il Fatto Quotidiano, 27 marzo 2019
Il business degli elenchi telefonici
È un mercato gigantesco, anche se non più sulla cresta dell’onda e snobbato dalla clientela che però lo paga a carissimo prezzo e a sua insaputa: è la consegna nelle case d’Italia delle Pagine Bianche, vale a dire gli elenchi telefonici stampati e distribuiti da Italiaonline, ex Seat Pagine Gialle. Tecnicamente ogni anno i gestori forniscono la lista degli abbonati ai quali viene recapitato il librone. Ma chiunque abbia uno smartphone reputa questi elenchi alla strega di cimeli d’arredamento e sa che si fa prima a cercare un numero telefonico sul sito o sull’app della stessa di Pagine Bianche che a sfogliare il volume. E poi, oramai, con il necessario assenso esplicito per comparire sugli elenchi, quasi sempre non si trova il numero cercato.
Eppure nei prossimi mesi i pianerottoli dei palazzi saranno invasi dalla nuova edizione degli elenchi. Il tutto per pochi euro all’anno che, certo, non stravolgono il bilancio familiare. Ma, tenendo conto delle oltre 20 milioni di linee attive, si tratta pur sempre di un salasso per le tasche dei clienti per un giro d’affari di 30 milioni di euro, con i costi (si tratta di tariffe non regolate) che vanno da 1,80 a 3,20 euro. Un importo che, visto anche il non-servizio al quale corrispondono, si fa fatica a giustificare.
È in queste settimane che i clienti dei gestori telefonici delle linee fisse stanno ricevendo in bolletta l’addebito che, spulciando la fattura, si può trovare come voce singola o accorpata ad altri servizi a pagamento. Perché poi di questo si tratta: uno di quei costi nascosti che vengono continuamente applicati dagli operatori ai clienti, come le attivazioni di servizi non richiesti (la chat erotica, il servizio “richiamami” o la segreteria telefonica), che si ritrovano addebiti in bolletta e che pagano fino a quando non se ne accorgono e ne richiedono la cancellazione. È la cosiddetta strategia dell’opt-out (se non vuoi pagare è il cliente che deve farsi sentire) che però è vietata dal Codice del consumo, a tutto vantaggio dell’opt-in che, invece, si basa sulla filosofia opposta: se si vuole un servizio aggiuntivo, va richiesto appositamente.
Fino al 2012 la spedizione degli elenchi rientrava nei servizi universali di “pubblica utilità” come le comunicazioni postali o la fornitura di energia elettrica. Poi, però, il decreto legislativo n. 70 ha escluso la spedizione dagli obblighi, ma questo non è servito a impedire che gli elenchi continuassero ad arrivare in tutte le case. E anche in quelle degli utenti che non ne hanno mai fatto esplicita richiesta. Così a marzo del 2015 la questione è arrivata sul tavolo dell’Antitrust che ha aperto tre procedimenti nei confronti di Vodafone, Wind e Telecom proprio per “l’omissione informativa sulla possibilità di rinunciare alla fornitura degli elenchi e quindi all’addebito in bolletta dell’importo relativo”.
Con Wind che era stata anche sanzionata con una multa da 195mila euro per la pratica commerciale relativa ai vecchi abbonati e poi ai nuovi, per i quali l’operatore non aveva acquisito il consenso espresso al pagamento del costo supplementare. Cosa è successo da allora? Dal 2016 ai nuovi clienti non viene più appioppato questo costo, ma per tutti gli altri l’addebito automatico resta. Almeno questo vale per Tim e Wind-Tre (che gestisce Infostrada): i clienti dell’ex monopolista sono così costretti a pagare 3,2 euro più Iva all’anno (per i clienti business si arriva a 5 euro), mentre l’altro gestore fa sborsare 2,54 euro. Tim, che in questa storia fa la parte del leone con oltre 10 milioni di linee fisse, assicura però di rimborsare il costo del servizio a tutti gli utenti che contattano il Servizio Clienti. Sul fronte Fastweb, la società da giugno 2018 ha invece deciso di fornire solo a chi ne faccia esplicita richiesta il servizio a un costo di 1,80 euro, che è quasi il costo vivo che viene pagato a Italiaonline. Teletu, gestito da Vodafone, ha invece eliminato l’addebito automatico dal 2016. Ma si tratta di un numero di clienti irrisorio.