Il Sole 24 Ore, 29 marzo 2019
Il Paese sommerso
Il monumento che forse rappresenta meglio l’Italia è la torre di Pisa. Pende, pende, ma non cade mai. Il Paese delle contraddizioni (dove vivono quasi 13 milioni di persone che hanno un reddito così basso da essere esenti dall’Irpef ma dove contemporaneamente le famiglie hanno una ricchezza di quasi 11mila miliardi) in fondo è molto simile a questo famoso monumento toscano: anche l’Italia pende, rallenta, soffre, ma resta sempre in piedi con un’economia più forte di quanto agli stessi italiani non sembri. E probabilmente sono proprio le contraddizioni di questo Paese a tenerlo in piedi e a rendere anche di difficile lettura i singoli dati. È necessario dunque mettere insieme tutti gli indicatori, spesso contradditori tra loro, per cercare di fare una fotografia minimamente attendibile di un Paese complesso. Ben consapevoli che i dati aggregati e le fotografie dall’alto non tengono conto di uno dei maggiori problemi dell’età moderna: le diseguaglianze sociali.
Da un lato molti indicatori mostrano un Paese che si sta impoverendo. E con una lunga recessione alle spalle (speriamo non anche all’orizzonte) non sorprende di certo. Il 70% delle pensioni non arriva a superare la soglia dei mille euro mensili. Stiamo parlando di 12,6 milioni di assegni. Questo è un fatto, certificato ieri dall’Inps. E se si guardano le dichiarazioni dei redditi, i dati sono altrettanto disarmanti: 13 milioni di italiani non pagano l’Irpef perché guadagnano meno della soglia minima e solo il 5,3% dei lavoratori dichiara un reddito superiore ai 50mila euro. Anche questo è un fatto.
Ma è anche un fatto che in Italia l’economia sommersa ammonti a 210 miliardi di euro, pari al 12,4% del Pil, e che l’evasione fiscale arrivi a 108 miliardi di imposte e contributi non versati. È un fatto altrettanto certificato, dall’Istat, che gli italiani spendono più di quanto guadagnano. O meglio, più di quanto dichiarano di guadagnare: per ogni 100 euro denunciati nel 2017 dalle persone fisiche al netto delle imposte, l’Istat ha infatti rilevato una spesa delle famiglie di 114,4 euro. E forse non è neppure un caso che il Reddito di cittadinanza, che viene in soccorso ai poveri, per ora è stato richiesto da 720mila persone su un bacino potenziale di 5,3 milioni di individui: possibile che il numero delle domande salga nei prossimi mesi, certo, ma è anche possibile che qualcuno non voglia perdere il reddito in nero? Quello che c’è ma non figura? E dubbi simili si possono sollevare sulle pensioni: possibile che tra i tanti pensionati poveri ci siano anche coloro che in passato hanno lavorato in nero senza versare contributi? Se così fosse, anche le statistiche cambierebbero significato.
Ma le contraddizioni del Paese non finiscono qui. A fronte di redditi oggettivamente in calo, resta una ricchezza che dà alle famiglie italiane una certa stabilità. La Banca d’Italia, nel suo ultimo rapporto di novembre 2018, calcola che la ricchezza finanziaria delle famiglie ammonta a 4.400 miliardi di euro e quella immobiliare a 6.300 miliardi. Mentre i debiti arrivano solo a 900 miliardi. Certo, si tratta di un patrimonio distribuito male, sbilanciato tra fasce sociali e tra generazioni. Eppure è un patrimonio che esiste: la sola ricchezza finanziaria delle famiglie italiane ammonta infatti a 3,8 volte il reddito disponibile, mentre quella delle famiglie tedesche si ferma a 3. La Francia è invece in linea con l’Italia. Questo dimostra che c’è un’Italia che si impoverisce, dopo anni di crisi, ma c’è anche un’Italia che ha un grande patrimonio. Sembrano due Paesi diversi, ma è lo stesso. Per questo, probabilmente, l’Italia pende, pende ma non crolla mai. Come la sua torre simbolo. Quella di Pisa. E, in questa Italia a due facce, è forse contradditoria anche la fiscalità: molto più sbilanciata sul lavoro (che invece andrebbe incentivato e fatto emergere) che sulle rendite.
Proprio pochi giorni fa BlackRock, la più grande società di gestione del risparmio al mondo, ha condotto un sondaggio in 13 Paesi al mondo. È risultato che gli italiani sono quelli che ritengono di avere il benessere finanziario più basso al mondo (cioè tra quei 13 Paesi): solo il 28% degli intervistati si ritiene infatti tranquillo dal punto di vista finanziario, cioè dichiara di riuscire ad arrivare a fine mese senza dover stare attento alle spese. Meno della Germania (39%), meno della Gran Bretagna (40%), meno persino del Messico (53%). E il 54% degli italiani indica in soldi e lavoro le due fonti principali di stress. Questi sono numeri su cui riflettere. Perché segnalano un malessere, che esiste. Che è forte. E che determina anche le scelte politiche.
L’aspetto che più colpisce, però, è la suddivisione tra le fasce d’età nelle risposte al sondaggio: la generazione del baby boom del dopoguerra (quella su cui si accumula buona parte della ricchezza finanziaria e immobiliare) ha una percezione di benessere finanziario ben più bassa rispetto ai millenial (che invece hanno poco e sono afflitti da un tasso di disoccupazione molto più elevato). Motivo: spiegano da BlackRock che i millennial hanno aspettative più basse, dunque si accontentano di più. Anche questo deve far riflettere: in un Paese delle contraddizioni, ci sta pure che la generazione davvero tradita e con le opportunità minori sia anche quella meno insoddisfatta.