Corriere della Sera, 28 marzo 2019
Abbattere San Siro, l’esempio dello Yankee Stadium
Discutere fra nostalgici e modernisti, come sta succedendo con troppa emotività da quando il caso San Siro è esploso, non fa bene a nessuno. Meglio chiedersi invece se per il futuro dello stadio di Milano esista una terza via che unisca i due punti di vista. La risposta è sì. Quale? Demolirlo come sembra richiedano la modernità e il portafoglio, ma ricostruirlo uguale a com’era prima della ristrutturazione del 1990, mantenendone la filosofia originaria e riproponendo quella struttura architettonica che per molti rappresenta addirittura l’archetipo dell’idea di stadio per il calcio.
L’operazione permetterebbe di adeguarlo alle necessità di business di Inter e Milan, migliorerebbe l’esperienza dei tifosi e eviterebbe di cadere nel trappolone di molti stadi moderni, stupendi, certo, ma impersonali, e talvolta con pesanti carenze in termini di calore, visibilità e personalità.
Un esempio illustre dimostra che l’impresa è possibile. Nel 2009 i New York Yankees hanno abbandonato il vecchio Yankee Stadium del 1923 (poi rinnovato tra il 1974 e il 1975) e si sono trasferiti in quello nuovo, eretto praticamente uguale, ma più grande, sul parcheggio del precedente. La facciata del nuovo evoca quella degli anni Venti e le vere, enormi differenze stanno tutte dentro. Capienza leggermente ridotta a 52 mila posti (da 56 mila, ma erano stati anche 70 mila), più spazio per le sedute e per le gambe, molte più suite e posti di lusso, un’area commerciale più grande del 63%, un bagno ogni 60 tifosi (contro uno ogni 89) e così via. In generale, il nuovo impianto ha moltiplicato le opportunità di guadagno, conservando però i tratti estetici ed emotivi del vecchio. Senza contare che è restato alla stessa fermata della metro. E almeno su questo a Milano si può stare tranquilli, visto che si continuerebbe a usare quella inaugurata appena nel 2015.
L’operazione a New York è stata possibile anche per l’abilità degli americani nel saldare in scioltezza la cura della tradizione sportiva e la febbre acuta per il denaro. Ma siamo certi che una sintesi simile non sia praticabile anche a Milano?
Pensiamo a un nuovo San Siro con le antiche, iconiche rampe che lo avvolgono e scandiscono i volumi in chiaroscuro (uno degli elementi di unicità riconosciuto nel mondo); i due anelli originari (che oggi hanno 60.473 posti, più o meno la capienza desiderata da Inter e Milan); ovviamente una copertura; soprattutto, la stessa relazione campo/tribune: pochi stadi al mondo «incombono» sul prato con la verticalità, il calore e la possibilità di vedere bene (quasi) da ogni posto che ha San Siro. Riempite questo involucro di tutto il necessario per produrre guadagno – anche, perché no?, con il famoso naming in ossequio allo sponsor, negare il quale è sì passatismo inutile – e si realizzerebbe l’impresa (forse la magia) di ricreare addirittura la migliore versione di San Siro perdutasi all’epoca di Italia 90 con la costruzione del terzo anello oggi obsoleto, oltre che vergognoso: avete mai visto i suoi bagni, insufficienti per numero, funzionalità e igiene? Meglio per voi.
Ovviamente, questa soluzione non piacerebbe a tutti, ma anche a New York i nostalgici a fondo perduto storcono ancora il naso davanti allo Yankee Stadium bis. Ma Milano, così all’avanguardia nella ridefinizione della propria struttura urbanistica (e dunque economica), sembra proprio la città giusta per realizzare la visione: non scimmiottare il solito stadio pensato in altri contesti (non serve l’ennesima Allianz Arena, per capirci), ma conservare la propria identità culturale pensando la ricostruzione di San Siro come fosse un restauro.
Fermo restando che un’operazione simile dovrebbe coinvolgere la cittadinanza com’è accaduto con le consultazioni sulla riapertura dei Navigli, l’occasione è storica. Se al mitico stadio del Liverpool (ristrutturato da poco) un cartello dice fiero «This is Anfield», Milano oggi ha la chance di potere dire per sempre al mondo «This is San Siro». Il prodotto di un’idea unica o, se preferite, una bella copia autorizzata di se stesso. Non un’imitazione fra tante di modelli scopiazzati altrove.