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 2019  marzo 27 Mercoledì calendario

Un nome agli sconosciuti modelli dell’arte

Tutti conoscono Olympia, nessuno sa chi sia Laure. È lei che appare alle spalle della famosa prostituta nuda di Manet, nel quadro del 1863 che ha segnato la storia dell’arte moderna. La cameriera di colore, intimorita e china a porgere un mazzo di fiori alla meretrice discinta in primo piano, ha finalmente un nome e strappa persino un ruolo da protagonista nella nuova mostra Le modèle noir che si apre al museo d’Orsay. I commissari hanno deciso di ribattezzare con il nome della cameriera il quadro di Manet. Il Portrait de Negresse di Marie-Guillemine Benoist diventa Portrait de Madeleine, restituendo una dignità alla donna ritratta. E così per Joseph, il ragazzo che è in mezzo alla Zattera della Medusa di Géricault.
Tutti questi nomi finora sconosciuti sono illuminati da luci al neon nell’installazione del newyorchese Glenn Ligon dentro alla navata centrale del museo. Fare emergere una presenza, colmare una lacuna, guardare gli invisibili.
Le modèle noir è un approccio inedito tra passato e presente, per indagare stereotipi vecchi e nuovi, riflettere sulla storia del razzismo più o meno consapevole nell’arte. Il “modello nero”, spiega Laurence des Cars, presidente del museo d’Orsay, è inteso nel suo duplice significato: soggetto che viene guardato, rappresentato dall’artista, ma anche portatore di valori. La mostra riesce a ridare un’identità, una storia, a tanti volti dimenticati nelle avanguardie artistiche. «Non è una mostra sulla rappresentazione dei neri considerati in quanto un gruppo sociale», precisa Cars che non nasconde però l’intento chiaramente politico. Quei volti senza nome meritavano dignità.
«Vogliamo dare un contributo alla coesione, partendo da una realtà storica finora trascurata da musei e ricercatori», racconta la presidente del museo d’Orsay che intorno alla mostra ha organizzato un ciclo di conferenze ed eventi. Secondo i curatori la mostra, che a luglio si trasferirà nel Mémorial ACTe di Point-à-Pitre, dovrà avviare una riflessione più ampia. Il catalogo ha molti contributi scientifici, tra cui quello di Pap Ndiaye, autore del saggio La Condition noire.
L’idea della mostra viene dagli Stati Uniti, in continuità con i “black studies”, e in particolare dall’americana Denise Murrell, ricercatrice alla Ford Foundation, e organizzatrice del primo allestimento del percorso nell’autunno scorso presso la Wallach Art Gallery di New York.
Nel 2013 Murell ha pubblicato una tesi alla Columbia University che partiva proprio dalla cameriera nera oscurata nel quadro di Manet, titolo: Seeing Laure: Race and Modernity from Manet’s Olympia to Matisse. Murell ha cominciato a cercare chi fossero le donne e gli uomini di colore che hanno frequentato pittori, scultori e poeti, partecipando alle loro avanguardie, e di cui nessuno o quasi finora si è davvero interessato, come se ci fosse ancora un’eredità del razzismo dell’epoca.
Le modèle noir ha come sottotitolo «De Géricault à Matisse», e va dal tardo Settecento fino alla prima metà del Novecento, oltre il periodo coperto dalle collezioni del museo d’Orsay (1848-1914). La mostra francese presenta trecento opere tra cui 73 dipinti, 81 foto, 17 sculture, con un ordine cronologico che segue alcune grandi tappe della storia politica e sociale, dalla Rivoluzione all’abolizione della schiavitù nel 1848, dalla rivolta di Santo Domingo nel 1791 all’emergere del concetto di “negritudine”.
Tensioni, lotte e dibattiti intorno a razza, razzismo, minoranze, si rispecchiano nelle opere. L’arte parla al presente, a volte lo precede. Nel 1788, un anno prima della Rivoluzione, Géricault dipinge un uomo di colore in piedi tra i naufraghi sulla Zattera della Medusa. Nonostante sia uno dei personaggi centrali del dipinto, l’unico che sembra ancora in grado di salvarsi, si sa poco di lui. Il suo nome è Joseph, come si scopre nella mostra. È un giovane di Santo-Domingo, fuggito da Haiti, e diventato modello ai Beaux-Arts per molti artisti, non solo Géricault ma anche Ingres e Delacroix che probabilmente si è ispirato a lui per Nègre vu en buste.
Il percorso non nasconde le contraddizioni, evita di scivolare nel politicamente corretto. L’approccio è multidisciplinare, tra storia dell’arte, antropologia e storia delle idee. I “modelli neri” anonimi ritrovano una dignità, ma ci sono figure più note su cui vengono forniti nuovi elementi biografici come i Dumas, padre e figlio, ritratti da Nadar, l’acrobata Miss Lala, il clown Chocolat, la cantante Josephine Baker. La mostra interroga anche il meticciato nella genesi della modernità, riprendendo l’amante “mulatta” di Baudelaire, Jeanne Duval, figura centrale dei Fiori del Male e pure di alcuni quadri di Manet, fino al viaggio di Matisse nella “Renaissance” di Harlem degli anni Trenta.
Tra reticenze e ostacoli, comincia a essere prodotta un’iconografia e persino una serie di identità nere sempre più visibili. La svolta della Rivoluzione fa emergere figure emancipate, tra cui il famoso Jean- Baptiste Belley di Anne-Louis Girodet e Madeleine di Marie-Guillemine Benoist, ma sempre con una certa ambiguità.
Il libretto che accompagna l’opera di Benoist, ispirata alla Fornarina di Raffaello, non specifica il nome della modella, né il suo statuto sociale, né chiarisce le intenzioni dell’artista, su cui ancora oggi ci s’interroga. È così anche nel libretto di Manet su Olympia, l’artista non parla di Laure, che secondo la ricostruzione storica era la cameriera di suo cognato, mentre si sofferma più sul gatto nero presente nel dipinto.