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 2019  marzo 28 Giovedì calendario

Il documentario Netflix sul caso di Maddie McCann

Per una strana coincidenza, sono usciti quasi in contemporanea, due documentari che raccontano il mondo dei bambini violato dagli adulti. Di un – quello su Michael Jackson e le accuse di pedofilia – parlano tutti. Perchè c’è la star, ci sono i racconti pornografici, c’è Neverland. Nessuno, perfino la giustizia, ha forse mai voluto sapere davvero chi fosse Michael Jackson. Poi c’è un documentario più lungo (otto puntate su Netflix), quasi ossessivo per la puntigliosità con cui ricostruisce gli eventi, che sta facendo poco rumore. È La scomparsa di Maddie McCann, la storia della misteriosa sparizione nel 2007 in Algarve della bambina inglese di tre anni in vacanza coi genitori.
Se ne parla poco perchè il documentario indaga più su chi ha indagato sulla vicenda che sulla scomparsa della bambina, finendo per porre interrogativi inquietanti: è più terribile finire nelle mani di un rapitore o nella morsa della giustizia? Perchè di Maddie ci ricordiamo, ma di come si sia evoluta la vicenda ci siamo persi parecchi pezzi.
La prima parte del documentario ricostruisce i fatti: Maddie è in vacanza con i fratelli gemelli e i genitori Kate e Gerry in un villaggio turistico a Praia da Luz, in Portogallo. I genitori cenano con amici al ristorante dopo aver fatto addormentare e lasciato i tre figli in camera da soli. La camera è a 100 metri dal ristorante. Ogni mezz’ora uno dei commensali va ad accertarsi che i bambini non si siano svegliati. Quanto tocca alla mamma di Maddie, questa scopre che la piccola non è più nel suo letto. È il 3 maggio del 2007. Da quel momento, della bambina bionda con lo sguardo vispo e una macchia marrone nell’iride dell’occhio destro, non si saprà più nulla.
I genitori di Maddie non hanno mai approvato il documentario e non è difficile comprenderne il perché. Dopo un primo momento di commozione e solidarietà da tutto il mondo, di conferenze stampa in cui i due genitori chiedono aiuto stringendo il peluche rosa della figlia in mano mentre la polizia portoghese segue la pista del rapitore pedofilo (una testimone vide un uomo andar via con una bambina in braccio quella notte), il coordinatore delle indagini Gonçalo Amaral punta i sospetti sugli unici di cui non si era sospettato: i genitori dei Maddie Kate e Gerry McCann. Da questo momento il documentario si concentra sulla figura di quest’uomo che su La Stampa, nel 2007, fu definito “Il Montalbano dell’Algarve”, e su come i giornalisti cavalcarono le ipotesi più surreali e infamanti delle sue indagini. Qualche giornalista afferma di provare ancora dei sensi di colpa per avere scritto degli articoli credendo ciecamente a certe ricostruzioni della procura.
I McCann furono massacrati. Gonçalo Amaral sospettava che Maddie fosse morta incidentalmente, forse a causa di un sonnifero che i genitori entrambi medici le avevano somministrato, e che la coppia l’avesse poi fatta sparire. Sul come, ci sarebbe da confezionare un documentario a parte, perché le fanta-investigazioni sono di per sè un male assoluto, ma nella storia di Maddie diventano grottesche. Secondo la polizia portoghese i McCann avevano conservato in un frigorifero il corpo di Maddie, quella sera, per poi farlo sparire giorni dopo. Siccome il corpo non si troverà mai, il Montalbano dell’Algarve in seguito sosterrà che i McCann l’abbiano fatto cremare nella bara di una donna inglese, introducendosi di soppiatto in una chiesa mentre la tizia veniva cremata.
I McCann dovranno abbandonare il Portogallo, dovranno smettere di cercare Maddie nei luoghi in cui l’hanno persa, dovranno sopportare titoli infamanti sui giornali e dichiarazioni insinuanti di Amaral tipo: “Non so se Kate sia colpevole, ma so che non vorrei che fosse mia madre”. Diranno che lei è fredda, che lui è antipatico, che sono dei lucidi assassini.
Nel documentario vengono mostrati i primi fenomeni di hating sul web. Nel 2007 infatti i commenti erano ancora pochi e l’odio online meno diffuso di oggi, ma già ai tempi l’opinione pubblica si scatenò contro Kate e Gerry. “Maddie non era figlia di Gerry”, “L’hanno drogata e poi fatta sparire”, “Kate strega bugiarda” erano i commenti che anticipavano il fenomeno dell’hating mescolato al populismo giudiziario a cui assistiamo oggi in maniera sempre più preoccupante, tra petizioni online perchè l’ex fidanzata di Marco Vannini non possa più studiare da infermiera o pagine Facebook che sostengono i vari Bossetti accusando polizia giudiziaria e magistratura di frode o corruzione.
Per la cronaca, i McCann hanno poi denunciato il Montalbano dell’Algarve, ma dopo una prima vittoria in cui lui è stato condannato a risarcirli (aveva anche scritto un libro sulla vicenda), i coniugi hanno perso in appello.
Appaiono poi altri personaggi incredibili quai investigatori privati in cerca di pedofili tra allevatori di maiali o il milionario proprietario di un’azienda in cui si producono doppi vetri che finanzia le investigazioni perché si affeziona alla storia o ancora un nerd russo che finisce nella lista dei sospettati perché colpevole di conoscere un altro sospettato. Insomma, una storia torbida ed emblematica di quel cortocircuito che si innesca nei casi di cronaca nera che diventano mediatici e che racconta quanto sia rischioso imbattersi in un Montalbano deciso a passare alla storia come quello che risolve il caso di cui scrivono tutti.
Sullo sfondo, inevitabilmente, l’ombra del giudizio più implacabile: quella sera i McCann avevano lasciato tre bambini di due e tre anni da soli in camera. Se fossero stati genitori più attenti, più responsabili, un uomo non avrebbe turbato il mondo candido di quei bambini. Ed è qui, su questa inquietante, forse immeritata riflessione finale, che il documentario su Maddie e quello sui bambini che frequentarono Michel Jackson, si incontrano. Perché il mondo è crudele e i genitori non possono permettersi distrazioni. E non riesci a non pensarlo, anche se sai che è sbagliato.