Il Sole 24 Ore, 29 marzo 2019
Il Sud sempre più giù
dieci anni di altalena fra doppia caduta del Pil, stagnazione e mini-ripresa hanno fatto perdere reddito reale agli italiani. E hanno allargato la forbice che separa Nord e Sud.
La geografia territoriale dei redditi diffusa ieri dal dipartimento Finanze permette di chiudere i conti del decennio più complicato nella storia post-bellica dell’economia italiana. E traducono in cifre gli effetti prodotti sui conti dalle famiglie dalla lunga crisi italiana. Numeri che trovano nuova attualità dal ritorno del Paese alla crescita zero. Perché ogni crisi ha cause e inneschi diversi. Ma le sue ricadute sul quotidiano sono sempre le stesse.
Le cifre, dunque. Nel calcolo che tiene conto dell’inflazione, il reddito medio 2017 indicato dagli italiani nelle dichiarazioni dello scorso anno si ferma il 3% sotto quello di dieci anni fa. Il segno meno caratterizza tutte le Regioni tranne una: il Trentino Alto-Adige, dove il contatore segna +3,2 per cento. Due le possibili spiegazioni dell’eccezionalità trentina e alto-atesina: un’economia legata a doppio filo all’area tedesca (finisce in Germania il 40% del valore aggiunto manifatturiero della Regione, come segnala Confindustria), che quindi ha potuto beneficiare di una catena di trasmissione corta con le riprese più dinamiche registrate nel centro dell’Europa; e uno Statuto di Autonomia che quando l’economia frena permette di attivare contromisure più rapide rispetto a quelle che si riescono a mettere in campo nell’Italia “ordinaria”. È del resto a Statuto speciale anche la seconda regione nella graduatoria sviluppata in base al confronto fra i redditi lordi reali 2017-2007: si tratta del Friuli Venezia Giulia, a cui basta un modesto -0,6% per occupare il secondo scalino. Seguito da Veneto ed Emilia Romagna (-1,4%), e da Valle d’Aosta e Piemonte (-1,9%).
Perché l’altra dinamica misurata dai numeri delle dichiarazioni fiscali è il bradisismo economico che continua ad allargare la distanza fra Centro-Nord e Mezzogiorno. Sono meridionali tutte le Regioni che hanno perso più reddito nella lunga traversata del deserto: in Sicilia la dichiarazione media sui redditi del 2017 si alleggerisce del 7,2% rispetto a quella di dieci anni prima, in Campania la perdita è del 6,9% e in Calabria del 6,4%. La litania prosegue con la Puglia (-5,9%) e con il Molise (-4,9%), che fa poco peggio rispetto alla Sardegna (4,8%).
Non ci sono eccezioni, insomma: tutto il Sud si concentra nella parte bassa della graduatoria, quella con i numeri più preoccupanti, e tutto il Nord occupa la parte alta, dove i colpi della crisi sono stati rimarginati meglio. Risultato: il reddito medio del Sud è a 16mila euro, cioè il 69,2% rispetto ai 23.130 euro medi dichiarati al Nord. Dieci anni prima lo stesso rapporto segnava 72,4%. In Calabria, che come sempre dichiara i redditi più bassi d’Italia, i 14.120 euro valgono il 57,1% dei 24.720 euro medi registrati in Lombardia.
Si tratta, come sempre, dei redditi ufficiali indicati al Fisco, che non possono misurare l’evasione. Anche nell’Irpef il «nero» è un problema serio, e vale secondo i calcoli del ministero dell’Economia più di 38 miliardi all’anno, 5,5 prodotti dal lavoro dipendente irregolare e il resto nascosti da lavoratori autonomi e piccole imprese. Ma le serie storiche non mostrano un picco dell’evasione negli ultimi anni tale da spiegare i segni meno. Nel confronto territoriale, le flessioni nel reddito sono figlie dirette del doppio colpo al Pil subito nel 2009 (-6,6% reale) e nel 2012-13 (-2,8% il primo anno e -1,7% il secondo). Un’altalena da cui le economie più integrate con il resto d’Europa si sono riprese meglio. Mentre nel tessuto economico e sociale più debole del Mezzogiorno la “vecchia” crisi economica resta di stretta attualità mentre il Paese rischia di entrare in una seconda gelata.
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Gianni Trovati