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 2019  marzo 28 Giovedì calendario

Il debito ci costa di più

Ormai sembra che l’Italia sia entrata in una sorta di «new normal» del debito pubblico. Una «nuova normalità». Perché anche ora che gli investitori sono ben più benevoli nei confronti del nostro Paese, ora che i capitali esteri stanno tornando, ora che il Tesoro riesce ad emettere BoT a tassi negativi (ieri ne ha collocati 6 miliardi a un rendimento di -0,062%), il nostro debito pubblico continua a costare di più rispetto al periodo pre-Governo. I dati del primo trimestre parlano chiaro: i 76 miliardi di titoli di Stato a medio-lungo termine (BTp, CcT e CTz) emessi dal Tesoro fino ad oggi costano, in termini di interessi annualizzati, circa 700 milioni di euro in più rispetto ai titoli analoghi collocati nel primo trimestre dell’anno scorso. E se si sommano anche i BoT collocati da gennaio (anche se il calcolo in questo caso è molto più spannometrico perché i BoT vengono rinnovati due volte l’anno), si può dire che le emissioni del solo primo trimestre 2019 costeranno in totale allo Stato quest’anno circa 900 milioni di interessi in più rispetto a quelle dello stesso periodo dell’anno scorso.
Queste cifre, ricavate dal Sole 24 Ore sui dati di UniCredit, devono far riflettere. Perché oggi non siamo più in emergenza sui mercati finanziari. Anzi: da quando il Governo ha varato la Manovra, a fine 2018, il clima si è molto rasserenato. Lo dimostrano lo spread tra BTp e Bund (sceso dagli oltre 300 punti base a 253) e il rally di Piazza Affari (salita da inizio anno del 15,66%, migliore d’Europa). Lo dimostrano anche i dati della Banca d’Italia sui flussi di capitali: gli investitori esteri a gennaio (unico dato disponibile del 2019) hanno comprato titoli di Stato italiani per 21,8 miliardi di euro. Eppure, nonostante questo momento positivo, il Paese continua a finanziare il proprio debito pubblico a costi molto maggiori rispetto ad un anno fa. Secondo i calcoli di UniCredit, nel primo trimestre del 2019 il tasso medio ponderato dei titoli a medio-lungo termine in emissione è stato infatti del 2,27% (cioè quasi un punto in più rispetto all’1,35% del primo trimestre 2018) e il tasso medio ponderato dei BoT è stato dello 0,10% inclusa l’asta di ieri (cioè circa mezzo punto in più rispetto al -0,42% dello stesso periodo dell’anno scorso). In cifre, come detto, si tratta di circa 700 milioni di euro in più per i BTp e di 200 in più per i BoT (annualizzati) rispetto ad emissioni analoghe dello stesso periodo dello scorso anno.
E non consola confrontare il nostro Paese con gli altri. Perché se per l’Italia il costo del debito è cresciuto rispetto ai primi mesi del 2018, per gli altri Stati d’Europa è invece calato. Basta guardare l’andamento dei titoli di Stato decennali per rendersi conto: da gennaio 2018 ad oggi il tasso d’interesse dei titoli spagnoli è sceso da 1,57% a 1,06%, quello dei titoli portoghesi è sceso da 1,93% a 1,26%, mentre quello dei titoli italiani è salito da 1,99% a 2,45%. Per non parlare della Germania, che proprio ieri ha collocato Bund decennali a un tasso d’interesse negativo (-0,05%): questo significa che Berlino “cristallizza” un tasso sottozero per dieci lunghi anni. A beneficio delle casse pubbliche, che invece di pagare interessi incasseranno interessi.
Questo italico «new normal» è dunque un problema, soprattutto ora che la congiuntura rallenta bruscamente. Perché riduce gli effetti benefici dei tassi ancora a zero della Bce proprio in Italia, cioè in uno dei Paesi europei che più avrebbe bisogno di tassi bassi. Per fortuna le banche stanno beneficiando meglio della fase favorevole di mercato e hanno ridotto i rendimenti in maniera notevole: Mediobanca, per fare un esempio, proprio in questi giorni ha collocato un bond quinquennale da 500 milioni di euro raccogliendo una domanda quattro volte superiore e pagando un tasso d’interesse dell’1,645%. Livello tornato in linea (secondo gli operatori, dato che non esiste un bond quinquennale paragonabile) con quelli di inizio 2018. Nonostante questo – denunciano Bce e Bankitalia – le condizioni del credito alle aziende si sono comunque deteriorate. Ecco perché lo spread dei titoli di Stato deve calare. Perché questo «new normal» fa male all’Italia. Serve invece una normalità «normale».