«Nessuno deve dimenticare che cosa avvenne quella notte, io in primis».
"Mr. Speaker" John Bercow, il presidente della Camera dei Comuni britannica diventato famoso in tutto il mondo per i suoi capelli arruffati, le sue urla da pub in diretta tv, l’inglese che miscela Shakespeare ai Monty Python e soprattutto i suoi roboanti "Ordeeeeerrr!" per governare l’Aula, è impegnatissimo: il Parlamento britannico sta decidendo il destino della Brexit e del Regno Unito sotto gli occhi di tutto il mondo. Ma Bercow, nato a Londra 56 anni fa, figlio di un tassista ebreo polacco, parlamentare conservatore poco ortodosso, paladino dei diritti civili dopo una militanza giovanile nella destra xenofoba e dal 2009 " speaker" devoto all’imparzialità («per questo non posso parlare di Brexit», avverte), trova il tempo di concedersi a Repubblica in una rara intervista.
Guardandola in tv, molti in Europa continentale la considerano un idolo. Se lo aspettava?
«No, non lo avrei mai creduto. Spero solo di non commettere l’errore di pensare che tutto questo sia merito mio».
Ma i suoi "ordeerr!" e la sua retorica sono travolgenti. Si "allena" per questo?
«No, non ne ho il tempo. "Order!" viene usato da secoli alla House of Commons, non l’ho inventato io. Poi certo, alcuni manierismi, alcune espressioni sono mie, personali. Sono un po’ teatrante, ma non è una messinscena. È piuttosto la voglia di affrontare l’Aula con humour, una risata, un po’ di leggerezza, affinché tutto non sia terribilmente serio. La mia parlata aulica, poi, l’ho imparata da piccolo, da mio padre che pontificava dalla poltrona. Essendo piccoletto, per difendermi dai bambini più grossi di me, quando loro usavano i pugni io rispondevo con le parole».
Quali sono gli scrittori e i romanzi che più hanno ispirato la sua retorica?
«Il Racconto di due città, il più bel romanzo di Charles Dickens. Poi Via dalla pazza folla di Thomas Hardy e Silas Marner di George Eliot. Poi Philip Roth, Sarah Waters, Papillon di Henri Charrière. E tanto Kafka».
La situazione di oggi in Regno Unito è un po’ kafkiana?
«Forse sì».
Da ragazzino era considerato una grande promessa del tennis. Poi? Meglio la carriera politica?
«Non sarei mai diventato un campione: non avevo il talento di Andy Murray o di Fabio Fognini per esempio. Poi mi venne la bronchite. Dunque, scelsi la politica. Decisivi furono gli anni Settanta, l’Inverno del Malcontento (1978-1979, segnato da forte tensioni sociali nel Regno Unito, ndr), gli scioperi, il governo laburista. Alla fine, dopo una lunga militanza nel partito conservatore mai facile, in una cena del 2003 un sottosegretario mi dice: “John, tu potresti fare lo speaker”. Mia moglie Sally: “È vero! Tu adori il Parlamento, hai buona memoria e fair play”. Così dico: “Ok, ci provo”. Sì, come nella mia battaglia per i diritti LGBT, sono stato influenzato un po’ da mia moglie. Ma solo un pochino. C’è chi dice “è la moglie che decide tutto”: sciocchezze! Chiaro?».
Chiaro. Di recente, vedi la sua opposizione al ritorno del piano May in Parlamento senza “cambiamenti sostanziali”, è stato accusato di non essere imparziale. Vero?
«Ascolto sempre tutti i punti di vista, perciò presenzio l’Aula giorno e notte. Anni fa venivo criticato dagli europeisti perché "facevo parlare troppo i brexiter", ora i brexiter mi criticano quando seleziono gli emendamenti dei "remainers". È la prova che sono corretto e do sempre voce alle minoranze in Aula. Io posso avere una mia idea (Bercow ha ammesso in passato di aver votato contro la Brexit, ndr), ma sono assolutamente imparziale».
Dopo il referendum Brexit, il Regno Unito oggi è più diviso?
«No. E sono ottimista sul futuro. I britannici sono resilienti, particolarmente in tempi di crisi».
Si dice che lei sia pronto a lasciare. È vero?
«Ora no, siamo nel bel mezzo della Brexit. Ma, dopo quasi dieci anni da speaker, in futuro potrei cambiare vita. Il paradiso per me sarebbe andare nello stesso anno a tutti e quattro i tornei del Grande Slam di tennis. Mi basterebbe quello, ma ora non mi riesce. Però uno di questi giorni, chissà, magari sarò libero».