bonus 80 euro. Un bonus che vale 9,5 miliardi percepiti in busta paga da 11,7 milioni di contribuenti. Di questi 1,8 milioni hanno dovuto restituirlo per aver superato i 26mila euro (anche se 1,2 milioni hanno ottenuto anche la restituzione di ritenute Irpef indebitamente versate per 770 milioni di euro).
Al netto degli «zero Irpef», ci sono 30,7 milioni di contribuenti che saldano il conto con l’Erario dichiarando un’imposta netta di 157,5 miliardi di euro che, nonostante il calo dei redditi denunciati, aumenta dello 0,9 per cento. Il 45% dei contribuenti italiani, che dichiara solo il 4% dell’Irpef totale, si colloca nella classe di reddito fino a 15mila euro, mentre in quella tra i 15mila e i 50mila euro si posiziona circa il 50% dei contribuenti, che dichiara il 57% dell’Irpef totale. Solo il 5,3% dei contribuenti dichiara più di 50mila euro, versando il 39,2% dell’Irpef totale. Il paradosso è che da 100mila a 200mila euro di reddito ci sono quasi 428mila soggetti (1,4% della platea complessiva) che versano il 13% di tutta l’Irpef. Oltre i 300mila di reddito si collocano poco più di 38mila Paperoni d’Italia che versano il 6% dell’imposta sui redditi delle persone fisiche.
Ad ampliare la schiera dei Paperoni sono arrivati anche quelli dall’estero, attratti dalla tassa piatta di 100mila euro sui redditi esteri e di 25mila euro per i familiari, che hanno spostato la residenza in Italia. In tutto sono 94 (75 a cui si sommano i 19 familiari) che hanno portato nelle casse dell’Erario 8 milioni di euro.
Ma la fuga dall’Irpef significa anche scelta di imposte sostitutive che si sottraggono alla progressività del prelievo. A partire dalla cedolare secca sugli affitti che ha garantito un imponibile di 14,4 miliardi di euro (+8,1% per contratti a canone di mercato e +21,4% per contratti a canone concordato) e un’imposta di 2,6 miliardi di euro (l’83% arriva dall’aliquota al 21%). E nelle dichiarazioni 2018 ha debuttato anche la cedolare per gli affitti brevi, che per ora non registra numeri elevati (complice anche il contenzioso amministrativo di una delle principali piattaforme online): 7.200 contribuenti per un ammontare di 44,4 milioni di euro.
Continua poi la crescita delle adesioni al regime forfettario, passate da 483mila a 680mila (+40,9%) a cui vanno comunque aggiunti i contribuenti rimasti nel regime dei minimi fino all’estinzione. Considerando anche le nuove aperture aperture nel 2018, allo stato attuale i due regimi agevolati già contano su quasi 1,5 milioni di aderenti. Senza contare, come anticipato, la possibile grande fuga da quest’anno per effetto dell’ampliamento della soglia di ricavi o compensi a 65mila euro.
Adesioni al forfettario che comunque hanno già ulteriormente assottigliato la platea delle dichiarazioni Iva (-2,8%). Sempre secondo i dati diffusi ieri, le operazioni imponibili dichiarate per l’Iva sono state pari a oltre 2.100 miliardi mentre il volume d’affari è aumento del 3,4% attestandosi a 3.417 miliardi.
Vola lo split payment, che nel 2017 è stato ulteriormente esteso, con operazioni per 198,3 miliardi. L’altro lato della medaglia è l’aumento dell’imposta a credito cresciuta del 14% con 48,8 miliardi.
L’ammontare complessivo dei crediti in compensazione o detrazione ha sfiorato i 41 miliardi, con un balzo del 12,3% rispetto alle dichiarazioni 2017. L’altro meccanismo antievasione, ossia il reverse charge, si è attestato sui 112 miliardi.
Primi effetti positivi per il Fisco con le comunicazioni delle liquidazioni periodiche (Lipe) con 1,7 miliardi di versamenti effettuati correttamente alla scadenza.