La Stampa, 28 marzo 2019
I temibili conservatori del Carlton Club
«Avevo partecipato a un incontro assai sgradevole con il Comitato 1922 e benché nessuno avesse chiesto le mie dimissioni, capii dal clima in quella stanza che un passo indietro era inevitabile». Finì così l’esperienza di governo di Peter Carrington, ministro degli Esteri di Margaret Thatcher. I deputati conservatori erano scontenti della sua gestione del caso Falkland e gli fecero capire che doveva lasciare il posto.
Non fu l’unico, né il più celebre dei politici conservatori a uscire malconcio dall’incontro con questo mitico comitato, di fatto il cuore del Partito conservatore, che ha in mano i destini dei suoi leader.
Nel 2003 Iain Duncan Smith ci rimise i galloni di aspirante premier e dovette lasciare la leadership. Nel novembre 1990 la Thatcher, benché vinse ai voti - ma senza il plebiscito che cercava – contro Heseltine che voleva il suo posto, lasciò il numero 10 di Downing Street. Arrivarono gli «uomini vestiti di grigio», gli emissari del Comitato 1922, e le comunicarono che il suo tempo era finito. Inutile andare avanti con le votazioni, logoravano sì Heseltine, ma anche il partito. Si scoprì poi che a manovrare il tutto c’era John Major, suo cancelliere allo Scacchiere che poi prese il posto della Lady di Ferro a Downing Street.
In ginocchio da Brady
Ieri è toccato a Theresa May inchinarsi a quello che con un po’ di fantasia potremmo chiamare il «deep state», l’anima più profonda del partito. In autunno aveva resistito a una mozione di sfiducia che il Comitato 1922 ha il potere di indire dopo aver raccolto il 15% dei consensi dei deputati Tory (in questa legislatura 48). Eppure anche se lo statuto la salva - non può essere sfiduciata per un anno - senza l’appoggio dei backbenchers (brexiteers o remainers poco importa in questo caso) non si governa. Per questo, ieri, May è tornata nella sala 14 dinanzi agli «uomini in grigio», mettendo sul tavolo le sue dimissioni in cambio della Brexit. È al partito che deve rendere conto più che al Paese, in questo frangente.
Il Comitato 1922 è composto da diciotto persone (fra cui un presidente, dal 2010 è Sir Graham Brady, e due vice) tutti eletti dai deputati che si riuniscono ogni mercoledì alle 17 in una sala di Westminster. L’ingresso alle riunioni è vietato ai frontbenchers, i deputati che fanno parte del governo, e ai ministri. Solo dal 2010 il divieto è stato mitigato e in qualche rara occasione i big possono andare a sentire gli umori nella pancia dei Tory.
La prima riunione
Il Comitato 1922 ha potere di «vita o di morte» sui governi, per questo il suo capo è da sempre uno dei politici più potenti del Regno Unito. Tutto ebbe inizio, da qui il nome, nel 1922 quando un gruppo di Tory - scontenti del governo di coalizione con i Liberal - decise di staccare la spina al premier David Lloyd George. I deputati si ritrovarono al Carlton Club e sentenziarono: «George è una forza assolutamente dinamica, e questo è terribile». Insomma non è governabile. E il Comitato 1922 (che poi in realtà cominciò a radunarsi regolarmente dal 1926) decise di liquidarlo. Come avrebbe fatto tante altre volte fino a oggi.