Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  marzo 28 Giovedì calendario

Il Talmud tradotto tutto in italiano

Il Talmud, dunque: da dove cominciare? Per farla breve, ma nient’affatto facile, dalle parole di Rav Adin Even Israel: “Il Talmud è un libro del mistero totalmente aperto perché il segreto che contiene non ha bisogno di essere nascosto”.
È la citazione posta in esergo a ciascun Trattato edito da Giuntina per lo straordinario “Progetto di Traduzione del Talmud Babilonese” in italiano: un sogno, quasi un’utopia, nato nel 2010 grazie alla professoressa Clelia Piperno e sotto la guida scientifica e operativa di rav Riccardo Di Segni. A 500 anni dall’ultima stampa in Italia (proprio nella Venezia del Cinquecento il Talmud fu edito per la prima volta al mondo), il progetto coinvolge un centinaio di ricercatori e traduttori informatici ed è realizzato – con undici milioni di euro di finanziamenti – in sinergia tra la presidenza del Consiglio dei ministri, il Miur, il Cnr, l’Ucei e il Collegio rabbinico italiano.
Testo sacro dell’ebraismo, secondo solo alla Torah, Talmud significa proprio “studio, insegnamento, discussione” della Bibbia, ma non solo: è la summa del pensiero – e del dibattito e delle interpretazioni e delle contraddizioni e delle dispute e e e… – delle scuole e accademie di Palestina e Babilonia tra il II secolo prima dell’Era volgare (a.C.) e il V dopo l’Era volgare (d.C.), anche se la redazione e sistematizzazione dei fluviali materiali avvenne solo tra il III e il V secolo. È diviso in sei ordini (regole agricole; Sabato e feste; diritto matrimoniale; diritto civile e penale; norme sacrificali; purità e impurità rituale), a loro volta divisi in Trattati, 63, per un totale di 2.711 fogli. Grazie al progetto diretto da Piperno, dal 2016 a oggi sono già stati tradotti ed editi tre Trattati – Rosh haShanà (Capodanno, a cura di Riccardo Di Segni); Berakhòt (Benedizioni, a cura di Gianfranco Di Segni); Ta’anìt (Digiuno, a cura di Michael Ascoli) –, mentre un quarto, Qiddushìn (Matrimonio), è in via di pubblicazione.
La traduzione è digitalizzata, ed è questo uno degli aspetti innovativi dell’operazione italiana, che si avvale di un software e di un complesso sistema informatico (ribattezzato “Traduco”) messo a punto dall’Istituto di linguistica computazionale del Cnr pisano. “In macchina abbiamo il 60 per cento del lavoro, ma molto è ancora da rivedere”, spiega Piperno, giurista e accademica, già nominata “Donna dell’anno” dal magazine Lilith – Independent, Jewish e Frankly Feminist. “Il margine di tempo è impegnativo: non sappiamo ancora quantificare la durata dell’intero progetto. L’unica impresa analoga alla nostra è stata tentata, tempo fa, negli Stati Uniti: senza un software gli americani hanno impiegato 40 anni a tradurre il Talmud Babilonese, ovvero due generazioni di studiosi. Noi puntiamo a concludere il lavoro in una sola generazione”.
Opera-mondo, bibbia della bibbia, il Talmud tesse insieme “brevi cenni sull’universo”, ma seriamente, con buona pace di Gramsci: vi si trova tutto, e di più, e il contrario di tutto, e di più; dal ruolo della donna alle modalità di divorzio, dall’anima alla carità, dalle superstizioni ai prestiti, dalle norme igieniche alla resurrezione dei morti, dal perdono ai doveri verso gli animali… tanto che nel Novecento, un teologo sarcastico, o forse solo ignorante, ridicolizzò il libro derubricandolo a “trattato delle uova”, perché sì, anche di uova parla il Talmud.
Oggi, invece, sono in molti a scomodare la definizione-metafora di “ipertesto”, spiegando così, del progetto italiano, il felicissimo connubio tra sapienza antica e tecnologia ultramoderna: “Vorrei chiarire con una immagine – continua Piperno –. Una delle prove cui erano sottoposti i ragazzini alla fine dello studio del Talmud era questa: si dava loro in mano un ago, ovvero un antenato del puntatore, chiedendo di ‘pungere’ il libro, per poi spiegare cosa ci fosse scritto nelle pagine sottostanti al forellino dell’ago. Proprio come in un ipertesto, i fogli, i ‘doc’ sono tutti collegati tra loro: ragionamenti su ragionamenti, dubbi su dubbi, per arrivare a trovare le risposte dentro di sé. Più che un libro è una banca del sapere, all’interno della quale ciascuno può scovare anche nuovi quesiti, nuovi interrogativi”.
Di fronte a un’opera così aperta, rizomatica, creata per “gemmazione intellettuale”, di ermeneutica infinita, ancora oggi discussa, aggiornata e in divenire (benché il Talmud “canonizzato” si fermi al V secolo), è impossibile non trattenere il fiato e provare spavento. “Ci turba come ci può turbare l’universo, che si espande in continuazione: non lo conosciamo tutto. La prima sensazione è la paura, è vero, poi però con un po’ di coraggio cerchi di buttarti nell’infinito in cui comunque ti trovi. Al confronto con l’infinito non ci si può sottrarre: il Talmud ti aiuta a gestire questa paura, le stesse ansie e gli stessi dubbi tramandati da secoli. Noi oggi parliamo di digiuno, mezzo digiuno, digiuno a ore: in Ta’anìt c’è già tutto”. Anche l’interpretazione dei sogni si trova, in modo seminale, in Berakhòt: “Non viene mostrato a un uomo nei suoi sogni se non ciò che viene dai pensieri del suo cuore”. Freud, insomma, non ha inventato nulla, né il Dio misericordioso è una trovata di Cristo. Il Talmud è pieno di storie, spiegazioni e aneddoti sulla misericordia di Dio, ad esempio, quando salva due pellegrini da un’infausta previsione dell’astrologo, commuovendosi per un pezzo di pane donato a un mendicante, o quando impedisce agli angeli di festeggiare dopo aver richiuso le acque del Mar Rosso, ammonendoli: “L’opera delle mie mani annega nel mare e voi mi offrireste un cantico!”.
“Il mondo è giudicato dalla grazia”, commentò un rabbino e un altro, il mitico Hillel, fu ancor più lapidario: “Ciò che non desideri per te, non fare al tuo prossimo. Questa è tutta la Torah e il resto è solo commento. Va’, imparalo”.