La Stampa, 29 marzo 2019
Il magazine che arriva via mail
Prima della rivoluzione digitale, la cosa più simile all’email era la posta aerea, la corrispondenza che in America e in Gran Bretagna si inviava dentro le caratteristiche buste bianche bordate di rosso e di blu e viaggiava su aeroplano anziché su nave. L’idea di fondare un nuovo magazine settimanale, chiamarlo Air Mail e distribuirlo via newsletter poteva venire soltanto a Graydon Carter, il leggendario ex direttore di Vanity Fair e ancor prima di Spy, noto per lo stile esuberante e la passione vintage per le tradizioni di una volta, a cominciare da quella della lettura.
Ogni sabato alle 6
Air Mail, dunque, tutti i sabati puntuale alle 6 di mattina, via newsletter, dal 20 luglio 2019. Pensate a un Economist però disinvolto o all’edizione weekend di un grande giornale internazionale che non esiste e un’informazione serena ed elitaria per persone sofisticate che «non vanno a Las Vegas, non portano zainetti, non bevono champagne dentro vasche da bagno a forma di cuore», ha detto Carter al New York Times per definire il suo lettore tipo. Una lettura da assaporare nei weekend, restando magari a letto in pigiama un paio d’ore, approfittando del fatto che la rivista arriva direttamente sui tablet e sugli smartphone.
Carter ci sta lavorando da una redazione nel West Village di Manhattan con Alessandra Stanley, veterana di mille battaglie al New York Times e critica televisiva e culturale sopraffina.
Uno sponsor di lusso
Ogni numero di Air Mail sarà sponsorizzato da un unico brand del lusso, ma la newsletter sarà comunque a pagamento, perché Carter e i suoi investitori giudicano pericoloso dipendere esclusivamente dalla volatilità del mercato pubblicitario. L’informazione gratuita non è un’opzione: «Se Howard Schultz avesse regalato il caffè – ha detto Carter al New York Times – Starbucks sarebbe diventata l’istituzione più popolare del pianeta, ma sarebbe durata due settimane». I contenuti editoriali si pagano, dice Carter, e paradossalmente è più facile chiedere soldi ai lettori per un prodotto che ancora non esiste piuttosto che per un giornale tradizionale che negli anni ha abituato tutti a leggere gratuitamente.
Bello da guardare
«È stata un’idea di Graydon costruire Air Mail come una newsletter – dice alla Stampa Alessandra Stanley – I giornali di carta faticano, in particolare i magazine, e i lettori leggono sempre di più articoli lunghi sui telefoni e sui portatili. Trasformare Air Mail una rivista di carta sarebbe stato come, nell’era dello streaming, lanciare una serie televisiva in dvd. Faremo, invece, una newsletter digitale settimanale che sarà una via di mezzo tra l’edizione weekend di un giornale e una rivista patinata, grazie anche a una bravissima art director, Angela Panichi, che renderà Air Mail bello da guardare esattamente come lo sarà da leggere.
Distribuito via newsletter, Air Mail sarà un vero magazine, dice ancora Stanley, «con gli articoli divisi per argomento: arte, politica, libri, eccetera, con una miscela di reportage, di storie culturali e di recensioni e un focus prevalentemente internazionale perché, nell’era di Trump, molti americani sono più interessati rispetto ad altre epoche a che cosa succede nel mondo. Vogliamo pubblicare saggi e ritratti e raccontare i libri, i film, le serie televisive e i podcast da tutto il mondo. La cosa bella di Internet oggi è che una signora dell’Iowa può guardarsi in streaming Non uccidere con i sottotitoli oppure scaricarsi l’ultimo romanzo di Haruki Murakami in inglese o in giapponese».
Il modello editoriale è semplice, anche se dispendioso (Air Mail per ora non comunica numeri, budget e aspettative): grandi storie affidate a grandi firme e tanto glamour per lettori cosmopoliti che vogliono conoscere che cosa si dice di qua e di là dell’oceano, ma con maggiore leggerezza rispetto a Foreign Affairs e più profondità rispetto alla rivista Monocle.
Il successo al di là dei clic
Non ci saranno algoritmi, focus group, big data a dettare la ricerca dei ricavi, che non è centrata sul numero dei clic ma su uno sponsor unico per ogni numero, sull’abbonamento e su collaborazioni televisive per produrre documentari (il primo, The Inventor, è appena stato trasmesso da Hbo). Ma la chiave di Air Mail è la newsletter, il più antico degli strumenti digitali che sta diventando sempre più centrale nelle strategie delle aziende editoriali. La convinzione di Carter e di molti altri operatori del settore è che i lettori si stiano stancando di essere iper connessi e patologicamente dipendenti dai social e che abbiano cominciato a cercare dei modi più intimi e riservati di comunicare e di informarsi, lontani dal clamore assordante di Twitter e di Facebook.
L’emancipazione dai social
Anche Mark Zuckerberg, di recente, ha scritto che vorrebbe trasformare Facebook da piazza pubblica, quale è oggi, a tinello, «from town square to living room», per consentire agli utenti una conversazione più privata, confidenziale, uno a uno.
La newsletter è il formato più adatto a questa nuova esigenza che non è solo dei lettori, ma anche degli editori, sia quelli nuovi come Graydon Carter sia quelli più tradizionali. Sono gli editori, infatti, che vedono nelle newsletter il modo per svincolarsi dal rapporto di inferiorità nei confronti di Facebook, Google e dei loro algoritmi, e lo strumento per stabilire una connessione diretta con i lettori che si fondi su uno stretto senso di lealtà e di fedeltà tra chi pubblica e chi legge.